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Battaglia Terme

Il cervello vetrificato dal vulcano

Una scoperta unica al mondo

Una scoperta archeologica e scientifica di eccezionale portata sta riscrivendo le conoscenze sui meccanismi di conservazione dei tessuti organici e sulla dinamica delle eruzioni vulcaniche. A distanza di quasi 2000 anni dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano, è stato possibile individuare la struttura delle cellule nervose all’interno di un cervello umano trasformato in vetro.

È un ritrovamento unico al mondo, perché per il processo di vetrificazione non solo sono necessarie temperature molto alte, ma occorre anche che il raffreddamento sia repentino. Per questo motivo, anche se tecnicamente possibile, non era mai accaduto di trovare materiale organico umano vetrificato.

il cervello appartiene a un giovane uomo di circa 20 anni, rinvenuto nel Collegio degli Augustali, un edificio religioso dedicato al culto dell’imperatore Augusto, nell’antica Ercolano. Nel 2020, esaminando il cranio del giovane, vi furono individuati frammenti di vetro nero, che si sono poi rivelati essere il primo cervello vetrificato mai rinvenuto in ambito archeologico e forense.

Questo organo, inizialmente liquefatto dalle temperature estreme, si è poi raffreddato molto rapidamente, passando attraverso una “transizione vetrosa”.

foto tratte dallo studio

Il tessuto cerebrale vetrificato ha l’aspetto di una pietra vulcanica, scura, lucida e dura come l’ossidiana, un vetro vulcanico che si forma dal rapidissimo raffreddamento della lava.

Foto del materiale cerbrale vetrificato. foto di Pierpaolo Petrone

Questa condizione è eccezionalmente rara, poiché i tessuti organici, composti in gran parte da acqua, di solito vengono vetrificati solo a temperature molto basse (circa -120 °C) e tornano allo stato “morbido” a temperatura ambiente. Il processo naturale e unico, che ha consentito il mantenimento dello stato vetroso ha lasciato di stucco la comunità scientifica. Il professor Guido Giordano, vulcanologo dell’Università di Roma Tre e co-autore dello studio pubblicato su Scientific Reports, ha sottolineato come le condizioni che hanno permesso tale fenomeno siano state “estremamente rare”, anche se non impossibili (evidentemente).

Sono stati individuati neuroni e assoni ancora integri

Il team di ricercatori italiani e tedeschi, guidato da Pier Paolo Petrone, antropologo forense dell’Università di Napoli Federico II, e dal vulcanologo Guido Giordano, ha utilizzato la microscopia elettronica a scansione (SEM), la spettrometria Raman e strumenti avanzati di elaborazione delle immagini per esaminare i resti. I risultati sono stati straordinari: sono state individuate strutture di neuroni e assoni ancora integre, sia nel cervello che nel midollo spinale, con un incredibile livello di dettaglio. Questo è stato confermato anche dalla presenza di proteine (come la mielina) comuni nel tessuto cerebrale umano e di acidi grassi tipici dei trigliceridi del cervello e del grasso dei capelli umani, indicando un’origine organica inequivocabile per quei frammenti.

Foto tratte dallo studio del 2020

Per chiarire le condizioni che hanno consentito questa anomalia scientifica, sono stati condotti studi di calorimetria differenziale a scansione, con la collaborazione tra CNR-ISSMC, l’Università di Roma Tre e la Technische Universität Clausthal. Da tali studi ora sappiamo che la trasformazione dei tessuti molli in vetro è avvenuta a una temperatura di almeno 510 °C, seguita da un rapidissimo raffreddamento.

Inizialmente, si era ipotizzato che la vetrificazione fosse stata innescata dai flussi piroclastici densi che seppellirono Ercolano. Tuttavia, come sottolineato da Danilo Di Genova del CNR-ISSMC, le temperature di questi flussi (non superiori ai 465 °C) e il loro raffreddamento relativamente lento non avrebbero permesso la formazione di vetro, e anzi avrebbero “totalmente distrutto il materiale organico a meno che esso non si fosse già trasformato in vetro”.

La nuova spiegazione scientifica, pubblicata a febbraio 2025 sulla rivista internazionale Scientific Reports (“Unique formation of organic glass from a human brain in the Vesuvius eruption of 79 CE”), indica invece che la vittima – un giovane uomo di circa 20 anni, ritrovato disteso su un letto di legno – è stata investita da una nube di cenere vulcanica incandescente e diluita, non una nube piroclastica densa ma quella che viene chiamata “bas surge”, molto più leggera, ma con temperature ben superiori a 510 °C.

Monte Mayon, Filippine, 2018, nube piroclastica. Foto di Jaycee Esmeria

Questa nube, trasportata dall’aria e composta da particelle più fini (che possono raggiungere anche i 600 °C), avrebbe colpito la vittima per poi dissiparsi altrettanto rapidamente (in pochi minuti), creando le condizioni ideali per il rapido raffreddamento e la vetrificazione. La velocità di raffreddamento, stimata intorno ai 1000 K/s (mille gradi Kelvin al secondo), è stata cruciale, “congelando” le strutture cellulari del sistema nervoso centrale.

Si ipotizza che il cranio e la colonna vertebrale abbiano offerto una protezione che ha favorito la vetrificazione del cervello e del midollo spinale, mentre gli altri tessuti molli esterni sono stati vaporizzati. Sebbene il cervello non sia stato completamente distrutto, è stato gravemente danneggiato e frammentato in piccoli pezzi, facilitando lo scambio termico durante il raffreddamento.

Implicazioni

La perfetta conservazione dei neuroni e del midollo spinale non solo fornisce una “macchina del tempo” unica per lo studio del sistema nervoso centrale antico, ma offre anche preziose indicazioni sulla dinamica dell’eruzione del ’79.

Si è accertato che il giovane del Collegio di Augusto morì all’istante per uno shock termico fulminante, e non per soffocamento. Le nuove ricerche suggeriscono che la causa principale della morte degli abitanti di Ercolano e Pompei non fu il flusso piroclastico denso, bensì una nube ardente di cenere e gas tossici che avvolse la città in pochi istanti. Come spiega Guido Giordano, questa “nube di cenere diluita ma caldissima” ebbe un “impatto termico terribile e mortale, seppur sufficientemente breve da lasciare… resti di cervello ancora intatti”. Solo più tardi la città fu completamente seppellita dai depositi dei flussi piroclastici.

Questa scoperta ha ampie implicazioni non solo per l’archeologia e la medicina forense, ma anche per la vulcanologia e la protezione civile. Le analisi stanno fornendo informazioni chiave sui tempi e i modi di deposizione dei flussi piroclastici, dati fondamentali per la comprensione del rischio vulcanico cui sono esposte oggi milioni di persone nell’area di Napoli e dintorni. Come sottolinea Giordano, questa conoscenza “può tradursi in efficaci misure di prevenzione e mitigazione” perché definisce “un’altissima pericolosità anche per flussi molto diluiti che non hanno grandi impatti sulle strutture ma che possono essere letali per le loro temperature”.

«Crederanno le generazioni a venire […] che sotto i loro piedi sono città e popolazioni, e che le campagne degli avi s’inabissarono?»

 



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