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Il ritorno delle tette

Le tette sono tornate. Il messaggio arriva dal mondo anglosassone, a dispetto della sua curiosa tettofobia: “Boobs are back” e ce ne informa addirittura The Guardian. In quanto specchio dei tempi e sismografo culturale che registra i cambiamenti più profondi della società, cosa ci dice il ritorno delle tette, dopo decenni di linea femminile filiforme? È solo una semplice rotazione stilistica?

Le dimensioni “ideali” delle tette seguono un ciclo pluri-decennale, in cui si ingrandiscono e rimpiccioliscono, con un’alternanza che emerge anche studiando l’evoluzione storica della corsetteria. Bel problema per chi segue la moda in modo ossessivo, soprattutto se il cambio fra piccolo, medio e grande avviene nell’arco di una generazione. Qualcuno ha notato una interessante coincidenza fra atteggiamenti sociali e dimensioni del seno.

La storia recente sembra suggerire che le epoche in cui le tette “ampie” sono più in voga tendono a coincidere con periodi di dominanza politica del pensiero conservatore.

Pensiamo agli anni Cinquanta, quando, dopo il ruolo attivo delle donne durante la Seconda Guerra Mondiale, c’è stata una spinta sistematica a ricondurle e confinarle all’area domestica. In quel periodo ai celebravano forme prorompenti.

Al contrario, gli anni Venti, con i loro abiti “flapper” che prediligevano petti “piallati”, e gli anni Settanta, con l’avvento di T-shirt e jeans che vedevano le giovani donne abbandonare il reggiseno, sono stati periodi di maggiore emancipazione femminile.

E oggi? Il ritorno delle tette abbondanti si inserisce in un contesto culturale influenzato da una tendenza conservatrice, che, secondo il Guardian, ha sete di donne formose in abiti attillati, con una malcelata nostalgia per gli anni ’50. Le tette piene, simbolo di fertilità, diventano quasi un “richiamo” per un’epoca ossessionata dalla natalità in calo.

Lo stesso ragionamento non si applica molto per la storia antica, dove alle forme più abbondanti della dea primordiale corrispondeva uno status sociale femminile egalitario.

Tette in primo piano

Il reggiseno a proiettile (il “bullet bra”, appuntito, tipico degli anni ’50) sta vivendo un inaspettato ritorno, visto su star come Dua Lipa e sulle passerelle di Miu Miu. E persino Kim Kardashian, la cui immagine è un impero commerciale, punta sui reggiseni push-up del suo brand Skims che presentano un capezzolo finto in lattice, con o senza piercing, progettato per essere ben visibile sotto la maglietta, il che per il mondo anglosassone tettofobico e capezzolofobico, è semplicemente scioccante.

Non accadeva da Eva Herzigova e il suo Wonderbra del 1994 (“Hello Boys”) che le tette fossero così in evidenza.

Skims bra
Hello boys. Campagna pubblicitaria del Wonderbra (1994)

Una storia di contraddizioni

Il seno di una donna è da sempre un concentrato di contraddizioni: simbolo sessuale, come anche di maternità, accudimento e primo contatto con il mondo. Onnipresenti nell’arte, fin dalle espressioni più primordiali, le tette, protagoniste nei musei e nell’arte sacra, ma bandite dai social. Per via della tettofobia e capezzolofobia anglosassone (esiste anche un movimento di opinione per la liberazione del capezzolo “Free the nipple!” contro la discriminazione del capezzolo femminile, sottoposto a censura, rispetto a quello maschile che invece viene socialmente accettato) che iper sessualizza e considera estremamente scandaloso tutto ciò che concerne i capezzoli del seno femminile. In Italia, a dispetto dell’ospitare la sede del Vaticano e di essere considerati più antiquati in senso generale, non abbiamo fortunatamente gli stessi livelli di paranoia. Non battiamo ciglio sulle nudità artistiche, non ci scomponiamo per un topless in spiaggia o per una maglietta attillata che tradisce il capezzolo, ma ci infastidiamo per un allattamento in pubblico. È un atto naturale, certamente, il più naturale che esiste, ma si potrebbe obiettare che anche grattarsi i testicoli sia un atto naturale, ma non per questo sia il caso di farlo in pubblico. Ogni popolo ha le sue contraddizioni e i suoi problemi di tetta.

Sdoganate le tette finte

Dal 1962, quando Timmie Jean Lindsey si fece impiantare le prime protesi al silicone per ingrandire il seno, la chirurgia estetica, in particolare l’aumento delle tette, è diventata sempre più popolare (nel 2024, nel Regno Unito sono state eseguite 5.202 procedure di ingrandimento del seno, la chirurgia estetica più diffusa). Il “seno finto” non è più scandaloso. Le nuove generazioni, cresciute tra filtri e foto ritoccate, sono intolleranti verso l’imperfezione mentre il concetto di “naturale” non ha alcun significato, in linea con una lenta ma inesorabile disumanizzazione e snaturalizzazione dell’uomo (e della donna).

È uno dei motivi per cui vediamo tette celebri sempre più grandi su corpi celebri sempre più piccoli, molto in stile anni ’50 ma con una certa esagerazione di artificialità.

Il ritorno del reggiseno a proiettile, una forma che “arma” le tette e le rende una sorta di “piattaforma”, è un altro segnale. Per Miuccia Prada, che lo ha reso protagonista della sua sfilata, è un modo per articolare le “femminilità” plurali di oggi. Non solo un simbolo di seduzione, ma anche di resistenza, sfida e armatura, come suggerisce la sociologa Liz Goldwyn.

reggiseno a proiettile degli anni ’50

Le tette, inoltre, sono sempre state un indicatore di denaro e classe. Le gentildonne Tudor, ad esempio, con i loro abiti che esponevano seni piccoli e sodi, indicavano orgogliosamente di avere i mezzi per permettersi una balia.

 

Il seno piatto in epoca Tudor esprimeva la ricchezza di potersi permettere una balia

Oggi, il décolleté “anti-gravità” di Lauren Sánchez, su un corpo sottilissimo, simboleggia in maniera molto analoga, anche la capacità dei “super-ricchi” di poter avere l’impossibile.

Le tette si confermano un potente simbolo erotico, culturale e sociale che attraversa i millenni, un catalizzatore di discussioni che vanno ben oltre la moda, toccando temi di politica, genere, classe e percezione del corpo.



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