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Il vento della storia: dal muro di Berlino a Donald J. Trump

La caduta del Muro di Berlino segnava l’alba della Globalizzazione e la fine delle garanzie sociali. Ventisette anni dopo, significativamente nello stesso giorno d’allora, l’elezione di Donald Trump mostra la rivincita degli sconfitti e degli oppressi dal Moloch liberista


Madama Storia spesso e volentieri usa dilettarsi con le date, giocando a confondere i poveri e svogliati alunni di Domani in accordo con Messer Fato. Il 9 Novembre 2016, senz’ombra di dubbio, risulterà infatti una data cruciale sui libri di scuola: al netto delle pur eccessive speranze riposte nel rubicondo capoccione di Trump, l’elezione di Donald segna un nuovo inizio nel gran caos del divenire contemporaneo. Nel baloccamento dei numeri – segnati alla maniera yankee – il 11/9 si affianca al nine-eleven delle Twin Towers sigillando un’epoca buia e triste. Allo stesso tempo, l’affascinante cabala del Tempo ha fatto coincidere il trionfo del tycoon con una ricorrenza esiziale del XX secolo, i cui effetti scontiamo – ahinoi – ancora oggi.

Ieri s’eleggeva il nuovo inquilino della Casa Bianca. Il 9 novembre del 1989, in una già gelida notte di freddo prussiano, crollava il Muro di Berlino. La cortina di ferro arrugginita dalla goffa cura Gorbaciov s’apriva in breccia lungo la frontiera più calda germinando la propria scomparsa. Tra i calcinacci e i gagliardi colpi di piccone di quella lontana sera stellata cadeva il Novecento e rovinava un secolo di utopie: i nastri stinti delle cassette VHS non han potuto riprendere l’agonia mortale del socialismo – reale e non – determinato dall’apertura improvvisa e caotica del confine cittadino della Deutsche Demokratische Republik. Nel breve volgere d’un anno la cicatrice bellica tra le due Germanie sarebbe stata ricomposta tra il gaudio imbecille dei tanti Mitterand e lo scorno lungimirante dei pochi Andreotti, mentre l’assetto geopolitico di Jalta, l’ordinata sistemazione del Globo secondo sfere d’influenza ideologico-economiche ben precise diveniva carta straccia di fronte all’implosione del Patto di Varsavia. Il delicato equilibrio Capitale-Lavoro affermatosi nel Dopoguerra, strenuamente conquistato dal sangue e dal sudore di milioni di salariati in cent’anni di lotte e di sacrifici, appariva caduco e incerto caduto lo spauracchio sovietico. La buriana del liberismo facilone e dell’edonismo anni Ottanta aveva già preparato il terreno alla reazione spietata del Moloch capitalistico: le martellate demolitrici al Muro sancirono nei fatti ciò che in potenza si profilava da un decennio.

Berlino, notte del 9 novembre 1989: la folla festante scavalca il Muro. Venticinque anni dopo un terzo degli ossis, triturati dal capitalismo mercantilista di Merkel e soci, rimpiangerà la DDR

In virtù della totentanz 1939-1945 i popoli del Vecchio Continente avevano inteso, finalmente, che senza giustizia sociale non poteva esserci democrazia sostanziale. Realizzare tutto ciò entro la cornice del Diritto aveva portato notevoli e formidabili realizzazioni: aggiungendo l’aggettivo sociale lo Stato compiva nei fatti una virile Rivoluzione che inchiodava alle proprie responsabilità il capitalismo assoluto. Su simili intelaiature, l’applicazione delle soluzioni economiche keynesiane aveva permesso l’avvento di un’epoca gloriosa di progresso civile e culturale in cui il Lavoro – esteso a tutti in virtù della sua istituzionalizzazione quale diritto – sinceramente realizzava l’uomo nobile liberandolo dalla miseria, dalla fame, dallo sfruttamento. Un miracolo fatto di civiltà e volontà, non ultimo sostenuto dallo spauracchio dei baffoni di Stalin: rifiutare l’edificazione del Welfare significava infatti per i capitani d’industria europei aprire le porte di casa ai baldi reggimenti di cosacchi. Meglio cedere una porzione che l’intero pranzo.

I trionfi della Globalizzazione liberista: lo 0,7 per cento della popolazione adulta del Mondo possiede il 44 per cento della ricchezza. Aver proletarizzato la classe media costituisce oggi la Waterloo del sistema mondialista in pezzi

Peccato che di quel succulento menu condito a miliardi lorsignori non abbiano in realtà mai voluto concedere nulla, nemmeno le briciole più insignificanti. D’altronde in Bocconi si insegna che il salario serva a far sopravvivere i lavoratori e le loro famiglie: la vita vera non è affar loro. Schiantatosi il sacco vuoto del Marxismo-Leninismo (che qualche grattacapo l’aveva pur dato), il Capitale ha tolto la maschera di comodo e nel subitaneo arco di dieci anni ha triturato ogni ostacolo edificando un sistema perfettamente idoneo ai propri bisogni. Il XXI secolo, iniziato nei bagordi berlinesi del 1989, raccoglieva la staffetta di sangue dell’Ottocento liberista, con conseguenze oggi evidenti anche ai più tonti. Come sempre, purtroppo, la Storia rimane inascoltata nonostante urli disperata. Facendo strame dei più, le élites hanno seminato disperazione e alienazione in milioni e milioni di individui, accompagnando al saccheggio economico la tabula rasa dei valori e delle identità che compongono il mosaico del Mondo. Quel fossato che divide i grattacieli delle city finanziarie dalle periferie, le ville di lusso dalle baracche sottoproletarie si è a poco a poco trasformato nella fossa comune del mondialismo liberista. La Brexit e Donald Trump ne rappresentano solo i primi vagiti: imperare senza e contro i popoli è un crimine che presto o tardi presenta il conto. Sempre.


Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/storia/il-vento-della-storia-dal-muro-di-berlino-a-donald-j-trump/



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