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La visione goethiana della Natura

A completamento del mio precedente articolo sulla Teoria dei colori di Goethe è il caso di esaminare più in generale l’idea e il metodo goethiano delle scienze naturali, e il suo peso nell’opera successiva di Rudolf Steiner, motivo principale per cui qui ne trattiamo.

Le osservazioni naturalistiche di Goethe hanno abbracciato tutti i settori delle scienze naturali, all’epoca in via di formazione,  dalla botanica, all’embriologia, alla mineralogia, alla geologia e alla vulcanologia, perfino alla meteorologia. Per certi versi si può anche dire che i sistemi di filosofia della Natura dei Romantici tedeschi furono la “metafisica” di cui le scienze goethiane rappresentano la scienza applicata; ma sarebbe anche riduttivo perché vi è molto di più: nei suoi scritti traspare un metodo, un modo tutto nuovo  di concepire queste ricerche naturalistiche. Non si trattava tanto di scoprire fatti nuovi quanto- come scrive Steiner – di adottare un nuovo punto di vista di osservare la natura. In realtà il suo approccio ha portato anche a scoperte fattuali importanti: ad esempio l’identificazione dell’osso intermascellare nell’uomo, in embriologia ed anatomia comparata.

Uno dei cardini della concezione goethiana è la assoluta irriducibilità del mondo organico e vivente a quello dell’inorganico. Nel secolo del “cartesianesimo” e del meccanicismo si cominciò a pensare che tutto, anche gli animali o le piante, fossero dei ”meccanismi” e si potessero spiegare con leggi meccaniche del mondo inorganico. Ma questo non convinse mai del tutto. Ci si può ben rendere conto – e i filosofi e gli scienziati dell’epoca ne aveva coscienza – di come la comprensione meccanicistica sia possibile in quanto ci crea una comprensione concettuale di tutto ciò che appare come dato sensibile. Quanto appare ai sensi deve essere dedotto come una necessità da quanto presupposto idealmente, in termini kantiani si direbbe che qui  fenomeno e  noumeno coincidono.  Nel mondo inorganico non c’è niente altro come condizione del fenomeno.  Comprendere il fenomeno inorganico non comporta altro che dedurre  concettualmente  fenomeni sensibili da altri fenomeni sensibili, sia la causa che l’effetto appartengono al dominio sensibile, non serve elaborare in concetti null’altro che non sia manifestamente percepibile coi sensi.  Non così nel mondo organico e biologico. In un organismo vegetale non si può derivare o dedurre qualità, posizione, sviluppo di una parte anatomica dai rapporti e qualità sensibili di un altro organo; del resto questo è ciò che differenzia appunto l’organismo da una macchina. In una macchina la cooperazione delle parti è dovuta ad un fattore esterno, la mente del progettista, è quindi di natura astratta. Nell’organismo i rapporti sensibili  delle sue parti non sono deducibili gli uni dagli altri; ed inoltre la cooperazione delle parti od organi non dipende da qualcosa di esterno, ma appartiene alla natura stessa del vivente, ne tocca il nucleo essenziale. L’elemento non percepibile qui non opera dall’esterno – attraverso la mediazione del costruttore – ma agisce spontaneamente da sé, dall’interno dell’organismo stesso che organizza. Ed è proprio questo elemento non-sensibile e non percepibile che è necessario presupporre come spiegazione e causa di tutti i dati sensibili dell’organismo. In sintesi, nell’organico “tutte le qualità sensibili appaiono come conseguenze di una condizione che non è più percepibile coi sensi” (R. Steiner, Le opere scientifiche di Goethe, pag. 32, ed. Antroposofica).

Per Goethe dunque nel mondo naturale e in particolare in quello organico è da rigettare il postulato kantiano dell’inconoscibilità del  noumeno. È dunque nella facoltà della  intuizione intellettuale  che si trova il fondamento del conoscere l’elemento sovrasensibile  che è alla base della vita organica.  Un organismo può essere compreso solo tramite una facoltà di giudizio intuitivo. Non il concetto astratto che è una mera somma dell’esperienza (come scrive l’Autore nei Detti in prosa), ma l’Idea che è il risultato  dell’esperienza. Vi è nell’uomo secondo Goethe la facoltà di formarsi una tale idea – ad esempio di un organismo vivente – che non è condizionata dagli influssi del mondo esteriore (sulle modalità di questa conoscenza torneremo a breve).

È l’Idea   del vivente ad organizzare dall’interno ogni sua singola parte. Si tratta di un tipo  originario o ideal-tipo che si estrinseca in ogni individuo di una specie, e Goethe richiama anche l’espressione aristotelica di Entelechia.  Anche le varie specie fa di loro, ad esempio nel campo vegetale possono essere ricondotte ad un tipo originario primordiale, che verrà chiamata Urpflanze, pianta primordiale, prototipo di ogni essere vegetaleÈ in questo campo che Goethe ha prodotto le sue più importanti osservazioni, nel saggio La metamorfosi delle piante , 1790). Questo elemento ideale-sovrasensibile  organizza e struttura il vivente soprattutto nel suo processo diacronico di costruzione nel mondo fisico, “attraverso forme mai totalmente chiuse e concluse” (cfr.F. Cisalghi, Goethe e Drawin, Mimesis pag. 47). Pur essendo una realtà ideale esso guida un processo dinamico e soprattutto il modo di acquisizione di una forma, il che anticipa anche il concetto di campo morfogenetico. Le forme concrete nel mondo naturale si affermano in un modo che non sempre corrisponde pienamente a quello ideale. La diversità delle specie in natura è determinata dalle condizioni ambientali che limitano l’esprimersi del tipo ideale. Le condizioni ambientali sono soltanto l’occasione per­ché le forze formative  intrinseche si manifestino in un modo speciale e particolare, e solamente queste ultime sono il principio costitutivo, l’elemento creati­vo della pianta. Quanto più un determinato essere o specie riesce a manifestare del tipo organico ideale, tanto più esso sarà perfetto. Questa è la spiegazione della diversità fra le varie specie: le condizioni esterne limitano le possibilità di espressione del tipo ideale e delle sue forze formative. Nel vegetale poi tutti gli organi sono differenziazioni di un unico apparato organico ideale: la foglia.tumblr_npb23fDzuj1rgtxy8o1_500

Nella “foglia” è rappresentata ogni possibilità dell’ente vegetale; in qualche modo la foglia è ciò che di più simile vi è alla Urpflanze, la pianta primordiale che molti disegnatori, artisti, botanici dilettanti hanno sulla scia di Goethe provarono a raffigurare, cosa peraltro discutibile trattandosi più propriamente di un ente intelligibile piuttosto che sensibile. Nell’indagine goethiana queste “forze formative”  agiscono secondo una legge di alternanza fra espansione e contrazione, evidenziando qui di nuovo il principio di polarità, centrale nei sistemi di Filosofia della Natura dei Romantici tedeschi. Nella vita delle piante si alternano tre contrazioni e tre espansioni:

  1.  il seme è una forza in stato contrattivo, cui segue il formarsi del germoglio e delle foglie, (espansione).
  2.  il calice è una nuova formazione che compare sullo stelo come contrazione, da cui segue l’apertura espansiva della corolla
  3.  gli organi sessuali, stami e pistillo, si formano infine per contrazione, cui segue la fase espansiva nel frutto.

Goethe non manca di far notare come tutto questo sia un evolversi poiché ogni “nodo superiore” riceve da quelli inferiori qualcosa di sempre più raffinato (es. linfa etc.) come un procedere su scala spirituale, osservazione simbolicamente riscontrabile nell’idea dello sviluppo simultaneamente a spirale e verticale nelle piante.


Non meno interessanti sono le osservazioni sul regno animale. Mentre nella pianta in ogni organo è presente la pianta intera, senza però  che il principio vitale risieda in un organo determinato come in un “centro”, nell’animale ogni organo appare derivante da quel centro. E a differenza del vegetale l’animale nella sua morfologia è determinato da quel centro, dalla sua configurazione interiore; le circostanze meccaniche esteriori non giungono a far apparire l’animale soltanto come prodotto del mondo esteriore:

Le condizioni esteriori  sono invero l’occasione per cui il tipo si estrinseca in una determinata forma; questa forma stessa, però, non è da derivarsi dalle condizioni esteriori, ma dal principio interiore. (Steiner, Le Opere scientifiche di Goethe, pag. 46)

La mancata comprensione di questo elemento interiore è ciò che, ad esempio, mancherà poi a Darwin (cfr. op.cit. pag. 14). Le diverse specie animali si differenziano poiché ognuna si sviluppa in una determinata ‘direzione’, impiegando le forze formative in un particolare sistema di organi, sottraendole ad altri apparati. Tuttavia se prima di Goethe la sistematica (ad esempio la tassonomia di Linneo) era una semplice classificazione, che allineava generi e specie, e che richiedeva tanti concetti quante erano le specie esteriormente esistenti, l’ “idealismo” goethiano pose le basi per lo sviluppo di queste scienze, soprattutto in chiave evoluzionistica (sebbene come vedremo in senso diverso da quello darwiniano) e verso la comprensione unitaria dell’organismo vivente.

Forse più difficile fu per Goethe arrivare ad una comprensione sintetica altrettanto completa della “morfogenesi” nell’animale; fu a livello più settoriale, nel campo della sola osteologia che egli arrivò ad individuare una legge formativa: nella vertebra egli intuì un “fenomeno primordiale, ciò che è  ad esempio la foglia nel vegetale.

Nell’apparato scheletrico dei vertebrati, ed in particolare nella colonna vertebrale, egli trovò una legge unitaria che correla il midollo spinale e l’encefalo con le vertebre e le ossa craniche. L’encefalo si presenta come una espansione, un perfezionamento di uno dei gangli del midollo, così come i gangli sono lo stadio evolutivo inferiore del cervello. Le ossa craniche sono un adattamento o sviluppo delle vertebre originarie che proteggono il midollo. Da qui deriva la concezione dell’origine vertebrale delle ossa craniche, un’idea certamente intuita da Goethe (che però dovette contendersi il primato con l’anatomista L. Oken solo perché pubblicò tardivamente , nel 1820 queste sue riflessioni forse per non avervi attribuito una validità definitiva). Comunque la teoria della derivazione vertebrale delle ossa craniche nella filogenesi delle specie animali fu seguita per circa due secoli ed è in parte ancora ritenuta valida, anche se oggi si preferisce restringerla alla sola porzione occipitale (cfr. E. Padoa, Manuale di anatomia comparata dei vertebrati, Feltrinelli, pag. 168).

La legge biogenetica secondo Goethe impone che negli animali superiori si possano rinvenire tutti gli inferiori (Steiner op. cit. pag. 46). Così fino all’uomo, il tipo più alto del vivente, poiché in esso l’Idea arriva all’autocoscienza. L’uomo è in realtà il tipo ideale più completo di organismo vivente. Questo punto avrà modo di influenzare gli epigoni della concezione steineriana e antroposofica; ad esempio uno degli autori dell’opera collettiva del Gruppo di Ur, Introduzione alla Magia, quale scienza dell’Io, pubblicherà una monografia dal titolo “L’origine della specie secondo l’esoterismo” nel quale si delinea un scala evolutiva discendente, completamente invertita rispetto alla concezione darwiniana dell’evoluzione.


Anche in ambito geologico Goethe cercò una legge alla base di tutte le formazioni minerali, senza limitarsi alla mera catalogazione. Goethe sosteneva la nozione che la Natura trapassi  fra un minerale e l’altro. Questa concezione era già presente nell’Alchimia che ha sostenuto che le diverse specie metalliche fossero stadiazioni diverse della stessa entità che passa per gradi successivi fino arrivare alla perfezione dell’oro. Tale nozione fu rigettata perché la geologia attuale non conosce un tale trapasso ma, nota Steiner, è un errore aver frainteso la concezione di Goethe. Egli non affermava, almeno non direttamente una trasformazione fisica. Goethe cercava ciò che manca alla geologia attuale: cioè il principio che costituisce ad esempio il granito, o il porfido, prima che essi siano divenuti tali. Si poneva qui dunque, ad esempio, lo spiegare la differenziazione e la distribuzione geografica di certi minerali e giacimenti, lo stesso tema che, come abbiamo visto, è alla base delle differenziazioni fra le specie viventi, vegetali, animali etc.

Goethe guardava ad un metodo che potesse vedere la Natura come un tutto ordinato ed unitario, per cui nei fenomeni geologici (inorganici) non si poteva supporre impulsi motori diversi da quelli del resto della natura inorganica.  Per tale ragione fu più vicino al nettunismo di Werner che non al vulcanismo di Hutton ed altri: i fenomeni geologici dovevano essere prodotti dalle stesse forze che vediamo ordinariamente in azione nella nostra esperienza attuale.

Anche in campo meteorologico non sono mancate delle osservazioni degne di interesse. Malgrado l’incompiutezza di questi studi è sempre al metodo che dobbiamo guardare più che ai risultati specifici. Qui Goethe cercava, come negli altri campi, di indagare e comprendere l’essenza di un fenomeno osservando tutto ciò che appartiene alla medesima sfera, come a una totalità.
Gli appariva come non conforme alla natura, invece, spiegare i fenomeni di un dato ambito con fatti ricadenti al di fuori di esso. Tutti i fenomeni atmosferici dovevano essere spiegati e ricondotti a cause terrestri, escludendo altri fattori, influssi lunari e planetari etc.
Pensò di aver trovato qualcosa come un fenomeno-primordiale  nell’indice barometrico, in cui intuiva una relazione anche con la gravità. Il suo interesse maggiore fu la formazione delle nuvole, e la metamorfosi delle loro forme. Intravide anche la possibilità di un procedere secondo una “scala spirituale”, analogamente all’ascendere delle piante, secondo una diversità di caratteristiche dell’atmosfera a diversi livelli. Anche qui Steiner sottolineava come tutto questo non doveva concepirsi come realtà fisica nello spazio, come pensavano coloro che pensavo di confutare Goethe, ma come una realtà da osservarsi coi sensi sottili e spirituali. In ogni caso la moderna meteorologia correla le forme delle nubi anche al fattore dell’altitudine; questo in qualche modo rende giustizia alla, inizialmente poco compresa, intuizione di Goethe.


Passiamo allora considerare la natura del “metodo goethiano” che ha interessato Rudolf Steiner. Bisogna capire in cosa dovrebbe risiedere quel penetrare l’essenza di un fenomeno, realizzando quella che la scolastica chiamava  l’intuitio intellectualis  e scorgendo l’interiore realtà di quel noumeno che ad esempio nella gnoseologia kantiana era dato per inconoscibile inattingibile. Sottesa al “metodo” goethiano sta una concezione del conoscere assai diversa da quella kantiana ed anche dal conoscere secondo l’empirismo anglosassone. Nelle immagini percettive è dato solo incompleto, almeno per lo Spirito umano che tende, in esse a cercare connessioni, ideali ed un ordine (leggi). Il conoscere consiste proprio nel trascendere il dato sensibile, nel rimandare a un ordine  precluso alla percezione sensibile, la quale, se fosse già “completa” rendere il conoscere del tutto inutile. Per Goethe il pensiero, funzione dello Spirito, percepisce o meglio può percepire quell’elemento trascendente; lo può poiché esso è un strumento, un organo (più o meno come lo è l’occhio).  Il pensiero può percepire l’idea. Il contenuto intellettuale della conoscenza è e deve essere oggettivo quanto quello dei sensi. Essenziale è per Goethe avvicinarsi alla dimensione trascendente (piano spirituale) sempre in modo mediato, partendo cioè dal’osservazione della Natura. Occorre tuttavia porsi di fronte all’oggetto del percepire, facendo decadere ogni dato soggettivo-estrinseco. Si pone così la premessa perché il dato sensibile possa far sorgere l’elemento ideale che esso porta con sé: quell’elemento intellettuale che normalmente deve corredare il dato sensibile perché possa esserci vera conoscenza; non tuttavia il “concetto”, elaborazione soggettiva riflessa del pensiero speculativo, ma l’elemento ideale oggettivo, l’Idea, contrapposta al mero concetto astratto. Questo contenuto ideale “il pensiero non lo produce ma lo percepisce. Il nostro pensiero infatti non è produttore ma organo di percezione” (R. Steiner, op. cit. pag.74). L’osservatore lascia sorgere l’esperienza pura del percepire, liberata dall’elemento sensibile. Non si tratta per la verità di eliminare il sensibile (inteso come ciò che origina dalla corporeità) ma assumerlo nella sfera del pensare. Ciò che viene eliminato è solo ciò che viene comunicato attraverso il corpo: non il contenuto del percepire, ma la sua dipendenza dall’elemento psichico-soggettivo, denudando così l’oggettività essenziale del contenuto, nella sfera del pensare.

Si introduce così il tema – motivo per cui ci interessiamo all’opera di Goethe – del Pensiero libero dai sensi, nucleo gnoseologico dell’opera di Steiner, posto a fondamento del suo procedere nell’indagine occulta sul sovrasensibile. Steiner coglie nell’ideale di scienza goethiano un metodo di indagine che in effetti porrà alla base di quello che doveva essere, per lui, il processo di formazione occulta del discepolo, onde sviluppare la capacità di comprensione e visione dei Mondi superiori. Nella sua sistemazione dei “Sei esercizi” il primo è proprio quello rivolto alla Liberazione del Pensiero. Uno dei più importanti continuatori del suo filone, Massimo Scaligero, ne farà addirittura una via autonoma, la Via del Pensiero, sviluppando in modo specifico il tema legato alla liberazione di questa facoltà. Il nucleo essenziale di questa via di ascesi consiste nel concentrare il pensiero su oggetti sensibili – meglio se di fabbricazione umana- escludendo progressivamente ogni dato specifico, le qualità non essenziali all’oggetto stesso, fino a dischiuderne il “nucleo essenziale”. Scopo di questo processo non è tanto l’entrare in contatto con l’essenza di un dato oggetto (cosa che è peraltro comunque possibile) quanto il far emergere una corrente originaria del pensiero. Con l’esercizio, il pensiero umano si spoglia della sua componente “riflessa”, cioè la sua dipendenza dal sistema nervoso e si presenta come un calmo dimorare nella sua corrente originaria, risalendo così al pensiero puro, che non dipende dal sistema nervoso ma vibra poderoso e silente nel corpo eterico. In questa corrente del pensiero fluisce la potenza originaria del Logos, che si è incarnato nel corpo eterico umano, a cui l’uomo può ascendere partendo dal pensiero ordinario, liberandolo bensì dalla subordinazione ordinaria all’elemento psichico-sensoriale, e all’organo cerebrale.
Si attua così il passaggio al pensiero pensato al pensiero pensante (o in termini ermetici: dal pensare cerebrale-riflesso e lunare al Pensare solare, secondo lo Spirito). Saggi_sull_Ideal_4c207ccaaebb6Vi sarebbe dunque nel pensiero una possibilità privilegiata, preclusa ad altra facoltà umane (sentimento, istinto, impulsi sessuali) di retrocedere lungo il percorso di “caduta” o discesa, ascendendo all’ autocoscienza dell’Io, sino alle soglie dell’elemento assoluto dello Spirito.

J. Evola che di Scaligero fu amico e ispiratore, almeno fino ad un certo punto del loro percorso spirituale, teorizzò un altro “punto di leva” nell’ascesi ermetica verso il processo di enucleazione dell’Individuo Assoluto (al di là delle implicazioni filosofiche di questa espressione): la Volontà. Da qui il maggior interesse di Evola per le tradizioni realizzative a fondo operativo (tantrismo, cavalleria, ermetismo magico etc.) rispetto a quelle a più specifico orientamento conoscitivo-contemplativo, e una differente gradazione fra la via dell’Azione e quella della Conoscenza nella biografia spirituale di questi due ricercatori. Con un curioso paragone potremmo dire che le Opere scientifiche di Goethe ebbero, rispetto alla scuola di ascesi di Steiner, Colazza, Scaligero, il medesimo ruolo di ispirazione che ebbe per Evola l’ “Idealismo magico” di Novalis, altro grande poeta del romanticismo tedesco.

 

Matteo Martini

Articolo originario da Il Caduceo



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