Il concetto di sutura, un pilastro della chirurgia moderna, ha radici che affondano in pratiche antiche e sorprendentemente ingegnose. L’umanità comprese abbastanza velocemente che i lembi delle ferite profonde andassero “ricuciti” ed elaborò soluzioni molto creative. Una di queste, documentata in varie culture ed epoche, prevedeva l’uso di formiche.1
Le formiche come punti di sutura
L’uso di formiche per suturare le ferite è una pratica che si ritrova in diverse civiltà antiche.2 Già intorno al 1000 a.C., i medici indiani Susruta e Charaka ne riferirono l’utilizzo. In tempi più recenti, anche i campi di battaglia della Rivoluzione Greca (1821-1832) videro l’applicazione di questa tecnica, come testimoniato dal generale Ioannis Makriyannis [1]. La pratica è presente anche in Medio Oriente e nell’America Centrale e Meridionale, dove alcune popolazioni indigene la utilizzano ancora oggi [2, 3].

Si utilizzavano formiche giganti, come quelle appartenenti alle specie Oecophylla smaragdina e Eciton burchelli, o le formiche tagliafoglie (Atta e Acromyrmex), note per le loro potenti mandibole [2, 3].3 L’operatore afferrava l’insetto, lo avvicinava ai margini della ferita e lo lasciava mordere. Una volta che le mandibole stringevano saldamente i due lembi di pelle, la formica veniva decapitata, lasciando la testa con le mandibole in posizione per mantenere la ferita chiusa. Questo metodo offriva una chiusura solida che poteva durare per diversi giorni [2].
Un’interessante documentazione di questa tecnica arriva dalla Persia dell’era Safavide (1501-1736).4 Il medico e chirurgo militare Hakim Mohammad, nel suo libro Dhakhira-yi-Kamilah, descrisse l’uso di formiche, in particolare le cosiddette “formiche di fuoco”, per suturare ferite addominali e intestinali [4]. L’importanza del suo lavoro risiede anche nelle dettagliate raccomandazioni post-operatorie che forniva, relative all’alimentazione del paziente e al trattamento del dolore e delle infezioni. Questo dimostra che, sebbene il metodo fosse rudimentale, era inserito in un contesto di cura e gestione del paziente [4].
Questa ingegnosa tecnica “naturale”, che usava una materia prima facilmente reperibile, era particolarmente utile in scenari con poche risorse come i campi di battaglia o le zone povere [3, 4]. Alcuni resoconti aneddotici suggeriscono persino che le ferite trattate con le formiche fossero meno soggette a infezioni rispetto a quelle non curate [3]. Questo potenziale effetto antisettico potrebbe derivare dalle ghiandole metapleurali delle formiche tagliafoglie, che secernono componenti bioattive in grado di inibire una vasta gamma di microrganismi [3].
Riferimenti:
- Iavazzo, C., et al. (2013). “Ant mandibles as staples in the era of Greek patriot Ioannis Makriyannis (1797–1864)”.5 Journal of Medical Biography. Link a PubMed
- Schiappa, J. and Van Hee, R. (2012). “From Ants to Staples: History and Ideas Concerning Suturing Techniques”. Acta Chirugica Belgica. Link a ResearchGate
- Davis, H. E. (2019). “Leaf-Cutter Ants in Wound Closure”. Wilderness & Environmental Medicine. Link a SAGE Publishing
- Sepehrikia, S., et al. (2022). “Investigation of suture surgery with ant by Hakim Mohammad the Iranian surgeon of Safavid Era (1501 to 1736)”. Journal of Contemporary Medical Sciences. Link a Journal of Contemporary Medical Sciences