La foto ritrae un uomo che soffre di una pericolosa sindrome psichica: egli, infatti, desidera ardentemente comandare i suoi simili. Il termine più sintetico per indicare questo soggetto è “politico” (professionista o semi-professionista; il dilettante appartiene ad una sottospecie assai vicina a quella degli utili idioti).
Egli giustifica questa sua patologia affermando che vuol mettersi al servizio della collettività, ma è davvero bizzarro ragionare così: io desidero il potere affinché possa giovare a coloro che dovranno obbedirmi. Questo ragionamento mi sembra evidentemente illogico, come quello di chi andasse in un ristorante e chiedesse al padrone di essere pagato per fare molti ottimi pasti.
Chi cerca il potere può essere in perfetta buona fede altruista o può essere in cerca di una affermazione personale. In entrambi i casi, si tratta – a mio parere – di un problema mentale: se si è in buona fede, si è evidentemente dei megalomani, sicuri di poter fare più e meglio di tutti coloro che ci hanno preceduto o ci circondano. Se si vuole il potere solo perché cummanà è meglio che fottere, si è delle persone miserabili e spregevoli.
Ma torniamo alla foto.
In questa foto, l’affetto da patologia comportamentale sorride con tutta la sua imponente dentatura. È in camicia e cravatta, ha le maniche rimboccate, perché questa – secondo l’attuale politologia più avvertita – è la divisa dell’uomo che “vuole fare”; cosa voglia fare pare sia ininfluente: mi spaventa molto un uomo che ha come massima ambizione voler decidere per i suoi simili, ma oggi “fare” è una categoria assoluta, è un elemento comunque positivo, non deve fornire prove o spiegazioni: “il fare” è bene. Punto e basta. “L’uomo del fare” è bene; l’uomo che fa si toglie la giacca ad ogni occasione in cui siano presenti più di due persone e si rimbocca le maniche, come fosse un muratore o un fornaio: deve fare, deve mostrare che fa, che è uomo attivo.
Bene.
L’uomo in camicia nella foto è ritratto con un altro uomo, questo però porta la giacca forse perché non è più candidato ad una elezione.
I due parlano e sembrano di ottimo umore.
Il particolare della foto che mi ha sbalordito (e per cui scrivo queste poche note) è accanto all’uomo in camicia: è un terzo uomo che regge un grande ombrello per proteggere dalla pioggia il tale in camicia.
Ora, poiché il tale in camicia non compie alcuna azione che richieda l’uso libero di entrambe le mani, mi chiedo: perché non si tiene l’ombrello da solo?
Perché un uomo deve portare l’ombrello per un altro?
Forse perché è un suo carissimo amico, e vuole risparmiare questa minima seccatura all’altro, evidentemente molto pigro?
Ma il tale in camicia non trova discutibile che qualcuno regga l’ombrello per lui? O peggio: egli trova naturale che gli si debba tenere l’ombrello?
In fondo, può pensare il lettore, questa è una faccenda di nessuna importanza.
Forse. O forse è una terribile dimostrazione di come agisce il potere, anche nelle minime cose.
Lincoln si puliva le scarpe da sé. Quando un giornalista lo notò inorridito, lui rispose:
“Meglio lucidare le proprie scarpe che quelle di un altro.”
Io credo che non ci sia alcuna speranza per la politica, fin quando vi saranno persone che reggono ombrelli per persone che se li fanno reggere e trovano tutto ciò normale, ovvio, forse simpatico.
Paolo Cortesi