Una serie di sepolture anomale nell’antica città etrusca rivela, tra l’altro, qualcosa di assolutamente inatteso: un’anziana donna di origini scandinave o baltiche, emigrata dopo l’infanzia e integrata nella comunità di Tarquinia dell’VIII- IX secolo a.C.
Una serie di anomalie
Tra il IX-VII secolo a.C. per gli etruschi la consuetudine era di incenerire i loro defunti e conservarne le ceneri in necropoli al di fuori dell’abitato. Tarchuna (antico nome di Tarquinia), aveva una serie di questi siti, dove le urne cinerarie (a capanna o biconiche) venivano deposte in tombe a pozzo, a capanna o a tumulo. L’inumazione, cioè deporre il corpo del defunto senza incenerimento, era una pratica molto rara anche se non del tutto assente.

La Civita di Tarquinia ha il suo nucleo nella zona chiamata Complesso Monumentale, un insediamento che ebbe origine intorno al X secolo a.C. aggregandosi nell’area di una cavità naturale sacralizzata. Qui fu trovato lo scheletro di un bambino albino affetto da epilessia, risalente al X-IX secolo e quello di un altro infante, morto per trauma violento e decapitato post mortem nel VII secolo a.C.
Ma in questa sede di concentriamo su un gruppo di venti inumazioni eccezionalmente conservate all’interno dell’area sacra, che ha sfidato le certezze archeologiche, raccontando una storia inattesa e sorprendente di mobilità, duro lavoro fisico, violenza e diversità.

Al centro di questa scoperta c’è il Progetto Science@Tarquinia, una collaborazione pionieristica tra l’Università degli Studi di Milano e l’Università di Cambridge. Come dettagliato in un recente articolo sulla prestigiosa rivista Scientific Reports, le analisi su sei di questi individui inumati stanno riscrivendo la narrazione sull’antica Etruria, svelandone una complessità e una rete di contatti ben oltre le aspettative.
Un rito anomalo e una presenza inaspettata: il mistero delle inumazioni urbane
Le venti sepolture rinvenute nel “complesso monumentale” di Tarquinia si distinguono per la loro collocazione insolita: sono state trovate all’interno dell’area urbana anziché nelle necropoli tradizionali. Ancora più sorprendente è la pratica dell’inumazione, in netto contrasto con la cremazione, che era la norma per la cultura etrusca dell’epoca. Questa anomalia suggerisce l’esistenza di pratiche funerarie atipiche e un significato profondo legato a questi individui.

Le sepolture, che vanno dal IX al VII secolo a.C., sono sempre associate a superfici ricche di cenere e spesso a blocchi o strutture in pietra, suggerendo un rito specifico e di lunga durata. Perché queste persone sono state sepolte proprio nella città e non nella necropoli? Perché sono state inumate e non incenerite? A queste domande si è cercata una risposta con il Progetto Science@Tarquinia, che ha messo in campo studi interdisciplinari come: analisi osteologica, indagini isotopiche e analisi del DNA antico.
Veniamo alla scoperta più sorprendente: l’individuo 11, oggetto anche di un secondo studio di approfondimento.
L’individuo 11: una donna nordica tra gli etruschi di Tarquinia del IX-VIII secolo a.C.
- Analisi osteologica: L’Individuo 11 era una donna anziana, tra i 55 e i 75 anni di età, alta circa 163 cm. Il suo cranio mostrava segni di mascolinizzazione probabilmente conseguenti a scompensi ormonali associati alla menopausa. Lo scheletro mostrava forti evidenze di osteoartrosi spinale lungo tutta la colonna vertebrale, con una particolare prevalenza a livello cervicale, quest’ultima forse da associare ad attività ripeture che comportavano la rotazione della testa. Le ossa raccontano anche di osteoartrosi negli arti superiori e inferiori e di cambiamenti entesici più pronunciati sul lato sinistro del corpo. Il tutto indice di una vita probabilmente caratterizzata da continui sforzi fisici e una vecchiaia in cui il soggetto soffriva vari dolori.
- Analisi isotopiche (stronzio, ossigeno, carbonio, azoto): Le analisi degli isotopi di stronzio () hanno fornito la prima, cruciale indicazione della sua provenienza. I valori rilevati per l’Individuo 11 si discostano significativamente dalla linea di base locale di Tarquinia, suggerendo che abbia trascorso la sua prima infanzia in un’area geografica diversa. Questo è un dato di grande importanza, poiché lo stronzio presente nello smalto dentale (che si forma nei primi anni di vita e non si rimodella) riflette la composizione geologica dell’ambiente in cui una persona è cresciuta. Le analisi degli isotopi di carbonio () e azoto () hanno rivelato una dieta mista, con un significativo apporto sia di pesce che di alimenti terrestri.
- Analisi del DNA antico (aDNA): La conferma più sorprendente è arrivata dall’analisi del DNA antico. Per l’Individuo 11, il DNA estratto è stato sufficiente per determinarne che era una donna con un profilo genetico allineato in modo inequivocabile con le popolazioni del Nord Europa, scandinave e baltiche, un risultato del tutto inatteso per l’Età del Ferro in Italia. Ulteriori analisi del profilo di pigmentazione hanno indicato che questa donna aveva occhi marroni, capelli castano chiaro e una carnagione intermedia.
Gli altri cinque scheletri
L’Individuo 12: la giovane col mal di schiena
Una giovane donna del posto, di età compresa tra i 25 ed i 35 anni, alta circa 163 cm, anch’essa dell’VIII secolo a.C.. Il suo scheletro mostra i segni di una vita fisicamente impegnativa, in cui ha svolto attività che hanno sottoposto a forte stress la sua colonna vertebrale e i suoi arti superiori, in particolare le mani, ben oltre quanto ci si aspetterebbe per la sua età.
L’Individuo 14: la donna vittima di violenza
Una donna tra i 30 e i 45 anni di età, del posto, sepolta tra il IX e il VII secolo a.C., anche lei presentava evidenti segni di stress biomeccanico, quindi faceva una vita di duro lavoro fisico. Ha tracce evidenti di traumi multipli al cranio, alla spalla e alla mandibola, chiaramente attribuibili a violenza. La sua pigmentazione indicava occhi marroni, capelli castano scuro e pelle intermedia o scura. La sua dieta era terrestre e ricca di carne.
L’Individuo 8: la donna tra terra e mare
Una donna tra i 40 e i 55 anni, alta circa 160 cm, sepolta intorno al 650 a.C., mostrava segni di intense attività lavorative e una dieta che comportava la masticazione di cibi duri. Aveva ascessi dentali e ipoplasia dello smalto. Anche lei presentava diverse lesioni traumatiche, tra cui costole, braccio sinistro e cranio. Gli isotopi di stronzio indicano una provenienza diversa da Tarquinia, mentre la dieta era fortemente dominata dagli alimenti marini. Aveva occhi azzurri, capelli castano chiaro e pelle chiara-intermedia.
L’Individuo 19: l’uomo del mare
Un uomo anziano, tra i 60 e gli 85 anni di età, alto circa 167 cm, sepolto tra il IX e il VII secolo a.C., con segni di malattie degenerative e stress metabolico giovanile. Le sue ossa ci raccontano di una vita di grande lavoro fisico, probabilmente legato all’acqua, anche in età avanzata. La sua dieta era distintamente dominata da alimenti marini, e le sue analisi genetiche lo collocano tra le popolazioni mediterranee dell’Età del Ferro. Aveva occhi azzurri, capelli castano chiaro e pelle intermedia. Il soggetto è morto per un violento trauma cranico. Non si può escludere che sia sato ucciso sul luogo di sepoltura, in una forma di sacrificio rituale.
L’Individuo 10: il guerriero locale
Un uomotra i 35 e i 55 anni, alto circa 172 cm, sepolto nell’VIII secolo a.C., presentava un’usura dentale marcata e stress metabolico. I traumi al cranio, alle costole e all’ulna destra suggeriscono tentativi di parare colpi, indicando una morte potenzialmente violenta. Anche lui si colloca geneticamente tra le popolazioni italiane dell’Età del Ferro e aveva occhi azzurri, capelli scuri e pelle intermedia. La sua dieta era a basso contenuto marino.
Questi sei individui dipingono un quadro affascinante e inaspettato della Tarquinia arcaica. Erano persone con storie mediche complesse, spesso vittime di violenza, e straordinariamente diverse per aspetto e provenienza. La presenza di tratti come gli occhi azzurri nel 50% dei soggetti esaminati suggerisce una diversità fenotipica notevole in queste antiche popolazioni etrusche.
Abbiamo poi un altro elemento che abbatte la nostra visione stereotipata in cui le antiche società relegavano le donne a ruoli fisicamente poco impegnativi. Sia gli uomini che le donne hanno mostrato evidenze di una vita con elevato stress fisico biomeccanico.
Sacrifici animali: riti e simbolismi
Accanto alle sepolture umane, gli archeologi hanno rinvenuto resti di ovini, suini e bovini, alcuni dei quali con evidenti segni di macellazione rituale. Le meticolose analisi archeozoologiche hanno permesso di identificare le specie, stimare l’età e il peso degli animali al momento del sacrificio, e persino determinare gli strumenti utilizzati, come coltelli affilati e accette. La presenza di tracce di bruciature su ossa e ceramiche suggerisce inoltre pratiche complesse legate alla cottura, a incendi rituali o ad altre cerimonie religiose, arricchendo il quadro delle usanze etrusche e offrendo indizi sulle abitudini alimentari e sullo sfruttamento delle risorse animali. È stato possibile comprendere, ad esempio, l’intensivo sfruttamento dei suini, la qualità della lana delle pecore e la produzione di latte e formaggio.

Implicazioni rivoluzionarie e prospettive future
La presenza di una donna nordica e la diversità riscontrata negli altri inumati abbattono l’idea stereotipata di comunità etrusche isolate, suggerendo invece l’esistenza di reti di contatto e di mobilità su distanze estese, che collegavano l’Etruria a regioni geografiche molto distanti. L’inumazione di questi individui in un contesto sacro, con segni di ritualizzazione e commemorazione, suggerisce che fossero figure di spicco, la cui memoria era cruciale per la coesione e l’identità collettiva di una città in formazione. Personaggi importanti la cui vita era stata fisicamente molto impegnativa.