23.6 C
Battaglia Terme
Home Blog Pagina 335

Gli squadroni della morte sbarcano in Iraq a caccia di sunniti

Si chiama "Opzione Salvador". È la nuova strategia con cui il Pentagono intende avere ragione della Resistenza irachena. Il pantano Iraq è ormai una realtà, l'operazione dello scorso novembre a Falluja, concordano molti analisti, non è riuscita a rompere la spina dorsale dell'insurrezione come aveva ottimisticamente annunciato il generale dei marine John Sattler. È un dato di fatto, una realtà con cui l'amministrazione Bush deve fare i conti. 
Così arriva la soluzione dal nome latinoamericano, triste riferimento a pratiche di repressione di reaganiana memoria. La trovata del ministero della Difesa americano è stata rivelata qualche giorno fa dal settimanale Newsweek, con una tranquillità che ha del terrificante: il Pentagono sta infatti dibattendo intensamente su un'opzione che ricalca la strategia "segreta" utilizzata dall'amministrazione Reagan contro l'insurrezione della guerriglia in Salvador e nel resto dell'America centrale nei primi anni Ottanta. Si parla degli "squadroni della morte": le bande paramilitari finanziate da Washington che davano la caccia ai ribelli sudamericani, per poi torturarli e ucciderli. La stessa sorte toccava ai simpatizzanti della guerriglia: donne, bambini sono stati massacrati senza pietà, intere generazioni sono scomparse nel nulla durante la repressione delle lotte di liberazione che negli anni '80 hanno attraversato l'America Latina. E la longa manus statunitense, che tutelava gli interessi delle multinazionali in quella parte di mondo nella pedissequa applicazione della dottrina Monroe – quella che considera l'America centrale un'area di esclusiva "competenza" yankee – ha lasciato in quei luoghi le sue impronte digitali. Tracce che ora ritroviamo a Baghdad. Non è infatti un caso che l'attuale ambasciatore americano in Iraq sia John Negroponte, plenipotenziario statunitense in Centro-America negli anni ottanta, ambasciatore in Honduras durante gli anni della rivolta, che ottenne "un buon successo" nella repressione dei movimenti di liberazione. Era lui ad organizzare il finanziamento e la formazione degli "squadroni della morte". Una esperienza che non poteva certo rimanere infruttuosa… "Opzione Salvador" sarà il nome dell'ondata di sanguinosa repressione che gli atlantici intendono mettere in atto in Iraq per uscire dall'empasse in cui li ha cacciati la guerriglia antiamericana. ''Quello su cui tutti concordano è che non possiamo andare avanti così – ha riferito al Newsweek un'alta fonte militare Usa -. Dobbiamo trovare il modo di passare all'offensiva contro gli insorti. Ora stiamo giocando in difesa. E stiamo perdendo''. Una proposta, ha quindi rivelato il periodico statunitense citando fonti militari, è quella di inviare squadre speciali americane a consigliare e addestrare gruppi iracheni di elementi scelti uno a uno fra i peshmerga curdi e i miliziani sciiti per dare la caccia, anche oltre il confine con la Siria, a insorti sunniti e loro sostenitori, con lo scopo di assassinarli o forse sequestrarli. Resta infatti non chiarito se questa "Opzione" debba essere una strategia di eliminazione fisica o di rapimento dei "bersagli", per trasferirli in località segrete e interrogarli. 

Considerate le tecniche di interrogatorio utilizzate impunemente dai militari Usa, il nocciolo del problema non cambia di certo. Secondo le notizie raccolte dal settimanale americano, le forze speciali Usa dovrebbero effettuare le operazioni di rastrellamento dei ribelli fuori dai confini iracheni, ad esempio in Siria, mentre le attività all'interno del Paese occupato sarebbero affidate ai paramilitari iracheni finanziati da Washington. Gli insorti, ha riferito a Newsweek una fonte del Pentagono, "sono soprattutto nelle aree sunnite dove la popolazione, quasi 200.000 persone, collabora con la resistenza. Il fulcro del problema – ha chiosato – è che la popolazione sunnita oggi non paga alcun prezzo per l'aiuto fornito ai terroristi. La nostra nuova strategia è volta proprio a incutere terrore nella gente della strada sui rischi insiti nell'aiutare i ribelli". Per avere la gestione di questa splendida e risolutiva proposta si starebbero già accapigliando il Pentagono e la Cia. "Con Rumsfeld – ha scritto Newsweek – il Pentagono ha cercato aggressivamente di costruire il proprio apparato di intelligence clandestina, guidato dal sottosegretario alla Difesa Stehen Cambone". Ma questo urta la suscettibilità dei vertici Cia, contrarissima a cedere al ministero della Difesa un compito che, storicamente, le spetta: torturare e uccidere gli oppositori alle politiche d'importazione americana. Una prassi pienamente condivisa, anzi, incoraggiata dal premier interinale iracheno. Pare infatti che Ayad Allawi sia uno dei più fermi propugnatori dell' "Opzione Salvador", che verrebbe coordinata da Abdallah Al-Shahwani, direttore dell'intelligence irachena, lo stesso personaggio che di recente ha, guardacaso, più volte sostenuto che i capi della resistenza irachena, i ba'athisti che guidano i ribelli, sono rifugiati in Siria. È quindi una coincidenza che Allawi, il burattino degli Usa, stia da mesi chiedendo la pena di morte per gli esponenti dell'Associazione degli Studenti Musulmani, religiosi sunniti che si oppongono alle elezioni, mentre nel frattempo due di questi religiosi sono stati assassinati da una mano sconosciuta? Forse gli "squadroni della morte" di Negroponte, in Iraq dalla scorsa estate, hanno già iniziato a lavorare. E su indicazione dell'uomo-Cia Allawi. Nessuno, però, si scandalizza. Quando a perseguitare, torturare, e uccidere sono coloro che assegnano le patenti di "democraticità", tutto rientra nella normalità della cosiddetta guerra al terrorismo. Il mondo allineato farà il tifo per i "cacciatori di teste sunnite", in una grottesca – voluta – confusione di ruoli, responsabilità, diritti. La democrazia americana si regge e prospera sui cadaveri delle genti sfruttate, umiliate, invase e trucidate da "squadroni della morte" di volta in volta approntati alla bisogna. In ogni parte del mondo. Oggi in Iraq. Domani chissà.

Fonte: Rinascita


 

Truppe in Iraq: chi sono e cosa fanno? Inviato da Simone Colzani

Stati Uniti d’America (130.000 uomini). Esercito di guerra con a capo il Presidente G.W.Bush. Noto ex-alcolizzato, Mr. Bush dice di aver smesso di bere quando ha incontrato Gesù, che gli avrebbe dato un messaggio da dare al mondo (in verità era sbronzo perso ed aveva incontrato un postino che gli aveva consegnato una raccomandata). Questo esercito ha invaso l’Iraq dichiarandosi non imperialista. Suoi stretti alleati in tale azione sono stati l’Inghilterra e la Spagna (quando ti dichiari non imperialista l’Inghilterra e la Spagna sono sicuramente gli alleati migliori con cui stare).

Regno unito (9.000 uomini). Esercito di guerra capitanato da Tony Blair, esponente della sinistra europea al quale sfugge la differenza tra socialismo e nazionalsocialismo. I componenti dell’esercito inglese sono famosi per il loro savoir-faire e cortesia, che li distingue dai colleghi americani. Infatti a differenza dei marines quando fanno irruzione nelle case civili irachene, donne e bambini presenti, non dicono "US Army! Hands up and fuck you Iraqi fucks! Where are the terrorists?", ma utilizzano la seguente forma più cortese: "British Army! Hands up and fuck you Iraqi fucks! Where are the terrorists? Please"

Albania (70 uomini) Esercito di scafisti capace di coprire la tratta Durazzo-Bari in soli 35 minuti grazie alla loro potente flotta di gommoni da 3,5 mt che montano 3 motori fuoribordo da 1350 cavalli l’uno (apparentemente sono anche capaci di volare).

Australia (800 uomini) Esercito insignificante. Gli australiani hanno una paura tremenda di essere invasi dall’Indonesia o qualunque altro paese asiatico per cui ubbidiscono ciecamente ad ogni cazzata che dicono a Washington. Pare che George Bush abbia detto "Io ho un ottimo rapporto con il primo ministro australiano, appena mi vede scodinzola e si mette ad abbaiare. E’ solo una rottura doverlo portare al parco per fargli fare la pipì ma per il resto è una persona affidabile"

Azerbaijan (150 uomini) Esercito né carne né pesce. Quando gli americani parlano con i suoi soldati la prima cosa che gli chiedono è "Arzebaijan? Dove cazzo è?" cosa che tiene incredibilmente su il morale delle truppe che vengono spesso viste girovagare ubriache fradice per Baghdad gridando "E io che cavolo ne so!"

Bulgaria (480 uomini) Esercito famoso la sua efficienza ed assoluta mancanza di burocrazia. Ha dovuto temporaneamente sospendere le operazioni militari in quanto ha terminato i moduli AB1 (richiesta di rispondere al fuoco) e B6 (richiesta per chiedere "Che diavolo ci facciamo qui ragazzi?").

Canada (31 uomini) Esercito di dementi. Ufficialmente il Canada si è dichiarato contrario all’intervento USA e non ha inviato truppe. Tuttavia, ufficiosamente, i soldati canadesi sono in Iraq perché fanno parte di un programma di addestramento con l’esercito britannico. Gli è stato detto che sarebbero partiti con mansioni di osservatori internazionali presso il quartiere "Forcella" di Napoli durante le festività di capodanno per cui se sentivano qualche botto non dovevano preoccuparsi. Si riconoscono subito in quanto viaggiano sempre in gruppo, guida turistica di Napoli alla mano, e chiedono ai malcapitati che capitano sulla loro strada "Excuse me! Where is a pizzeria?"

Danimarca (420 uomini), Norvegia (179 uomini) – Eserciti scandinavi dotati di un forte senso di autoironia. Se ci sono sparatorie si buttano a terra e si irrigidiscono fingendosi morti. Quando i comandanti americani gli chiedono "Che diavolo state facendo?" rispondono "lo stoccafisso!".

Estonia (31 uomini) Esercito di poveracci. Non sanno perché sono in Iraq. Dicono che il primo ministro Estone gli abbia dato una pacca sulle spalle ed abbia detto "Allora ragazzi – chi di voi vuole andare in spiaggia quest’estate?". Il loro livello di confusione è evidente perché quando si muovono nel deserto viaggiano equipaggiati di paletta, secchiello, ombrellone e sedia a sdraio.

Filippine (80 uomini) Esercito di colf.

Georgia (70) Esercito di disperati. Quando gli hanno detto che sarebbero andati in Iraq per esportare la "democrazia" hanno replicato "Che bello! Potremmo averne un po’ anche noi?"

Giappone (240 uomini). Esercito asiatico aggressivo e ribelle. Quando hanno detto ai soldati giapponesi che avrebbero dovuto sparare ai Kamikaze hanno risposto "Ehi! Nessuno ci ha detto che dovevamo sparare ai nostri!".

Honduras (369 uomini) El Salvador (361 uomini) Repubblica Dominicana (302 uomini). Eserciti caraibici allegri e solari famosi per le loro terribili danze di guerra quali "Salsa", "Merengue", "Cia-Cia-Cia" e "Calipso". Sono in grandiosa sintonia. Due di loro hanno sparato una volta sola a Najaf e si sono cagati addosso tutti quanti.

Italia (3000 uomini) Esercito di pace formato da truppe di elite. Il prossimo avvicendamento prevede la sostituzione dei Bersaglieri con le famose Truppe Alpine della Brigata Taurinense composte all’80% da elementi provenienti da una nota regione montagnosa italiana conosciuta come "Puglia" e ricca di importanti stazioni sciistiche invernali quali Trani, Molfetta ed Otranto.

Kazakistan (25 uomini) – Esercito di emigranti. In Kazakistan si sta talmente male che quando hanno detto ai soldati "Qualcuno vuole la carta verde degli Stati Uniti?" i soldati hanno capito che sarebbero emigrati negli USA. Al loro arrivo in Iraq hanno avuto una doppia razione di carta igienica di colore verde prodotta da una famosa azienda americana.

Lettonia (120 uomini), Lituania (118 uomini) – vedi quanto detto per l’Estonia.

Macedonia (37 uomini) Esercito estremamente dolce e leggero, generalmente servito dopo un abbondante primo o secondo, e accompagnato con maraschino o gelato alla crema.

Moldavia (50 uomini) Vedi quanto detto per il Kazakistan.

Mongolia (160 uomini). Esercito di uomini estremamente astuti denominati "Mongoli" dal cui nome deriva l’espressione "Mongolino d’Oro" premio dato a chi dei loro comandanti si distingue meglio sul campo. Sono quelli che si annunciano durante le perquisizioni nelle case di Baghdad con la famosa frase "Postino! Apra la porta per favore".

Olanda (1100 uomini) Esercito esperto nella guerra chimica e psicologica. Dispone di un potente arsenale bellico contrassegnato da nomi in codice quali : Skunk, Libanese, Pakistano, etc. A Baghdad i soldati olandesi si trovano spesso in locali utilizzati per servizi di intelligence che camuffano abilmente con il nome di "Coffee Shop".

Polonia (2460 uomini) Esercito di rompiballe. La Polonia non perde l’occasione di rompere i marroni in ogni benedetta situazione. Non solo ha mandato all’aria il progetto di costituzione europea (fatevi una risata non erano ancora dentro l’Unione Europea quando l’hanno fatto) ma ha anche chiesto di poter avere potere di veto sul progetto di costituzione irachena. Quando gli americani gli hanno chiesto "Perché?" il governo polacco ha replicato "E perché no?".

Portogallo (128 uomini). Esercito di scrocconi. I soldati portoghesi pattugliano da soli le strade di Baghdad chiedendo alla popolazione civile: "Ehi amico! Hai mica una moneta per un panino?".

Repubblica Ceca (80 uomini) Esercito di buontemponi. A Baghdad parcheggiano sempre le loro jeep nelle aree riservate ai disabili lasciando un biglietto con scritto "Ceco alla guida."

Romania (700 uomini) – Esercito di Rom che fornisce servizi essenziali per la popolazione civile irachena quali lettura di tarocchi e addestramento nel borseggio e furto con scasso.

Slovacchia (102 uomini) Formato principalmente da un contingente di 82 ingegneri che non trovando lavoro nel loro paese sono andati in Iraq per fare quello per cui hanno studiato. Risultato: in Iraq non funziona un cazzo e manca ad intervalli regolari l’acqua potabile e l’elettricità.

Spagna (1300 uomini) Esercito di confusionari, attualmente in fuga dall’Iraq. Prima erano un esercito di guerra e sparavano all’impazzata gridando "Te gusta la democracia? Toma!". Dopo un paio di bombe in qualche stazione ferroviaria in Spagna sembra che vadano in giro per Najaf distribuendo petali di rosa e cantando "We are the world….we are the children…."

Tailandia (440 uomini) Esercito esperto in arti marziali quali Thai Box, Ju-Jitsu, Tae-Won-Do, Kung Fu, Judo, Aikido e nell’uso di armi bianche quali sciabola, coltello, shuriken, nunchaku, bastone, catene. Dopo aver partecipato ad uno scontro a fuoco ha chiesto di essere riassegnato a missioni umanitarie nell’attesa di ricevere dei fucili.

Ungheria (300 uomini) Esercito di magiari. L’ultima volta che ha vinto una guerra è stato nel 453 a.c. e sta disperatamente tentando di rifarsi.

Da Hitler a Bush di Federico Fasano Mertens, direttore del quotidiano La Repùbblica Uruguay

quotidiano La Repùblica, del quale sono onorato di esserne direttore, di mancare "di qualunque integrità giornalistica" per il fatto di aver comparato il suo presidente, George Bush, con il cancelliere del Terzo Reich tedesco, Adolf Hitler.

Non ho potuto rispondergli prima poiché l’atto di aggressione internazionale che il suo paese ha commesso attaccando, con la più formidabile macchina di morte che la storia ricordi, un paese indifeso e quasi disarmato, mi ha obbligato a dedicare pi tempo del solito alla preparazione di edizioni speciali riguardanti la
carneficina. Inoltre ero pure occupato nel far condannare penalmente torturatori in uniforme addestrati negli Stati Uniti, i quali mi stavano calunniando, compito dal quale sono uscito con esito positivo in questi giorni.

Quando l’ambasciatore mi fece visita nel mio studio non molto tempo fa, commentai con i miei collaboratori che era l’ambasciatore degli Stati Uniti più intelligente, perspicace e umorista che avessi conosciuto. "Finalmente", dissi, "un rappresentante dell’impero con il quale si può discutere di idee che non siano i soliti insensati e annoianti cliché con i quali ci intossicano nelle riunioni che ci tocca condividere".

Però, sfortunatamente per l’ambasciatore, la sua sagacia non gli ha evitato la disdetta di dover rappresentare il 43esimo presidente della sua nazione, George Bush (figlio), un fanatico paranoico, pieno di messianismo, con meno lucidità di una bavosa, ubriaco di potere così come in passato fu ubriaco d’alcol e condannato legalmente per questo fatto il 4 settembre 1976 quando conduceva ebbro e a tutta velocità la sua automobile, ammonito anche dal famoso predicatore Graham che gli disse: "Chi sei tu, per crederti come Dio"; militante della Christian Right, la destra cristiana texana e sudista, un razzista innamorato della pena di morte, soprattutto contro i negri, e infine, il peggior presidente statunitense dell’ultimo secolo, colui che scatenerà le più grandi tragedie sopra il suo popolo…

E inoltre misogino, come qualsiasi buon razzista.

Nessuno può dimenticarsi delle umiliazioni pubbliche alle quali sottomette sua moglie, Laura Bush. Non é facile scordarsi dell’imbarazzo di Laura quando il presidente spiegò alla stampa che sua moglie non lo stava accompagnando in quel giorno "perché ha piovuto e lei deve spazzare l’entrata, visto che domani riceviamo il
presidente cinese, Jiang Zemin, nel nostro ranch di Crawford (Texas)".

Il suo compatriota, l’anziano scrittore Wurt Vonnegut non ebbe dubbi nel qualificarlo come "il più sordido e patetico golpista d’operetta che si possa immaginare". Però riportiamo il cuore all’accaduto.

Cosa vuole da me l’ambasciatore statunitense, costretto a difendere nella sua patetica disavventura il più delirante degli abitanti della Casa Bianca; cosa vuole da me che ho l’onore di processarlo con le armi della parola?

Ciò che scotta é il tema del paragone tra Adolf Hitler e George Bush.
È ovvio che esistono differenze. La prima di queste é che il criminale di guerra, genocida del popolo giudeo e del popolo sovietico, conquistò con chiara maggioranza i comizi tedeschi, mentre il criminale di guerra, genocida del popolo iracheno, arrivò al potere in forma fraudolenta, attraverso il maggior scandalo elettorale della storia statunitense.

Dal punto di vista teorico il paragone tra Bush e Hitler é corretto. Gli esperti di economia hanno definito il nazismo come la dittatura terrorista del capitale finanziario in espansione. Bush ponendosi al di fuori della legge e invadendo una nazione indifesa che non lo aveva aggredito, per appropriarsi della sua ricchezza petrolifera, la seconda maggiore al mondo, e annunciando che poi seguiranno altre nazioni petrolifere, si é avvicinato alla definizione di dittatura terrorista del capitale finanziario. Anche se non gli piace accettarlo.

George Bush teneva già nei suoi geni la radice nazista. Suo nonno, Prescott Bush, era socio della Brown Brothers Arriman e uno dei proprietari della Union Banking Corporation. Entrambe giocarono un ruolo chiave nel finanziamento di Hitler nel suo cammino al potere. Il governo statunitense ordinò il 20 settembre del 1942 la confisca della Union Banking Corporation proprietà di Prescott Bush… Il 17 novembre dello stesso anno, Franklin Delano Roosvelt confiscò, in violazione alla legge del commercio con il nemico, tutti i beni della Silesian American Corporation, amministrata da Prescott Bush. Il bisnonno del nostro George, il guerriero di Dio, Samuel, padre del nazista Prescott Bush, fu la mano destra del magnate dell’acciaio Clarence Dillon e del banchiere Fritz Thissen, il quale scrisse il libro "I Paid Hitler" (Ho finanziato Hitler), affiliandosi nel 1931 al partito nazista. (Partito Operaio Nazional Socialista Tedesco).

E se il signor ambasciatore ha ancora dubbi sulla spuria alleanza tra i Bush ed Hitler, lo prego di leggere il lucido saggio di Victor Thorn. Dice Thorn: "Una parte importante dei fondamenti finanziari della famiglia Bush fu costituita tramite il loro aiuto ad Adolf Hitler. L’attuale presidente degli Stati Uniti, così come suo padre (ex-direttore della CIA…), raggiunse il vertice della gerarchia politica statunitense poiché suo nonno, suo padre e la sua famiglia politica aiutarono e incoraggiarono i nazisti".

Tutto ciò senza contare le truffe e gli intrighi della famiglia Bush per quattro milioni e mezzo di dollari al Broward Federal Savings di Sunrise, Florida, o la truffa a milioni di risparmiatori della Banca di Risparmio di Silverado (Denver, Colorado).

Bisnonno nazista, nonno nazista, papà che non ha avuto tempo di diventar nazista poiché Hitler si era già suicidato nei giardini della Cancelleria in rovine, George ha in ogni caso usufruito della fortuna malconseguita dei suoi avi.

Però non condanniamo il nostro homo demens a causa dei suoi geni sinistri. Giudichiamolo solo per le sue opere. E paragoniamo. Paragoniamo soltanto. Come crede, il signor ambasciatore, che il delirante capo austriaco sia arrivato alla vetta del potere pubblico?

Poiché Hitler arriva al potere con elezioni pulite però si scontra con la Costituzione di Weimar la quale gli impone limiti che la sua onnipotenza non può accettare. Pianifica, dunque, l’incendio del Reichstag e in una sola notte é unto come il designatore della guerra o della pace.
Non conosce, forse, questi fatti il signor ambasciatore?
La criminale demolizione delle Torri Gemelle affonda nello stesso fango dell’incendio del Reichstag.

Ovviamente non mi permetto di osare ad aggregarmi alla tesi di coloro che accusano il gruppo bellicoso bushiano di aver orchestrato questo massacro o non averlo impedito quando sapevano che sarebbe stato preparato.
Non ci sono prove schiaccianti per la sopraccitata affermazione anche se vi sono molteplici indizi di negligenza colpevole o vasti sospetti che sono alimentati da una ferrea censura, senza precedenti nella democrazia statunitense moderna.

Un giorno, quando il popolo statunitense recupererà totalmente la libertà di informazione e di investigazione sopra il martedi nero dell’11 settembre, limitata oggi dalla "legge patriotica"…, simbolo della dignità nazionale statunitense, si potrà sapere perché trascorsero 80 minuti nel dispiegare gli aerei militari per intercettare i voli sequestrati quando si seppe immediatamente che gli aerei di linea partiti da Boston erano stati sequestrati e si dirigevano a Washington, e quando il manuale prevede l’intervento della Forza Aerea in caso di sequestro, in meno di 5 minuti.

Si potrà sapere perché si occultarono i resti dell’aereo che si schiantò sul pentagono. Si potrà sapere perché il direttore del servizio segreto pachistano, subito dopo essersi riunito a Washington con Tenet, capo della CIA statunitense, dispose, e questo lo informa il quotidiano conservatore The Wall Street Journal, che Islamabad girasse agli Stati Uniti la somma di centomila dollari a favore di Mohammed Atta, capo dell’operazione suicida contro le Torri Gemelle di New York.

Sopra questo dato terrificante é proibito investigare grazie alla sospensione della libertà civile negli Stati Uniti in vigore con la Legge Patriotica. Si potrà sapere, infine, perché 15 dei 21 componenti del commando suicida fossero originari dell’Arabia Saudita, il principale alleato degli Stati Uniti nel Golfo persico. Non c’era un solo iracheno…

Però aldilà dei sospetti, non v’é dubbio che l’incontrollabile presidente numero 43 degli Stati Uniti, unto attraverso elezioni fraudolente,… con il più basso livello di popolarità iniziale in un mandato, passasse a comandare lo scenario, ricevendo poteri inconcepibili in una democrazia, essendo stato incoronato Imperatore vendicatore per riscattare l’affronto che i barbari inflissero al suo popolo.

L’incendio del Reichstag americano dell’11 settembre fu la più grande opportunità di tutta la vita di George Bush. La peggior vittoria elettorale negli Stati Uniti di un presidente dal 1876 fino ai nostri giorni si trasformò nella maggior possibilità storica sfruttata da un belligerante qualunque per imporre al mondo il nuovo ordine statunitense.

Così come Hitler, che come prima cosa si circondò di una cricca di facinorosi come lui, enfatizzando il potere della forza tramite Goering, Goebbels, Himmler, Menguele, Eichman, il presidente texano cercò la corazza protettrice di una guardia di ferro, a tratti più bellicosa di lui, che gli impedisse la tentazione del sospetto e che portasse come lui un segno riconoscibile: tutti sono petrolieri.

Il vicepresidente Dick Cheney fu nel gruppo Halliburton Oil, il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld nella Petroliera Occidentale, la Consigliera di Sicurezza Nazionale, la zitella risuscitata Condoleeza Rice, che per uno scherzo del destino il suo nome significa "con dolcezza", é alla direzione della Chevron e possiede petroliere a nome suo. Anche Bush padre fu nel gruppo petrolifero Carlyle e l’attuale presidente, figlio di Bush, é nella Harkins Oil. Questo quintetto della morte che gira intorno al guerriero Bush, una vera "mafiocrazia", ugualmente al quintetto che si fuse con Hitler, si é nutrito di una Bibbia molto speciale.

In questo caso la filosofia di Hegel, Nietzsche, Schopenhauer, che diede vita e passione al creatore dell’olocausto del secolo XX é stata sostituita da specialisti meno colti e di minor prosapia intellettuale, però più pragmatici per l’Hitler del secolo XXI.

Quali sono gli autori a cui fa riferimento questa congrega bellicosa?

Il bostoniano Henry Cabot Lodge, affermando che "nel secolo XIX nessun popolo eguagliò le nostre conquiste, la nostra colonizzazione e la nostra espansione e adesso nessuno ci fermerà".

Marse Henry Watterson dichiarando che gli Stati Uniti sono "una gran repubblica imperiale destinata ad esercitare un’influenza determinante sull’umanità e a modellare il futuro del mondo come non lo ha fatto mai alcuna nazione, nemmeno l’impero romano".

Charles Krauthammer, il quale poco tempo fa, nel 1999, scrisse sul Washington Post: "Gli Stati Uniti cavalcano per il mondo come un colosso. Da quando Roma distrusse Cartagine nessun’altra potenza ha raggiunto la vetta alla quale siamo arrivati. Gli Stati Uniti hanno vinto la guerra fredda, si sono messi la Polonia e la Repubblica Ceca nel portafogli e poi hanno polverizzato la Serbia e l’Afghanistan. E col tempo hanno dimostrato l’inesistenza dell’Europa".

Robert Kaplan segnalando che: "La vittoria degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, così come quella di Roma nella seconda guerra punica, li ha convertiti in una potenza universale".

Il famoso storico Paul Kennedy spiegando che: "Né la pace britannica, né la Francia napoleonica, né la Spagna di Filippo II, neanche l’impero romano possono compararsi all’attuale dominio statunitense. Mai é esistita una tale disparità di potere nel sistema mondiale".

Il direttore dell’Istituto di Studi Strategici Olìn dell’Università di Harward, il professor Stephen Meter Posen, il quale afferma: "Il nostro obiettivo non é lottare contro un rivale, perché questo non esiste, ma conservare la nostra posizione imperiale e mantenere l’ordine imperiale".

L’ineffabile Zbigniew Brzezinski che dichiara: "L’obiettivo degli stati Uniti deve essere quello di mantenere i nostri vassalli in uno stato di dipendenza, garantire la docilità e la protezione dei nostri sudditi e prevenire l’unificazione imperiale mantenendo l’ordine imperiale".

Il presidente Wilson dichiarando in seno al Congresso dell’Unione che: "Insegnerò alle repubbliche sudamericane ad eleggere buoni deputati".

Il celebre Bill Sunday che definiva un comunista latinoamericano come "un tipo con muso da porcospino e un alito che farebbe scappare una volpe", aggiungendo che se potesse "Li metterei tutti in prigione fino a che non gli escano i piedi dalle narici".

Ascoltiamo adesso l’attuale vicepresidente degli Stati Uniti, Dick Cheney, e il segretario della Difesa, Donald Rumsfeld, che con Dolcezza Rice formano il triangolo bellico, più temibile di quello delle Bermude.

Il vicepresidente Cheney disse prima di questa guerra santa: "Gli Stati Uniti non devono arrossire per il fatto di essere una gran potenza e hanno il dovere di attuare con la forza la costruzione di un mondo a immagine loro". Ma il capo del Pentagono fu più chiaro, in modo che lo capissimo. Rumsfeld disse citando la fase preferita di Al Capone: "si consegue più con una parola amabile e una pistola che soltanto con una parola amabile".

Questo linguaggio che nutre l’epidermide e i neuroni di Bush, é un linguaggio… autoritario, intimidatorio che conduce inevitabilmente alla perversione morale… La caratteristica essenziale del linguaggio della banda Bush, simile al linguaggio nazista, é la semplificazione, il riduzionismo e l’intimidazione. Il linguaggio di questo gruppo depredatore é un linguaggio schematico, emotivo, carico di pregiudizi che incitano all’esaltazione più nobile del popolo. Non ho dubbi che Bush si nutra del linguaggio nazista. Bush, come Hitler, non crede nello Stato di Diritto, che non é lo Stato che fa le leggi ma lo Stato che si sottomette, anch’esso, all’impero della legge e non può trasgredirla per nessun motivo, e nemmeno per le ragioni di Stato. Nel nome della ragion di Stato e della Patria o della sicurezza nazionale si sono commessi crimini abominevoli.

Che differenze esistono tra l’edificio intellettuale di Bush e quello di Hitler nello scenario della ragion di Stato?

Non credo molte, salvo differenze di stile, epoche e splendore di forza e potere.

Il discorso della banda Bush é il discorso del padrone e dello schiavo. Non vi sono differenze con il discorso della cricca hitleriana. Uno é più amabile dell’altro. Sempre la storia ha provato che il meno amabile fu il meno mortifero.

Civilizzazione dei barbari, pacificazione dei barbari, popoli eletti e da lì alla razza eletta in un solo passo… É istruttoria la relazione che un influente assessore della sicurezza, che vive a Washington, riportò alla rivista argentina Noticias: "Nel bene e nel male, George Bush Jr., é l’uomo indicato per questa guerra. Nacque per questo. La potenza che gli viene da dentro lo fa tremare. Quando uno sta parlando con lui nel suo studio pare che si voglia mangiare colui che ha di fronte. Si siede al bordo della poltrona, quasi senza appoggiarsi e muove i bracci come se non sapesse che farci. Necessita azione".

Perfetta imitazione della gestualità nazista. In ogni caso la flemma di un vacchero texano con cinturone e pistola non é la stessa di un teutonico quasi epilettico che si arruffa nella sua furia e sputa al parlare e gesticolare. Il corpo di Bush non sputa quando parla. La sua anima, se sputa, genera odio e violenza e genera terrore. Del resto non gli importa…

L’incontinenza emotiva di Bush é già un classico e come Adolf, non ammette un NO. Sua moglie, Laura Bush, riferì alla stampa che la prima volta che disse a suo marito che non gli piacevano i suoi discorsi, questo molto irritato sbatté la propria macchina contro il muro del garage di casa.

Si sente come il nume nazista, un inviato di Dio… Ha decretato che tutte le riunioni del suo gabinetto inizino con un’orazione religiosa. E dice di aver consultato Dio per attaccare l’Iraq fregandosene della posizione della maggioranza delle nazioni del pianeta e del 90% degli esseri umani. Cerca di imitare il presidente William McKinley il quale invase le Filippine per evangelizzare i nativi e incolpando Dio che gli diede l’ordine di entrare a pedate in questo paese.

Un’altra coincidenza sopra queste vite parallele, che sarebbe stata la delizia di Plutarco, é che Bush ed Hitler sono entrati di forza nella grande galleria dei buffoni del pianeta avendo entrambi uno psicanalista d’appoggio. Ad entrambi un buon psicanalista li avrebbe aiutati a canalizzare la loro libido… sublimando l’unico afrodisiaco che Bush ed Hitler conoscono, cioè il potere onnisciente e crudele sopra le moltitudini. Continuiamo a vedere le similitudini tra il guerriero della razza e il guerriero di Dio, così come ha qualificato Telma Luzzani l’esaltato texano.

Bush proclama "urbi et orbe" la guerra preventiva. Dwight Eisenhower nel 1953 non ebbe dubbi in proposito: "La guerra preventiva é un’invenzione di Adolf Hitler, e francamente io non prendo sul serio chiunque mi venga a proporre una cosa del genere". Però, guerra preventiva contro chi?

É ben risaputo che l’anteprima di una guerra non é la verità! E Bush la prima cosa che fa per fabbricare la sua guerra preventiva, dopo l’incendio del suo Reichstag, é mentire al Goebbels di turno in modo così primitivo che nessuno dubitò della sua amicizia. Per primo disse che l’Iraq appoggiava Al Qaeda. Quando fu provato l’odio irriconciliabile tra Saddam Hussein e l’ex impiegato degli Stati Uniti, Osama Bin Laden, Bush iniziò a mettere l’Iraq nella lista della corrente fondamentalista musulmana. Difficile crederlo per il paese più laico del mondo. Si appellò poi all’esistenza di armi di distruzione di massa. Affermò che l’Iraq non consentiva permettere le ispezioni e quando le permise, assicurò che non aveva lasciato entrare l’ONU nei Palazzi e altri luoghi nascosti. E quando anche queste affermazioni si rivelarono false, disse che le armi stavano ben occulte.

Alla fine non ne fu trovata nemmeno una. Quando tutti gli argomenti si esaurirono chiese la rinuncia o l’esilio di Saddam Hussein e ammise l’unica realtà possibile: vogliamo occupare il territorio iracheno, costi quel che costi, e decidere chi lo debba governare. La stessa operazione di disinformazione che Hitler lanciò contro la
Cecoslovacchia, l’Austria e la Polonia…

Un’altra similitudine é il disprezzo nei confronti della comunità internazionale e l’opinione pubblica mondiale. Hitler distrusse la Società delle Nazioni creata nel 1919. Bush ha fatto a pezzettini le Nazioni Unite, riversandosi contro la maggiore opposizione verso un paese dalla fondazione dell’ONU: 170 paesi non appoggiano la guerra contro i soli 30, la maggioranza dei quali é senza peso alcuno e provengono dalla disarticolata Unione Sovietica, vendendosi al miglior compratore. A Bush, come a Hitler, non lo ha fermato la
maggior sconfitta diplomatica dell’ONU da quando è stata fondata. Ad Hitler mai importò dell’odio e del rifiuto dei popoli del mondo intero. Bush sta cercando di superare il teutonico. Le manifestazioni contro di lui senza precedenti nel pianeta, sono arie belliche per il suo udito wagneriano.

Gli si oppone lo spirito di Seattle che fondò nel 1999 il movimento noglobal e pacifista più imponente della storia universale. Neanche questo però riesce a fermarlo.

Indignava vedere il disprezzo del quale é stato fatto oggetto il capo degli ispettori dell’ONU, Hans Blix, con i suoi 75 anni, nato nella meravigliosa e gelata Uppsala nella Svezia socialdemocratica, un degno continuatore delle tradizioni democratiche del martire Olof Palme.

Il disprezzo verso la gente e i suoi diritti é il motore della sua umanità. Ascoltiamo il maresciallo Goering nella sentenza di Norimberga: "Naturalmente la gente comune non vuole la guerra, però dopo tutto, sono i dirigenti di un paese che determinano la politica e diventa una cosa ingenua l’affannarsi del popolo. Sia che alzi la voce o no… al popolo gli si può sempre dire cosa fare a seconda di ciò che vogliono i suoi governanti. É semplice. Tutto quello che uno deve fare é dirgli che sta per essere attaccato e denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo e perché espongono il paese in pericolo". Fu il nazista Goering a dirlo nel 1945, non fu George Bush. La differenza tra Goering e Bush é che il nazista lo disse in tedesco mentre Bush in inglese.

L’invasione di una nazione sovrana che non lo ha aggredito necessitava di una legittimità etica comunque illecita: spodestare il tiranno Hussein e imporre a sangue e fuoco un governo democratico e popolare. Suona pulito, anche se il prezzo da pagare sta nelle norme della comunità internazionale.

…Nessuno dubita che Saddam Hussein sia un dittatore sinistro che ha assassinato il suo popolo e che il suo partito socialista Baath, di socialista non ha niente. Però chi può credere a Bush il quale va ad instaurare la democrazia irachena quando i suoi predecessori meno nazisti di lui, invasero e occuparono durante gli anni nazioni sovrane installando dittature feroci difese a scapito del proprio popolo come Somoza in Nicaragua, Duvalier ad Haiti, Trujillo nella Repubblica Dominicana. Lo stesso dei regimi fantocci e dispotici che imposero i nazisti nei paesi che occuparono, inclusa la Francia "antigaullista" del maresciallo Petain.

Così come Hitler invase l’Europa alla ricerca del suo Lebensraum, della sua espansione territoriale e delle urgenti materie prime che necessitava per lo sviluppo tedesco e la costruzione del nuovo impero germanico per vendicare l’affronto del Trattato di Versailles, anche Bush va alla ricerca del proprio Lebensraum che nel mondo globalizzato di oggi non é fisicamente occupato per chilometri e chilometri, ma lo é nel dominio economico e politico che si esercita sopra i paesi e diretto a distanza dai centri finanziari internazionali.

Gli obiettivi del nuovo Hitler sono molteplici. In primo luogo accaparrarsi la riserva di petrolio per il capitalismo mondiale che altro non é che il Golfo Persico. Bush sa che in 10 anni il petrolio che produce il suo paese, locomotiva produttiva del mondo, terminerà irrimediabilmente. In 40 anni non esisterà più petrolio nel pianeta. É una corsa contro il tempo.

Secondo Satatical Review diminuisce in forma allarmante la scoperta di riserve energetiche. Nell’ultimo decennio le scoperte sono cresciute di un 5% contro il 45% del decennio anteriore. Il 65% delle riserve sono ubicate in Medio Oriente. Gli Stati Uniti consumano 20 milioni di barili al giorno dei 77 milioni che vengono
quotidianamente prodotti nel mondo, dei quali soltanto 10 milioni sono prodotti dagli statunitensi, i quali, dunque, dipendono dagli altri per continuare ad essere una potenza imperialista. L’obiettivo dell’attacco all’Iraq, seconda riserva mondiale di petrolio, è controllare tali riserve, controllandone poi il prezzo e la sua produzione. Né armi segrete né altre cose. Come dice Galeano, se l’Iraq producesse ravanelli invece che petrolio, chi avrebbe cercato di invadere questo paese?

Per Bush il petrolio é servito. Basta solo prenderselo…

La seconda tattica di Bush é disciplinare il suo alleato, l’Arabia Saudita, primo produttore mondiale di petrolio e massima riserva energetica del mondo, i cui prezzi non servono agli Stati Uniti. Il terzo obiettivo come rivelò a febbraio di quest’anno il sottosegretario di Stato, John Bolton, è invadere l’Iran e la Siria, che formano unite alla Corea del Nord "l’asse del male", e se l’opportunità é favorevole, includervi la Libia… Il quarto passo é distruggere la OPEC e impadronirsi dei combustibili fossili nel mondo. Se non esproprierà i fossili e non trova in tempo alternative energetiche, il capitalismo statunitense dovrà modificare il modello di consumo della sua popolazione e con questo può perdere il suo punto d’appoggio della sua egemonia mondiale. Il quinto obiettivo sono i succulenti commerci per la ricostruzione dell’Iraq sopra ai quali si sono lanciate molte delle 500 multinazionali che dominano il mondo, la maggior parte statunitensi. Non meno importante é il sesto obiettivo, che si nutre degli insegnamenti di lord Keynes, utilizzando l’industria bellica per superare l’ondata di recessione nella quale sta affondando l’economia statunitense, con crescita zero. Non dimentichiamoci che una guerra viene vinta non quando s’impone la supremazia militare sopra l’avversario, ma quando si ottengono da esso i proventi economici che sono la ragione ultima del suo disarticolamento.

Non possiamo tralasciare di menzionare un ultimo obiettivo e forse il più importante di questa guerra: imporre la supremazia del dollaro davanti all’euro che negli ultimi tempi sta dando una bastonata al dollaro inaspettata, ponendo in pericolo la moneta statunitense nella commercializzazione del greggio. Il dollaro si é svalutato negli ultimi mesi in confronto all’euro, un 17%, cifra inimmaginabile dalla creazione della moneta unica europea. Incide su questo ribasso la decisione irachena di versare 10 miliardi di dollari delle sue riserve alla moneta comune europea, provocando un terremoto nel dollaro. Questa é una delle tante ragioni di invasione dell’Iraq, cercando che un governo fantoccio faccia ritornare i 10 miliardi di dollari iracheni nell’area del dollaro. Anche la Russia sta valutando il petrolio in euro e inoltre l’Iraq e vari paesi della OPEC stanno analizzando di abbandonare il dollaro per passare all’euro. Gli economisti stimano che se ciò avverrà si produrrà una svalutazione del dollaro inaspettata, crollando il valore degli incentivi americani, portando il gigante coi piedi di fango a un collasso economico come nella decade degli anni ’30.

L’invasione riporta il suo antecedente più radicale nella necessità di un nuovo ordine mondiale dopo il fallimento degli accordi della triade (Stati Uniti, Europa e Giappone) nel 1998 nella riunione della OCDE a Parigi e nel 1999 nella riunione della OMC a Washington. Non ci fu accordo sulla spartizione del mercato mondiale… L’Europa non accettò i termini della sparizione…

La stessa ragione di dominio economico che catapultò Hitler tra "le braccia di Marte", al grido di "occupare, amministrare, sfruttare". Da qui fino a che Bush possa realizzare i suoi piani ci vorrà del tempo. Soprattutto tenendo conto che questa guerra per la prima volta l’affronterà economicamente solo.

La precedente invasione dell’Iraq, legittimata dalla comunità internazionale, fu pagata da tutte le nazioni. Questa invasione illecita, crimine di lesa umanità contro il mondo civilizzato, la pagheranno solo gli Stati Uniti e con una piccola parte l’Inghilterra del rinnegato Blair. E sono molti soldi! Sufficienti per destabilizzare ancor di più la zecca dello stato, installata nel Ministero del Tesoro della nazione più indebitata del mondo: gli Stati Uniti d’America.

Tracciati gli obiettivi reali, Bush e la sua banda di falchi diedero il via alla strategia militare nazista: la famosa "blitzkrieg", con la quale i nazisti irradiarono l’Europa tramite il metodo di guerra lampo con attacchi combinati di divisioni terrestri di carri armati Panzers appoggiati da stormi di aerei e pezzi di artiglieria. I tempi sono cambiati e la blitzkrieg nazista si é trasformata in hiperblitzkrieg statunitense, però la modalità inventata dai marescialli di Hitler é la stessa che Bush applica, con una potenza di fuoco mille volte superiore.

Altra similitudine é la sproporzione della forza. L’invasione nazista della Cecoslovacchia o della Polonia dove la cavalleria polacca si scontrava contro i carri armati tedeschi ed era decimata quasi subito dall’aviazione, non é niente in confronto al potere di fuoco infernale della più potente macchina tecnologica per tritare della storia. É come se i polacchi si difendessero con le fionde davanti alla Luftwage di Goering. Nella prima invasione dell’Iraq, gli iracheni persero 120 mila soldati contro soltanto 137 statunitensi morti o scomparsi. A parte la Guardia Repubblicana di Saddam, il resto dell’esercito iracheno é composto da affamati contadini senza addestramento, senza tecnologia, senza armamento adeguato, contro i 300 mila soldati addestrati da anni per uccidere senza riguardi.

Cosa può fare un paese che ha come potenza militare 1.400 milioni di dollari contro un altro che spende 400.000 milioni di dollari annui nelle sue Forze Armate?

…Prima di cominciare la carneficina l’esercito iracheno é stato dissanguato come si fa con i tori da combattimento… affinché il "matador" corra meno rischi. Un decennio di sanzioni economiche, di embarghi, carente di scorte, senza aerei, con pochi carri armati, con pochissime postazioni antiaeree ed equipaggiato solamente con vecchi fucili d’assalto AK 47… Il torero deve solo infilare la sua spada fino in fondo e aspettare l’agonia… Le ultime notizie dal fronte, tuttavia, rivelano che sebbene dissanguato… il toro é disposto a vender cara la pelle.

Il vagabondo viennese divenuto profeta della razza ariana, Adolf Hitler, si accaparrò senza rispetto i grandi tesori dell’umanità, distruggendo città prodigiose, culture irrecuperabili e fantastici monumenti creati dall’uomo nel corso dei secoli.

Imitando il protetto della sua famiglia, George Bush entra con fuoco e sangue nella culla dell’umanità, la Mesopotamia così come si chiamava l’Iraq più di 8 mila anni fa, "terra tra i fiumi", dove fu fondato il primo stato, la prima civiltà agraria e dove fu inventata la scrittura cuneiforme. Nella terra della leggendaria biblioteca, tra il Tigri e l’Eufrate, Bush si lancia immisericordioso nella prima guerra preventiva del secolo XXI. Dovrà rispondere anche per i tesori culturali che ruba. Come Hitler che dovette render conto davanti alla storia e i suoi seguaci davanti a Norimberga.

Il signor ambasciatore degli Stati Uniti in Uruguay, dice nel suo comunicato contro il quotidiano La Repùblica, che é costernato per il paragone del suo presidente con Hitler, spiegando che quello che sta facendo Bush in Iraq é lo stesso che fecero gli Stati Uniti liberando l’Europa dal nazismo. Credo che sia un insulto all’intelligenza paragonare il brillante creatore del New Deal, Franklin Delano Roosvelt, con quest’energumeno del potere che nel nome degli ideali uccide gli ideali, ma con gli uomini dentro.

Roosvelt entrò in guerra con la legittimità che gli era stata concessa da tutti gli altri popoli che si scontravano con le barbarie naziste; il primo di questi fu il popolo sovietico offrendo sull’altare del Loloch tedesco 30 milioni di uomini, donne e bambini, i quali dettero la propria vita per cambiare il corso della guerra, fino a quel momento vittoriosa per il Terzo Reich.

Bush fa lo stesso che Hitler e non lo stesso di Roosvelt. Bush viola tutte le leggi internazionali, si scontra con le Nazioni Unite e invade l’Iraq, una nazione quasi disarmata che non lo ha aggredito in alcun momento.

Conviene precisare, inoltre, prima di affermare che gli Stati Uniti liberarono l’Europa e più in là dell’eroica morte dei soldati statunitensi in guerra contro il Fuhrer tedesco, che l’ingresso nel conflitto fu molto tardivo, quasi alla fine della guerra quando la Germania stava già in panne a causa della resistenza sovietica, la quale affrontò da sola il 95% del potenziale bellico nazista concentrato nel fronte orientale. Gli Stati uniti furono gli unici beneficiari della seconda guerra mondiale. Durante e dopo il conflitto. Durante, come spiega bene Heinz Dieterich a La Repùblica, poiché svilupparono lontani dai campi di battaglia la loro industria
e agricoltura aumentando i salari dal 1941 al 1945 del 27%, creando 17 milioni di nuovi posti di lavoro e offrendo nel 1944 più prodotti e servizi alla propria popolazione che prima della guerra. E dopo la guerra… a Yalta si eressero come la potenza più forte del pianeta, scavalcando l’Inghilterra, ma temendo comunque l’Unione Sovietica, il loro nuovo contrappeso storico.

E così come diciamo che é un insulto paragonare Bush a Roosvelt conviene precisare che nemmeno dobbiamo confondere i padri fondatori della democrazia statunitense, questi eroi della libertà, come George
Washington, Abraham Lincoln, Thomas Jefferson, con questo pedagogo del crimine, burino della morte, il quale parlando in televisione non riesce a nascondere l’espressione astuta tipica dei codardi.

Charles de Gaulle, questo valente ribelle della Francia antinazista, domandava al gran filosofo Jean Guitton: "Cos’é la codardia, maestro?"

E questo nido di sapienza gli rispondeva: "La codardia, in generale, è cercare l’approvazione e non la verità, le decorazioni e non l’onore, l’ascesa e non il servizio, il potere e non la salute dell’umanità."

Bene si applica questa risposta al nostro nuovo Hitler che dice di difendere i diritti umani degli iracheni mentre si specializza nel convertili in rifiuti umani!

Non estranea da questa condotta, del governante, é quella che rifiuta di salvare il pianeta dalla devastazione non firmando i protocolli di Kyoto approvati all’unanimità dalla comunità internazionale. Un governante che rifiutò il bando delle armi battereologiche perché stimò che l’accordo per evitare la proliferazione di questi arsenali pregiudicava il suo paese. Un governante che esige dalle nazioni indipendenti che firmino un documento nel quale rinuncino al loro diritto di giudicare i cittadini statunitensi per delitti commessi all’estero. Un governante che rifiuta di firmare e di partecipare al Tribunale Penale Internazionale, creato recentemente dalla comunità mondiale per giudicare i crimini contro l’umanità…

Cosa possiamo sperare da un governo che nel proprio paese, culla di tradizioni democratiche, ha sospeso i diritti civili, ha instaurato la censura, le liste nere, l’eliminazione dell’habeas corpus, diritto al quale donarono la vita tante generazioni, imponendo sentenze clandestine, carceri segrete e il delitto di opinione, avvicinando la sua società alla notte nera del maccartismo più anacronico.

…Il nazionalismo e il falso patriottismo é un altro degli anelli che uniscono Bush a Hitler. Questo tipo di nazionalismo é l’ultimo rifugio delle canaglie e si regge sulla cultura degli ignoranti.

Albert Einstein lo descrisse bene: "Il nazionalismo é un’infermità infantile, il morbillo dell’umanità".

Però già comincia a crescere, dal basso, dalla radice, un movimento popolare, nelle migliori tradizioni civili del popolo statunitense, che si esprime nelle grandi città, per bloccare con l’energia morale della ragione questo serial killer che sta costruendo la più grande iniquità bellica degli ultimi decenni. E il popolo statunitense, anche se lentamente, comincia a comprendere che "la libertà non può essere feconda per i popoli che hanno la fronte macchiata di sangue."

Chi fermerà questo psicopatico? É la domanda che circola per tutto il pianeta.

Le Nazioni Unite non hanno potuto. La NATO nemmeno. I suoi alleati europei furono ridicolizzati e umiliati.

Però, dal fondo stesso della storia, comincia a incubarsi l’antidoto. Tutti gli imperi e i suoi profeti hanno "scivolato vincendo" fino alla caduta finale.

E a questo impero e al suo imperatore, al quale poco importa di aggraziarsi le menti e i cuori dei popoli del mondo, che é sordo o finge demenza davanti all’immensa ribellione del sentito comune, davanti a questo gran alleato delle società sorto dal ventre esasperato delle moltitudini che si sono lanciate nelle strade di tutto il mondo chiedendo pace e la fine della strage, non gli resterà altro che capire che in questa crociata, al vincitore rimarranno solo le spoglie.

Gli uomini come Bush credono che i crimini si possano seppellire. Si sbaglia. Essi sopravvivono…

La protesta non cede in tutti gli angoli del pianeta. Non c’é stato un impero tanto orfano di appoggio come quello che incarna oggi questo morfinomane del potere.

E questo immenso movimento mondiale contro Bush paragonabile soltanto al movimento mondiale contro Hitler… può trasformarsi nel braccio che ferma questa pazzia. Non bisogna aver paura di questi giganti che ignorano la legge della storia. Applicano l’astuzia invece dell’intelligenza. Si rifanno al mondo dei dinosauri.

Questi giganteschi animali che sviluppano corpi enormi e una testa rimpicciolita. Quando arrivò la calamità le loro piccole teste non poterono sviluppare una mutazione. Ciò fu invece fatto dagli insetti.

C’é un ritornello tedesco che riferendosi a Hitler dice "quando vedrai un gigante, esamina prima la posizione del sole, che non sia l’ombra di un nano".

Non sappiamo comunque quanto di un gigante e quanto di un nano ha il nostro nuovo Hitler.

Si ricordi Gandhi, questo incendio morale che allertò le coscienze. Solo con la sua voce e la sua condotta nonviolenta mise in ginocchio il maggior impero della sua epoca.

Gandhi diceva che la più atroce delle cose cattive per la gente cattiva è il silenzio della gente buona. Questo silenzio oggi non esiste.

Tutti i popoli, dai paesi ricchi ai paesi poveri, governati dalle destre o dalle sinistre, tutti, tutti… hanno preso coscienza per la prima volta nel XXI secolo che la guerra come crociata irrazionale può cambiare l’umanità. Sanno che una guerra ingiusta é una catastrofe che paralizza l’incontro dell’uomo con l’umanità. E uniscono le loro mani planetarie per dire al sicario della Casa Bianca, che ci sono vite e razze meno sordide della sua. E che vale la pena stare in piedi per difenderle.

Questa é la mia risposta signor ambasciatore.

Federico Fasano Mertens,
La Repùblica, Montevideo, 30 marzo 2003.

(traduzione Luca Pulitini)

Chemioterapia, una pratica assassina di Alberto R. Mondini

all’ultimo messaggio di Costanzo e la sorpresa.
Abbiate ancora un po’ di pazienza. I nostri legali stanno dando gli
ultimi ritocchi alla cosa (non si tratta di querela) e mi hanno chiesto
ancora qualche giorno di tempo. Penso che sarà tutto pronto
martedì o mercoledì prossimo.




Nel
frattempo vi invio in allegato la relazione
che avrei dovuto tenere al M. Costanzo Show, ma che non accetteranno
mai di lasciarmi fare.




Chemioterapia,
una pratica assassina, ovvero il tradimento della medicina in nome del
profitto

Credo di esser riuscito a condensare in cinque pagine vera e propria nitroglicerina.
Dati incontrovertibili, semplici ed esplosivi; almeno così mi
sembra. Mi sarà gradito se mi scriverete cosa ne pensate: se vi
sembra che abbia fatto un buon lavoro o no.

Se il mio lavoro vi piacerà, però, non ve la
lascerò gratis. Non voglio soldi, ma dovrete diffonderlo
a piene mani, a migliaia di copie. Duplicatelo su carta o in formato
elettronico e datelo ad amici, parenti, conoscenti e sconosciuti, e
chiedete anche a loro di diffonderla. Datelo a medici, infermieri e
giornalisti. Speditelo via email, pubblicatelo sui vostri siti,
segnalatelo nei forum. Stampato, lasciatelo nei bar, nei tram e nelle
biblioteche; insomma, fatelo conoscere il più possibile in tutte
le maniere. Diffondere queste verità è l’unico mezzo che
abbiamo per tirar fuori noi e gli altri da questa trappola infernale.

Cari saluti a tutti.

Il Presidente dell’ARPC

Economia di mercato senza capitalismo di Werner Onken – Traduzione a cura della Dott.ssa Cristina M

consorziato alla riforma agraria Eden-Oranienburg)
pubblicò a Buenos
Aires il suo primo opuscolo "La riforma del sistema monetario come
ponte
verso lo stato sociale".

Esso fu la base di un opera
piu’ ampia
sull’indagine delle cause della questione sociale e sulle strade per
risolverla.
Le esperienze pratiche, che Gesell aveva raccolto
durante una crisi
economica
nell’Argentina di allora, lo condussero ad una visione che
contraddiceva il
marxismo: lo sfruttamento del lavoro umano avrebbe le sue radici non
nella
proprietà privata dei mezzi di produzione, bensì in
errori strutturali del
sistema monetario. Come già l’antico filosofo Aristotele, egli
riconobbe il
doppio ruolo contraddittorio del denaro, come mezzo di scambio al
servizio del
mercato e come strumento di potere che contemporaneamente domina il
mercato.

Per Gesell la
questione principale è la
seguente: come si può superare la caratteristica del denaro come
strumento di
potere che pratica l’usura, senza al contempo eliminarlo come neutro
mezzo di
scambio? Egli riconduceva a due cause il potere del denaro sul mercato:
anzitutto il denaro tradizionale come mezzo di domanda è,
diversamente dalla
forza lavoro umana o dai beni e servizi, tesaurizzabile da parte
dell’offerta
dell’economia – senza danni rilevanti per il proprietario può
essere
temporaneamente tolto dal mercato per ragioni speculative. In secondo
luogo il denaro
ha il vantaggio di essere molto piu’ mobile delle merci e delle
prestazioni di
servizi; come il jolly
nel gioco delle carte lo si può
utilizzare in ogni luogo
e in ogni momento. Entrambe queste caratteristiche danno al denaro
-soprattutto
ai possessori di grandi cifre- un particolare privilegio: essi possono
interrompere il circolo di acquisti e vendite, risparmi e investimenti,
oppure
esigere da produttori e consumatori un interesse come particolare
premio per il
fatto che rinunciano all’immobilizzazione speculativa del
denaro in banche o in investimenti finanziari improvvisi e continuano a
immettere
denaro nel circolo economico reale.

Il potere
strutturale del denaro non
risiede solamente sulla sua effettiva tesaurizzazione, perché
basta già la
possibilità di interruzione della circolazione per legare il
metabolismo
economico nell’organismo sociale alla condizione che il denaro in primo
luogo
venga remunerato con un interesse. La redditività riceve la
precedenza sulla
economicità, la produzione viene orientata piu’ verso gli
interessi del denaro
che le esienze delle persone. Tassi d’interesse stabilmente positivi
disturbano
l’alternanza di guadagni e perdite necessaria ad una autoregolazione
decentralizzata del mercato. Secondo Gesell essi conducono
ad una
malattia dell’organismo
sociale con una sintomatica molto complessa: il denaro legato ad
interessi e
perciò non neutro provoca una ripartizione del reddito ingiusta
e non collegata
alla capacità produttiva, che a sua volta conduce ad una
concentrazione di
capitale monetario e reale, e con ciò ad una monopolizzazione
dell’economia.
Dato che i possessori di denaro sono padroni della mobilità o
immobilità del
denaro, il denaro non può circolare ‘da solo’ attraverso
l’organismo sociale,
così come il sangue nel corpo umano. Perciò un controllo
sociale della
circolazione del denaro e una giusta dosatura del denaro non sono
possibili; le
variazioni deflazionistiche e inflazionistiche del livello generale dei
prezzi
sono inevitabili. E se grandi somme di denaro vengono immobilizzate nel
saliscendi delle congiunture a causa di un temporaneo livello di
interesse in
discesa finchè non migliora il panorama degli investimenti
redditizi, ne
conseguono ristagno delle vendite e disoccupazione.

…a servitore neutro del mercato

Come strada per
togliere il potere al
denaro, Gesell non
pensò ad un ritorno al divieto canonico di
interesse della
scolastica medievale o addirittura all’eliminazione dei cosiddetti
‘usurai
ebrei’. Piuttosto immaginò un cambiamento istituzionale della
moneta, in modo
che tenere in cassa il denaro sia collegato a dei costi, che
neutralizzerebbero
i vantaggi della tesaurizzazione e liquidità. Non appena viene
applicata al
denaro una tassa per tenerlo in cassa -paragonabile al plateatico per
vagoni
merci nel sistema dei trasporti-, perde il suo potere sul mercato per
riempire
allora solo la sua funzione servente come mezzo di scambio. Non appena
la sua circolazione
non viene piu’ disturbata da manovre speculative, diventa possibile
adeguare la
quantità del denaro in circolazione continuamente al volume dei
beni, così che
il potere d’acquisto della valuta diventa nel tempo stabile,
esattamente
come la sua quantità e il suo peso.

Nei suoi primi
scritti Gesell
parlò
espressamente di "banconote che si arrugginiscono" come mezzo per una
"organica riforma del denaro". Attraverso di essa il denaro, che fino
ad allora era un "corpo morto estraneo" sia nell’organismo sociale
che nell’intera natura, verrebbe integrato nell’eterno morire e
divenire di
ogni vita; diventerebbe ugualmente deperibile e perderebbe la sua
caratteristica di moltiplicarsi all’infinito attraverso l’interesse e
l’interesse
dell’interesse. Una tale riforma del denaro sarebbe una completa
terapia di
regolazione, che scioglie i blocchi nel flusso del denaro e da
all’organismo sociale malato un aiuto per
una progressiva autoguarigione dai diversi sintomi di crisi
congiunturale e
strutturale, così che egli possa stabilizzarsi nel suo
equilibrio e inserirsi nell’armonico
ordine generale.

Nella sua opera
principale pubblicata nel
1916 a Berlino e Berna "L’ordine economico naturale attraverso un paese
libero e un denaro libero", Gesell spiegò
esaurientemente come
in una
circolazione del denaro libera da disturbi l’offerta e la domanda di
capitale
si equilibrano, così che il livello degli interessi può
scendere sotto la sua
attuale soglia minima di un reale tre percento.
L’"interesse premevo", il tributo del lavoratore al potere del denaro,
sparisce dall’interesse, che ora consiste solo nel premio di rischio e
nella
tassa per l’intermediazione bancaria. Le variazioni dei tassi
d’interesse del
mercato attorno a questo nuovo interesse in equilibrio procurano una
direzione decentralizzata
dei risparmi in investimenti adeguati al fabbisogno. Si annullano
però a
vicenda. Il "denaro libero", in quanto moneta liberata
dall’"interesse primevo", diventa neutro nella distribuzione e non
può nemmeno piu’ esercitare un influenza che va contro gli
interessi dei
richiedenti ed offerenti nel modo e nell’estensione della produzione.
Il pieno
profitto del lavoro metterebbe, secondo le aspettative di Gesell, vasti
strati
di popolazione in condizione di cessare rapporti occupazionali come
lavoratori dipendenti
e di rendersi autonomi in forme di impresa privata e cooperativistica.

Il terreno: fondamento di vita fiduciario
invece che merce commerciale e oggetto di speculazione

Attorno alla fine
del diciannovesimo e
l’inizio del ventesimo secolo Gesell ampliò
il suo concetto di
riforma del
denaro con l’esigenza di una riforma del diritto fondiario. Lo stimolo
in
questa direzione lo ricevette dalla lettura delle opere del riformatore
agrario
nordamericano Henry Gorge (1839-1897), il cui pensiero venne diffuso in
Germania da Michael Fluerscheim (1844-1912) e da Adolf Damaschke
(1865-1935).

Al contrario
dell’aspirazione di
Damaschke
di tassare, continuando ad esistere la proprietà
terriera, unicamente
l’incremento di valore a favore della collettività, Gesell
seguì la proposta di
Fluerscheim di trasferire il terreno nelle mani dello stato contro un
indennizzo dei proprietari fino ad allora privati e di darlo in affitto
per un
utilizzo privato al maggior offerente. Finchè il terreno sarebbe
rimasto una
merce privata e un oggetto di speculazione, verrebbe disturbato il
collegamento
organico degli uomini con la terra. Diversamente dalle ideologie
nazionalistiche,
non si trattava per Gesell
di un collegamento di sangue e territorio.

In quanto
cittadino del mondo, egli
considerava l’intera terra come un organo di ogni singolo uomo. Ogni
essere
umano dovrebbe potersi spostare liberamente sulla terra e risiedere
dappertutto
indipendentemente dalla sua origine, dal suo colore di pelle e dalla
sua
religione. Similmente come le superfici di terreno, anche le ricchezze
del sottosuolo
dovrebbero diventare proprietà comunitaria. Una istituzione
internazionale
preposta alla loro gestione dovrebbe amministrare le ricchezze del
sottosuolo
come proprietà dell’umanità ed esercitare dei diritti
dietro pagamento per il
loro utilizzo.

Equiparazione economica di donne e uomini

Inizialmente Gesell, come
altri
riformatori terrieri, pensava che lo stato attraverso gli introiti
provenienti
dall’affitto del terreno sarebbe stato messo nella condizione di
finanziare i
propri incarichi, senza per questo aumentare ancora altre tasse (Single
– Tax).
E però la domanda a chi spettino veramente gli introiti degli
affitti secondo
un principio di causalità, lo condusse alla riflessione che
l’ammontare degli
introiti dipenda dalla densità della popolazione, in ultima
analisi dunque
dalla disponibilità delle donne a mettere al mondo ed allevare
bambini. Perciò Gesell
voleva
pagare in mensilità alle madri gli introiti degli
affitti, come compenso
per le prestazioni di educazione proporzionalmente al numero di figli
minorenni
– anche a madri di figli illegittimi e alle straniere che vivano in
Germania.
Tutte le madri dovrebbero essere liberate dalla dipendenza economica
dai padri lavoratori.
Il rapporto tra i sessi dovrebbe fondarsi in questo modo sulla base di
un amore
libero da influenze di potere. In una conferenza "L’ascesa
dell’Occidente", Gesell
dava
voce alla sua speranza che l’umanità resa malata
fisicamente,
spiritualmente e intellettualmente dal capitalismo potesse
progressivamente
risanare in un ordine di concorrenza naturale, libero da privilegi e
monopoli,
e potesse ascendere ad una nuova fioritura culturale.

Altri precursori di un’economia di
mercato senza capitalismo

La teoria "Paese
libero – denaro
libero" era una reazione sia al principio del "Laissez faire"
del liberalismo classico, che anche alle idee di economia pianificata
del
Marxismo. Essa non è una terza via tra capitalismo e comunismo
nel senso della
futura teoria della "convergenza" o della così chiamata "mixed
economies",
cioè di un’economia di mercato capitalistica totalmente
direzionata dallo
stato, bensì un’alternativa al di là dei sistemi
economici fino ad allora
attuati. Dal punto di vista dell’ordine politico si caratterizza come
un’"economia di mercato senza capitalismo". Con ciò Gesell ha
ampliato le riflessioni del riformatore sociale francese Pierre Joseph
Proudhon

(1809 – 1865), che già alla metà del diciannovesimo
secolo aveva reso
responsabili l’acquisizione privata dei terreni e il potere del denaro
collegato ad interessi, del fatto che dopo la fine dell’assolutismo
feudale non
fosse nata nessuna società libera da padroni. La rendita
fondiaria privata
Proudhon
l’aveva condannata come una rapina e l’interesse del denaro
come
un’usura tumorale. Questi modi di introito da sfruttamento condussero
alla nascita
della grossa borghesia come nuova classe dominante, che potè
rendere sia lo
stato che la chiesa strumenti del proprio dominio sulla piccola
borghesia e sui lavoratori. Il modello economico
alternativo di Gesell
è imparentato anche con il socialismo
libertario,
ugualmente ispirato a Proudhon,
del filosofo della cultura Gustav
Landauer

(1870 – 1919), che a sua volta influenzò fortemente Martin Buber
(1878 – 1965).
Parallelismi intellettuali si possono fare anche con il socialismo
liberale del
medico e sociologo Franz
Oppenheimer
(1861 – 1943) e con la triplice
suddivisione sociale del fondatore dell’antroposofia, Rudolf Steiner
(1861 –
1925).

Prime organizzazioni in Germania e
Svizzera durante la prima Guerra Mondiale

Il primo
collaboratore di Gesell
, Georg
Blumenthal (1879 – 1929) collegò la riforma del diritto
fondiario e del denaro
all’idea di un "ordine naturale" della società, con la quale Francois
Quesnay
(1694 – 1774) e altri fisiocrati al tempo dell’illuminismo
francese si erano
opposti all’assolutismo feudale. Nel 1909 fondò l’Associazione
Fisiocratica
come prima organizzazione di seguaci di Gesell, che
provenivano a
Berlino ed
Amburgo dalle fila dei riformatori sociali, degli anarchici individuali
e dai
sindacalisti. Quando la rivista "Il Fisiocrate" durante la prima
Guerra Mondiale cadde vittima della censura, Gesell si
trasferì
in Svizzera,
dove trovò seguaci nella cerchia dei riformatori agrari locali,
dei pedagoghi riformisti
e dei riformatori di vita. Essi si unirono nella "Lega svizzera Paese
libero – Denaro libero". In due conferenze "Oro e pace?" e
"Paese libero, la ferrea richiesta della pace" Gesell mise in
evidenza il significato delle sue proposte di riforma come strada per
la
giustizia sociale e la pace tra i popoli.

Tra le due Guerre Mondiali

Dopo la fine
della Prima Guerra Mondiale
e della tedesca Rivoluzione di Novembre, il collegamento di Gesell con Landauer
condusse ad una sua breve collaborazione come delegato popolare per le
finanze nel
primo governo consigliare bavarese. Dopo la caduta del quale, venne
inizialmente accusato di alto tradimento, ma poi di nuovo assolto. In
seguito
si trasferì nelle vicinanze di Berlino, dove osservò lo
sviluppo della
repubblica di Weimar e la commentò in numerosi opuscoli ed
articoli. Con
un’imposta scaglionata sul patrimonio fino al 75%, Gesell voleva
coinvolgere nell’ammortizzazione delle conseguenze della
guerra
il latifondo e il grande capitale e contemporaneamente avviare con la
sua
riforma fondiaria e del denaro una formazione di capitale interno, che
dovrebbe
mettere la Germania nella condizione di soddisfare le richieste di
riparazione delle
potenze vincitrici. Infaticabilmente Gesell
protestò contro il
fatto che i
governi che si succedevano rapidamente invece di far ciò
derubassero gli strati
medi e bassi della popolazione attraverso una grande inflazione ancor
piu’ a
favore dei benestanti, che rimandassero il pagamento delle riparazioni,
che
rendessero la Germania dipendente dall’afflusso di capitale straniero e
che sostituissero
lo stabile Rentenmark con la valuta aurea pregna di crisi.

Ben presto Gesell
prese le distanze dalle
ideologie razziste e antisemite. Sebbene fosse fortemente influenzato
dall’insegnamento evoluzionistico di Darwin, si opponeva
al pensiero
socialdarwinistico. Andando contro ad un Nazionalismo eccessivo, si
impegnò a
favore di una intesa con i vicini occidentali ed orientali della
Germania. La
politica espansionistica degli stati nazionali dovrebbe essere
sostituita da
una federazione europea di stati libera dal potere. Oltre a ciò Gesell
sviluppò
anche degli accenni per un ordine di valuta mondiale postcapitalistico.
Egli si
ingaggiò per un mercato mondiale aperto senza monopolio
capitalistico, senza confini
di dogana, senza protezionismo commerciale nazionale e senza conquiste
coloniali. A differenza delle future istiuzioni IWF e Banca Mondiale,
che all’interno
delle vigenti strutture di ingiustizia rappresentano gli interessi dei
potenti,
e verso l’integrazione europea delle valute, Gesell volle
istituire
l’"Associazione della Valuta Internazionale", che offre una moneta
mondiale che sta al di sopra di tutte le valute nazionali, gestita in
modo che
si arrivi ad un equilibrio dei liberi rapporti commerciali mondiali.

La grande
inflazione del primo dopoguerra
favorì un rapido aumento nel numero dei seguaci di Gesell fino a
raggiungere
presumibilmente le 15000 persone. Essi si divisero però nel 1924
nella Lega
della Libera Economia, liberale e moderata, e nella Lega della
Lotta Fisiocratica, radicale e anarchico-individualista.
A questa divisione contribuì una dura controversia che si era
accesa sulle idee
futuribili di Gesell
riguardo ad una "soppressione dello stato".
Lotte di fazione interne indebolirono la cerchia dei seguaci.
Poiché non le
riuscì di diventare un movimento di massa, intraprese durante
tutta l’epoca di
Weimar diversi tentativi di avvicinamento alla socialdemocrazia e al
movimento
sindacale, così come ai movimenti di pace, giovanili e femminili
di allora.
Durante la grande crisi economica mondiale, la Lega della Libera
Economia
indirizzò scritti ufficiali a tutti i partiti rappresentati nel
Parlamento tedesco,
nei quali metteva in guardia dalle conseguenze catastrofiche della
politica deflazionistica
del tempo e diffondeva proposte per il superamento della crisi. Questi
scritti
ufficiali rimasero non ebbero risonanza. Quando degli esperimenti
pratici della
Lega di Lotta Fisiocratica con il libero denaro suscitarono il pubblico
scalpore, vennero proibiti nel 1931 dal ministero delle finanze tedesco
in
seguito all’ordinanza di emergenza di Bruening. Nelle elezioni
parlamentari del
1932, il partito dell’Economia Libera non ebbe successo. Dopo la presa
del
potere da parte del Nazionalsocialismo, una parte dei seguaci di Gesell
assunse
un ruolo oppositore e dovette subire perciò delle persecuzioni.
Un’altra parte
spostò alla fine la propria visuale verso il vero carattere
dell’ideologia nazionalsocialista
e si affidò all’illusoria speranza che Hitler e Gottfried
Feder

potessero
tendere forse seriamente ad una "cessazione della servitu’
dell’interesse".
Ne conseguì il tentativo di cambiare dal punto di vista della
politica
economica la NSDAP dall’interno attraverso un’influenza su alti
funzionari.
Nonostante i preoccupanti adattamenti tattici al regime, le
organizzazioni
della Libera Economia e i loro strumenti mediatici vennero proibiti
nella
primavera del 1934, oppure si sciolsero spontaneamente. Alla loro
iniziale
sottovalutazione del regime totalitario potrebbero aver contribuito non
solo i
dolorosi rifiuti avuti dai partiti di Weimar, ma soprattutto
anche la non chiarezza a
riguardo di un percorso adatto alla realizzazione della riforma agraria
e
monetaria. In Austria (fino al 1938) e in Svizzera continuarono ad
esistere
delle Leghe della Libera Economia. Dell’opera principale di Gesell
furono
pubblicate anche traduzioni inglesi, francesi e spagnole. Opuscoli
divulgativi
apparvero inoltre in lingua olandese, portoghese, ceca, rumena e
serbocroata,
così come in esperanto. Similmente ci furono gruppi minori in
Inghilterra,
Francia, Olanda, Belgio, in Cecoslovacchia, Rumenia e Jugoslavia. In America del Nord e del Sud, in Australia e
Nuova Zelanda tali fondazioni arrivarono da emigranti tedeschi.

Dopo il 1945: nuovo inizio, caduta in
oblio e rinascita dalla fine degli anni 1970

In tutte le zone di
occupazione della
Germania di allora si giunse alla nuova fondazione di organizzazioni di
libera
economia. Nella zona di occupazione sovietica vennero sciolte nel 1948;
i potenti
locali considerarono Gesell
o come un "apologeta della borghesia del
monopolio", oppure, come l’oppositore di Marx Proudhon, come un
"socialista
piccolo borghese", i cui obiettivi erano inconciliabili con
il"socialismo scientifico". Nella Germania Occidentale, la maggior
parte dei seguaci di Gesell ancora rimasti, si decise per un proprio
impegno
politico e partitico, in seguito alle sue esperienze con i partiti di
Weimer.
Essa formò un Partito della Libertà Radicalsociale, che
nel 1949 durante le
elezioni per la Camera tedesca ricevette appena l’1% dei voti. In
seguito
cambiò il nome in Unione della Libertà Sociale e ottenne
in ulteriori elezioni
ancora solo risultati di voto minimi. Come luogo di convegni
continuò ad
esistere però una "Casa Silvio Gesell" a Wuppertal e a Neviges.

Il miracolo economico della
Germania
Occidentale arrestò durante gli anni ’50 e ’60 l’interesse
pubblico per le
alternative al sistema politico economico, sebbene autorevoli
economisti
nazionali come Irving
Fisher
e John
Maynard Keynes
avessero
riconosciuto il
significato di Silvio
Gesell
. Solo dalla fine degli anni ’70 la
disoccupazione
di massa, la distruzione dell’ambiente e la crisi debitoria
internazionale
condussero ad una rinascita dell’interesse al quasi dimenticato modello
di Gesell di
un’economia alternativa. In questo modo fu anche possibile un
ricambio generazionale all’interno della cerchia dei sostenitori.

Nell’Archivio
economico svizzero a
Basilea c’è una biblioteca della Libera Economia svizzera. In
Germania la
Fondazione per la riforma dell’ordine fondiario e monetario è
iniziata nel 1988
con la creazione di una biblioteca della libera economia. Come base per
una ricerca
scientifica sulle teorie di Silvio Gesell ha
pubblicato dal 1988 al
1997
un’opera omnia in 18 volumi delle sue opere. Inoltre dispone di una
collana di
quaderni dal titolo " Studi sull’ordine economico naturale", che
cominciò con un panorama sui cento anni di storia del movimento
per l’ordine
economico naturale e con un scelta delle opere dell’allievo piu’
significativo
di Gesell, Karl
Walker. La fondazione promuove anche la pubblicazione
di altre
opere sulla questione del diritto fondiario e dell’ordine monetario, e
pubblica
assieme alla Società di Scienze sociali una "Rivista di economia
sociale". Inoltre ha istituito dal 1988 al 1995 un "Premio Karl
Walker" per lavori scientifici sulla possibilità dei mercati
finanziari di
rendersi autonomi nei confronti dell’economia reale, così come
sulle strade per
superare la disoccupazione. Il seminario sull’ordine libertario
pubblica la
collana di scritti "Domande sulla libertà". Inoltre c’è
una
iniziativa per l’ordine economico naturale, che provvede insieme ad
organizzazioni
amiche in Svizzera ed Austria ad una divulgazione del pensiero di Gesell. Una
"Unione cristiana per un giusto ordine economico" collega il concetto
base della riforma fondiaria e monetaria alla critica
ebraico-cristiana-mussulmana
alla speculazione fondiaria e alla richiesta di interessi. Margrit
Kennedy,
Helmut Creutz ed altri autori/trici lavorano ad una attualizzazione dei
concetti base di Gesell.
Si tratta tra l’altro della questione del
rapporto tra
la crescita esponenziale del patrimonio monetario e dei debiti e la
crescita
dell’economia reale che distrugge l’ambiente, del superamento della
crescita
coatta e del collegamento della riforma fondiaria e moneteria con un
sistema
tributario ecologico. Un bilancio parziale dell’attuale stato di
sviluppo della
teoria, lo dà il libro "Denaro giusto – mondo giusto". Contiene
i
contributi del convegno organizzato nel 1991 a Costanza "100 anni di
idee
per un ordine economico naturale – Vie di uscita dalla crescita coatta
e dalla
catastrofe per debiti".

La caduta del socialismo statale
nell’Europa Centrale e dell’Est portò ad un temporaneo trionfo
del capitalismo
occidentale nella gara dei sistemi.

Fintanto però che
continuano ad esistere
i contrasti tra povertà e ricchezza e come conseguenza a
ciò crisi e guerre,
finchè l’ambiente viene distrutto da una crescita economica
esponenziale e
finchè il Nord industrializzato saccheggia indiscriminatamente
il Sud, rimane
necessario cercare delle alternative ai sistemi economici tradizionali.
In
questa direzione potrebbe trovarsi una prospettiva futura anche per il
modello
di Silvio Gesell
"Paese libero – denaro libero".


Letteratura di approfondimento


Enrico Ghirardini:
L’Utopia Monetaria di Silvio Gesell. Universita’ degli Studi di Venezia
Ca’ Foscari,
1996.


Silvio Gesell: The Natural Economic Order (translation by Philip Pye).
London
1958. (can be found completely on http://www.systemfehler.de)


John Maynard Keynes: General Theory of Employment, Interest and Money.
London
1935, chap. 16,
23 and 24.


Lawrence

Klein: The Keynesian Revolution.
London
1966/1980, chapter 5, p. 124 – 152.


Dieter Suhr: The Capitalist Cost-Benefit Structure of
Money.
New York
and
Berlin
1989.


William Darity jr.: Keynes’ Political Philosophy: The
Gesell Connection,
in: Eastern Economic Journal Vol.21, No. 1, Winter 1995, p.
27 – 41.


Mario Seccareccia: Early Twentieth-Century Heterodox
Monetary Thought
and the Law of Entropy, in: A. Cohen, H. Hagemann and J. Smithin,
Money,
Financial Institutions and Macroeconomics.
Boston:
Kluwer Academic Publishers, 1997.


Silvio Gesell: L’Ordre économique naturel (trad. Par
Felix Swinné),
Paris-Bern-Bruxelles 1949.


Michel Herland: L’Utopie monétaire de Silvio Gesell
– Un Cas d’Hétérodoxie
entre Wicksell et Keynes, en : Richard Arena et Dominique
Torre : Keynes et les nouveaux Keynésiens. Paris
1992, p. 59 – 80.


Jérome Blance: Les Monnais Parallèles –
Unité et diversité du fait
monétaire. Paris 2000.


Materialien zur Geld-, Zins- und Schuldenproblematik http://www.geldreform.de/


http://italy.indymedia.org/news/2004/06/571704.php


Open Economy http://www.open-economy.org/index.php


Approfondimento:

Come il
borgomastro di
Wörgl risolse i problemi dell’economia applicando le idee di
Silvio Gesell
http://www.laleva.cc/economia/storiamonetaria.html

IL MIO FUNERALE di Enzo Baldoni

Ordunque, trascurando il fatto che io sono certamente immortale, se per qualche errore del Creatore prima o poi dovesse succedere anche a me di morire – evento verso cui serbo la più tranquilla e sorridente delle disposizioni – ecco le mie istruzioni per l’uso.
La mia bara posata a terra, in un ambiente possibilmente laico, ma va bene anche una chiesa, chi se ne frega. Potrebbe anche essere la Casa delle Balene, se ci sarà già o ci sarà ancora. L’ora? Tardo pomeriggio, verso l’ora dell’aperitivo.
Se non sarà stato possibile recuperare il cadavere perché magari sono sparito in mare (non è una cattiva morte, ci sono stato vicino: ti prende una gran serenità) in uno dei miei viaggi, andrà bene la sedia dove lavoro col mio ritratto sopra.
Verrà data comunicazione, naturalmente per posta elettronica, alla lista EnzoB e a tutte le altre mailing list che avrò all’epoca. Si farà anche un annuncio sui miei blog e su qualsiasi altra diavoleria elettronica verrà inventata nei prossimi cent’anni.
Vorrei che tutti fossero vestiti con abiti allegri e colorati. Vorrei che, per non più di trenta minuti complessivi, mia moglie, i miei figli, i miei fratelli e miei amici più stretti tracciassero un breve ritratto del caro estinto, coi mezzi che credono: lettera, ricordo, audiovisivo, canzone, poesia, satira, epigramma, haiku. Ci saranno alcune parole tabù che assolutamente non dovranno essere pronunciate: dolore, perdita, vuoto incolmabile, padre affettuoso, sposo esemplare, valle di lacrime, non lo dimenticheremo mai, inconsolabile, il mondo è un po’ più freddo, sono sempre i migliori che se ne vanno e poi tutti gli eufemismi come si è spento, è scomparso, ci ha lasciati.
Il ritratto migliore sarà quello che strapperà più risate fra il pubblico. Quindi dateci dentro e non risparmiatemi. Tanto non avrete mai veramente idea di tutto quello che ho combinato.
Poi una tenda si scosterà e apparirà un buffet con vino, panini e paninetti, tartine, dolci, pasta al forno, risotti, birra, salsicce e tutto quel che volete. Vorrei l’orchestra degli Unza, gli zingari di Milano, che cominci a suonare musiche allegre, violini e sax e fisarmoniche. Non mi dispiacerebbe se la gente si mettesse a ballare. Voglio che ognuno versi una goccia di vino sulla bara, checcazzo, mica tutto a voi, in fondo sono io che pago, datene un po’ anche a me.
Voglio che si rida – avete notato? Ai funerali si finisce sempre per ridere: è naturale, la vita prende il sopravvento sulla morte – . E si fumi tranquillamente tutto ciò che si vuole. Non mi dispiacerebbe se nascessero nuovi amori. Una sveltina su un soppalco defilato non la considerei un’offesa alla morte, bensì un’offerta alla vita.
Verso le otto o le nove, senza tante cerimonie, la mia bara venga portata via in punta di piedi e avviata al crematorio, mentre la musica e la festa continueranno fino a notte inoltrata. Le mie ceneri in mare, direi.
Ma fate voi, cazzo mi frega

DALLA PARTE DI CHAVEZ di Ernesto Cardenal

Nella città di Valencia, in Venezuela, mi hanno raccontato che
una volta Neruda
era venuto a fare un reading di poesia e che ci furono
solo trenta persone. Sono appena tornato da lì dove partecipavo
a un Festival Mondiale di Poesia (con poeti di cinque continenti) e
l’auditorio non solo si è riempito ma fuori c’era un ugual
numero di pubblico che è rimasto fuori e non ha voluto
andarsene, sicchè una volta finita la funzione all’interno
abbiamo dovuto ripeterlo per il pubblico che non aveva potuto
assistere. In Caracas, nel Teatro Teresa Carreño, dove possono
starci 2500 persone, per questo stesso Festival si è dovuto
mettere uno schermo gigante all’esterno a causa del gran numero di
persone che era rimasta in strada. Mi hanno detto alcuni poeti che
questa passione per la poesia non è affatto tradizionale in
Venezuela, e che è senz’altro un frutto della rivoluzione

Tutti parlano del "processo" !!
Mi ha sorpreso come in Venezuela tutti parlano del "processo", e altri,
più espliciti, della "rivoluzione". In realtà si tratta
di una rivoluzione in processo. Questo non si sa fuori. Si fa solo
pubblicità allo scontento dell’ opposizione. Fuori non si sa che
in Venezuela si sta completando una campagna d’alfabetizzazione e che
fra due mesi l’analfabetismo sarà a tasso Zero. L’ educazione
ora si fa anche in lingue indigene, che sono 38, e si fanno
pubblicazioni in queste lingue. La lingua ufficiale ormai non è
solo lo spagnolo, ma lo sono anche le lingue indigene. Ci sono tre
indigeni/e nell’assemblea nazionale (parlamento) e fino a poco fa
un’indigena era ministra dell’Ambiente e Risorse Naturali. Il ministro
d’ Educazione, Cultura e Sport è nero e il viceministro della
Cultura, che ha promosso questo festival Mondiale di Poesia, mi ha
raccontato che avevano pubblicato 25 milioni di esemplari di libri di
diversi titoli perché venissero distribuiti gratis in tutto il
Venezuela. Mi ha detto anche che stavano creando una catena di librerie
in tutto il paese, una distributrice di libri e una casa editrice dello
Stato per pubblicare libri politici, dato che la popolazione li cercava
e richiedeva mentre si potevano trovare soltanto libri di destra. Come
esempio di quello che è la destra: il grande quotidiano "El
Nacional
" il giorno dell’ inaugurazione del nostro Festival di
Poesia,
non ne ha scritto nemmeno una riga.

L’educazione è diventata di
massa!!
L’educazione ha reintegrato milioni di persone che prima ne erano
escluse. I programmi di educazione cominciano dai bambini di un anno.
Le scuole bolivariane, in cui non si paga nulla, sono per i bambini che
prima non potevano pagare l’iscrizione a una scuola. Si tratta di
scuole di educazione integrale, con pranzo e merenda, e con cultura e
sport oltre agli insegnamenti dell’educazione di base. E già non
si tratta di scuole separate dalla comunità come prima,
poiché esse stesse sono diventati centri di incontro e di
realizzazione di progetti comunitari. Anche l’università
bolivariana è gratuita ed è per tutti quelli che non
possono pagarsi l’università. C’è anche un gruppo
numeroso di studenti, molto selezionati e con il divieto di appartenere
a dei partiti politici, a Cuba, che si stan formando per realizzare in
futuro compiti di governo. E un’altra cosa che ho saputo in Venezuela
è che il presidente Chàvez ha
rinunciato al suo stipendio e che
questo è destinato a borse di studio per studenti. Nella
città di Merida, un giovane poeta mi ha detto che le
manifestazioni politiche sono anche un momento educativo e che lui
stesso, da intellettuale, apprende molto in queste concentrazioni di
gente perché si tratta di veri eventi culturali, con poesia,
musica, canti e balli.

Internet gratis anche in campagna
!!
La rivoluzione è in tutto e alla portata di tutti, nei
quartieri, paesini e borgate si creano centri comunitari con l’accesso
a Internet gratuito per tutta la popolazione, con biblioteche e spazi
di danza e teatro. Si stanno costruendo stadi e complessi sportivi, si
edificano migliaia di case per la popolazione e grandi edifici di
appartamenti a buon mercato. Si attribuiscono titoli di
proprietà della terra con macchinari, credito e assistenza
tecnica. La missione "Barrio Adentro" si occupa di dare assistenza
medica alla popolazione che non riceveva prima questi servizi, come nel
caso delle tribù indigene. La maggior parte di questi medici
sono cubani, poiché pochi medici venezuelani arrivano fin
lì. In più tutte le settimane un aereo parte per Cuba
portando e riportando malati e medicine gratis per tutta la popolazione
Nelle campagne ci sono 40.000 soldati che danno assistenza nel campo
della salute del popolo. Altri aprono strade, costruiscono case,
organizzano cooperative o aiutano gli indigeni nei loro campi. I poveri
vanno con le loro galline negli elicotteri e aerei dell’Esercito e la
Marina assiste le cooperative di pesca. La cosa più importante
è la fraternizzazione di civili e soldati, uniti in una sola
rivoluzione. Il coinvolgimento dei militari nella rivoluzione è
molto grande e pochi giorni prima del mio arrivo, tre generali avevano
chiesto il congedo per candidarsi alla carica di governatore
perché preferivano, alla carriera delle armi, la direzione delle
masse.

Non è una rivoluzione
improvvisata: questa non è una rivoluzione che il presidente
Chavez si
è inventato da un momento all’altro. C’è
un’intervista di 15 ore che gli ha fatto Marta Harnecker e che
si
è trasformata in libro, nella quale Chavez racconta che
questa
rivoluzione è andato maturandola insieme con altri amici da
quando entrò nell’Esercito, anche se la sua prima aspirazione
era stata essere giocatore di pelota. Lui è di un piccolo
paesino del Venezuela ed era un bambino scalzo che vendeva dolci nelle
strade. Racconta che fin da quando entrò a 17 anni all’
Accademia militare leggeva tutto quello che cadeva nelle sue mani. Nei
suoi studi di Scienze Politiche si entusiasmò di Mao, un
entusiasmo che si mantiene e da allora gli è rimasto impresso
quello che Mao diceva: "Il popolo sta all’esercito come l’acqua per il
pesce". Da allora è convinto che esercito e popolo devono essere
uniti. E’ stato un grande ammiratore dell’esperienza di Torrijos a
Panama e della rivoluzione peruviana di Velazco Alvarado. Non è
marxista, dice lui, però nemmeno antimarxista. Ritiene che la
soluzione per il Venezuela sarà diversa. Certamente è
anticapitalista e profondamente antimperialista. Insiste sul fatto che
stanno facendo una rivoluzione democratica e pacifica anche se non
disarmata, perché oltre al sostegno della popolazione, che
è dell’80%, ha quello delle Forze Armate che, benchè non
totale, dice lui, è quasi totale.

La sua grande arma: la
Costituzione: oltre alle due armi del Popolo e dell’ Esercito, ha
un’arma in più, un po’ strana, la Costituzione Bolivariana. Non
si tratta di una Costituzione qualsiasi come quelle dei nostri paesi,
poiché in essa sono contenute tutte le trasformazioni per una
grande rivoluzione e dato che è stata approvata da un referendum
popolare non potrebbe essere modificata se non attraverso un
referendum. Con questa Costituzione, dice lui, si sta compiendo la
trasformazione giuridico – politica del paese; quella economica si
farà con più calma. Questo è un processo sui
generis, dice Marta
Harnecker
, che rompe gli schemi preconcetti dei
processi rivoluzionari. La Costituzione Bolivariana, l’unica a non
essere approvata da un Congresso ma, bensì, da milioni di
persone, stabilisce i diritti dei lavoratori, dei bambini, la
proibizione di privatizzare il petrolio, l’obbligo dello Stato di farla
finita con i latifondi, di appoggiare i pescatori artigianali e di
eleggere i sindacati dalla base, i diritti dei popoli indigeni e il
diritto a una vera informazione. La Costituzione è stata edita
in differenti formati, e in un formato ridotto, quasi miniatura,
è stata distribuita gratuitamente a tutti/e, e tutti/e la
portano con sé, quasi non c’è venezuelano/a che non
l’abbia letta. E’ il programma della rivoluzione. Ci sono esperti
popolari della Costituzione, nelle strade e nei parchi e la destra
ricorre anche lei tutto il tempo alla Costituzione. Quando tentarono il
golpe contro Chávez,
con un governo che è durato soltanto
37 ore, la prima cosa che hanno fatto è stata abolire la
Costituzione. E quando il popolo si riversò nelle strade in
tutto Venezuela e circondò le caserme e liberò
Chávez
dalla prigione, lo fece sollevando in alto questo
libretto. Si potrà credere che con Chávez il
Venezuela
è diviso in due parti uguali, però non è
così. La divisione è fra un 80% (i poveri) e un 20% (i
privilegiati), anche se in qualche caso, come quello delle
comunicazioni, questo 20% pesa più dell’altro 80%.I due grandi
partiti tradizionali, quello della democrazia cristiana e quello della
socialdemocrazia sono cadaveri. I partiti minori contano ancor meno e
sono frammentati. Chávez
ha creato il suo proprio partito,
quello della Quinta Repubblica, che a quanto mi dicono è molto
eterogeneo, composto di ex militanti degli altri partiti, anche del
partito comunista e da molte persone che non hanno mai militato in un
partito. Il termine "bolivariano" che Chávez usa
tanto, non
è una semplice parola, bensì l’essenza della sua
rivoluzione. Lui fa riferimento continuamente ai "500 anni": c’è
da cambiare quello che c’è stato per 500 anni. Ovvero completare
quello che Bolívar ha iniziato. Includendo l’ unificazione
dell’America Latina in una federazione. Dice anche che questa è
una battaglia che definirà i prossimi 200 anni. Fidel in Cuba
gli ha detto che quello che Chávez

chiamava bolivariano, loro
lì in Cuba lo chiamavano socialismo, e che però non aveva
alcuna obiezione se lo si chiamava bolivariano e nemmeno aveva alcuna
obiezione se lo si chiamava cristiano.

articolo pubblicato da
El nuevo diario, Managua, Nicaragua. Traduzione a cura di Fiorella
Bomé

Fonte: GRANELLO DI
SABBIA (n°134), Bollettino elettronico settimanale di ATTAC,
mercoledì 13 ottobre 2004

L’esperimento di Reinsch di Paolo Cortesi


Si esponevano le ricerche
compiute
da uno scienziato tedesco, H. Reinsch, il quale aveva raccolto le
proprie
osservazioni in una memoria intitolata “Ueber den Einfluss toenender
Saiten auf
die Magnetnadel”, ovvero “Influenza esercitata sull’ago magnetico da
corde
musicali nello stato di vibrazione”.

Il Reinsch aveva
esaminato il
comportamento dell’ago magnetico (cioè una bussola al suo stadio
elementare)
sospeso su corde di violoncello che
venivano fatte vibrare
dall’archetto.

La tripla corda (di
budello e non
metallica, per evitare attrazioni) era disposta esattamente lungo il
meridiano
magnetico; l’ago era sospeso a circa un dodicesimo di pollice (pochi
millimetri) sulla corda.

“Un primo colpo
d’archetto”
leggiamo nella relazione “ è stato sufficiente per imprimere una
considerevole
deviazione all’ago, e cinque o sei colpi successivi hanno causato una
deviazione di 90 gradi. Più il suono è puro, più
è grande la tensione della
corda e più la deviazione è marcata.”

Si potrebbe supporre che
il moto
del leggerissimo ago sia stato prodotto dallo spostamento d’aria
dell’archetto,
ma così non è, infatti “le differenti deviazioni
corrispondono esattamente a
quelle prodotte dalla corrente galvanica”.

“Immediatamente al
momento in cui
è dato il colpo d’archetto accanto il cavalletto del violoncello
in direzione
est, l’ago si sposta ad ovest. Dando un colpo in senso contrario
(cioè verso
ovest), l’ago devia verso est.

Dando un colpo d’archetto
sulla
corda in prossimità dell’estremità sud dell’ago
magnetico, le deviazioni
avvengono esattamente nelle direzioni opposte a quelle provocate dai
colpi dati
verso l’estremità nord”.

Come si vede, dunque, il
moto
dell’ago non è dipendente dal senso di moto dell’archetto, ma
segue costanti
evidentemente collegate al magnetismo.

L’esperimento di Reinsch
mi sembra
suggerire l’ipotesi che le vibrazioni sonore siano in qualche modo
collegate
alle variazioni di campo magnetico.

Non sono un fisico, e
quindi le
mie osservazioni non hanno alcuna importanza; ma come storico desidero
sottoporre allo studio dei fisici questo antico esperimento che avrebbe
potuto
schiudere la via a notevoli scoperte fisiche e che invece è
stato completamente
dimenticato.

Resistere alla politica della paura di John Mack


Dr.John Mack,
personaggio amato negli ambienti più interessati e partecipi

alla ricerca sugli UFO e sulle
esperienze di incontri ravvicinati.

Come tali, pubblichiamo
ciò in sua memoria. Il Dr. John Mack
è stato

tragicamente ucciso il 27
Settembre 2004.


Il Senatore John Edwards e molti
altri Americani credono che il Vice

Presidente Cheney abbia "passato
il limite" quando disse che se avessimo

scelto John Kerry, invece di George Bush, saremmo
stati nuovamente

sconfitti e in maniera
devastante per la saldezza degli Stati Uniti. Ma io

credo che il limite è
stato superato molti mesi, fa quando il Presidente

Bush e la sua
amministrazione decisero di manipolare le menti della nostra

gente, terrorizzandola
costantemente con lo spettro di attacchi

terroristici. Il pericolo del
terrorismo è reale, per questo è di grande

importanza che la nostra
capacità di valutazione del rischio che affrontiamo

non sia distorta in nome di
vantaggi politici.


Non c’è nulla di nuovo
in questa strategia tesa ad ottenere e mantenere il

potere.

Dallo storico greco Tucidide, al Barone
di Montesquieu,
sino ad Hermann


Goering nel
ventesimo secolo, abbiamo capito che che tutto ciò che i leader

nazionali devono fare per
mantenere il potere è focalizzarsi su una minaccia

esterna, nel contempo tacciando
di mancanza di patriottismo quanti non

vogliono seguire i loro piani,
esponendo così il paese ad un pericolo. Ma

oggi, ciò che forse
è da considerare senza precedenti è il modo sistematico,

virtualmente scientifico, con
cui l’attuale amministrazione ha usato la

paura, per controllare il
dissenso e misurare la quantità di paura che noi

dovremmo provare.

Alla conferenza intitolata La
Paura: i suoi usi ed abusi politici,

sponsorizzata il Febbraio
scorso dalla New School University di New York,

gli organizzatori
sottolinearono che Per la prima volta nella nostra

storia, oggi non solo veniamo
avvertiti che dobbiamo avere paura, ma ci

viene detto persino quanto
impauriti dobbiamo essere (allarme rosso,

arancione e giallo) eppure, a
prescindere dal tipo di timore che dovremmo

provare, nessun consiglio ci
viene elargito sul da farsi, eccetto forse il

dover diffidare degli stranieri
e il premunirsi con scorte di nastro

isolante e acqua in bottiglia.

Il terrorismo è una
minaccia terribilmente reale. Ma l’incessante ricorso

alla retorica del terrore,
della violenza e del pericolo, che ha

accompagnato un numero
crescente di falsi allarmi, paralizza le nostre menti

e ci deruba del potere di
distinguere la verità dalle menzogne e di

discernere fra i pericoli reali
e quelli che ci vengono sbandierati al solo

scopo di meglio manovrare la
politica interna.


Roboanti proclami e minacce si
confondono con la forza, e stupidi discorsi

macho sulla debolezza
dell¹uomo, o il sistematico deridere la nostra

eccessiva sensibilità,
in realtà possono solo coprire ignoranza e

debolezza. Una paura di questo
tipo può condurre, come ha fatto nel passato,

ad ingiustificati atti di
aggressione compiuti in nostro nome.


Esistono altre dannose
conseguenze della politica della paura. Essa viene

usata strumentalmente per
privarci della nostra libertà, mentre noi

chiediamo libertà e
democrazia per gli altri. Questo provoca una sorta di

regressione psicologica
nazionale, riducendo la nostra mente a primitive e

scarnificate forme di pensiero,
quello che il giornalista conservatore

Charley Reese ha definito
il comico libro mondiale degli eroi Americani e

dei malvagi operatori stranieri.

Gli stessi leader si
autoconvincono, alla fine, delle proprie

proiezioni-minaccia e
soccombono inevitabilmente all’atmosfera di paura che

hanno contribuito a creare. Il
loro discernimento si è indebolito e non si

rivolge più ai reali
pericoli, mentre gonfia, come nel caso dell¹Iraq,

minacce alla nostra sicurezza
nazionale che in effetti non esistono.


Tale regressione colpisce
coloro che hanno le chiavi del comando, può essere

scioccante, ma non può
più sorprendere che atrocità come quelle commesse

nella prigione di Abu Ghraib
vengano perpetrate, anche se solo in alcuni

casi, da donne.

Il male peggiore è forse
ciò che la politica della paura ha fatto ai nostri

valori come popolo. Il poeta
Michael Blumenthal, ritornando negli Stati

Uniti il mese scorso dopo tre
anni di permanenza in Europa, ha ritrovato

una nazione spaventata e
spaventosa, priva di generosità e umanità e

decenza e carità una
nazione che sembra incapace di trovare per il suo

patriottismo una qualsiasi
ragione più profonda di un’atmosfera manipolata

cinicamente da ansietà e
paura. Theodore Sorenson, il primo assistente del

Presidente John F.Kennedy, in un
suo discorso inaugurale tenuto lo scorso

Maggio in Nebraska, ha messo in
guardia sul colpo sferrato al grande cuore

e all’anima di questo Paese,
una nazione che si muove verso una mediocrità

feroce, invece che verso un
nobile fine.


Alcuni di noi si stanno
accorgendo del pericolo della politica della paura.

Voci si alzano
dall’opposizione. Catharine Gamboa di Baltimora scrive

all’editore: Io rifiuto di
sottomettermi al terrore, rifiuto di essere

impudentemente manipolata da
questi sinistri battiti di tamburo, e Steve

Mavros di Philadelphia dichiara
di essere stufo di vivere nella paura e

stanco degli allarmi che mi
dicono se fare o meno una passeggiata (New


York Times, 9 Settembre, p.A32).
Kasey Hrehocik, studentessa della Poteet

High School in Texas, ha
scritto un documento che si oppone alla fabbrica

della paura con cui ci dicono
di convivere. Quando permettiamo alla paura

di oltrepassare le difese
sociali che tengono insieme i nostri ideali ed i

nostri valori ha ammonito,
permettiamo alla nostra casa, l’America, di

diventare una palude ricoperta
di immondizia riempita di manipolazioni ed

inganni.

Ma le voci di queste coraggiose
persone devono trovare unione, in una

crescente onda di resistenza.
Il pessimo uso della paura finalizzata al

controllo delle nostre menti
potrebbe trasformarsi in un nuovo cardine della

nostra coscienza nazionale, e
chi appartenga ad ogni livello del nostro

sistema educativo deve poter
riconoscere i segnali di tale velenosa

strategia. Solo aprendo gli
occhi, credo, saremo in grado di preservare i

nostri valori nazionali e la
nostra integrità, e riusciremo a compiere le

scelte intelligenti, dalle
quali dipendono la vera "sicurezza" ed il suo

raggiungimento.

Questo editoriale, scritto per
il Boston Globe, non
era stato ancora

pubblicato al momento della
morte del Dr. Mack,
avvenuta il 27 Settembre

2004, in un incidente di auto.

ORO Blu. La battaglia contro il furto mondiale dell’acqua.

dell’ONU Kofi Annan
evidenzia bene la crescente preoccupazione con cui, a livello mondiale,
si guarda ormai al problema acqua, risorsa indispensabile alla vita ma
pericolosamente in calo. Un’analisi delle cause della riduzione delle
risorse idriche mondiali e delle prospettive ambientali, economiche,
sociali e politiche che tale riduzione comporta, è fornita da
due studiosi canadesi, Maude
Barlow
e Tony
Clarke
, con l’interessante
Oro
blu. La battaglia contro il furto
mondiale dell’acqua
, tradotto
e pubblicato in Italia dall’
Arianna
Editrice
. Una particolare
attenzione è riservata alla strategia di mercificazione delle
acque, su cui prosperano gli appetiti delle multinazionali del settore,
e alle iniziative di lotta che gli abitanti del pianeta possono
intraprendere per riappropriarsi di una risorsa fondamentale per la
vita.

Punto di partenza è la
limitatezza delle risorse di acqua dolce disponibile. Se già
oggi 1,2 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 1/3
della popolazione mondiale vive in condizioni di stress idrico, nel
2025 saranno 5,5 miliardi (circa i 2/3 degli abitanti del pianeta) le
persone a rischio idrico. L’allarme, ovviamente, riguarda soprattutto
quelle regioni tradizionalmente povere di acque, ma non risparmia
neanche aree con maggiore disponibilità, minacciate dalla
crescita demografica e dal saccheggio indiscriminato delle risorse
usuale del modello di sviluppo dominante.

Tra i fattori di crisi
c’è, innegabilmente, lo sviluppo demografico, con una
popolazione mondiale che aumenta di 85 milioni di persone all’anno e
che richiede quantitativi di acqua dolce sempre maggiori per i diversi
usi civili, industriali e soprattutto agricoli (già oggi il
65-70% delle risorse è destinato a scopi irrigui). Ma pur senza
aderire alla fideistica speranza con cui la Chiesa affronta la
questione nascite (un fideismo che non rinuncia a pericolose
concessioni all’umano intervento, come le sciagurate aperture del Vaticano agli alimenti ogm),
la sovrappopolazione, da sola, non spiega
la crisi idrica né le altre emergenze ambientali, come invece
vorrebbero i malthusiani del XXI secolo (la cui preoccupazione sembra
piuttosto quella di conservare, per i ricchi abitanti dell’Occidente,
il diritto a consumare senza limiti).

Non è solo una questione
di abitanti in eccesso ma anche di saccheggio e sperpero delle risorse
naturali. Il consumo globale di acqua raddoppia ogni 20 anni, ad un
tasso quindi più che doppio rispetto alla crescita della
popolazione mondiale. A fronte di un diritto minimo giornaliero
calcolato dall’ONU in 40 litri
pro-capite, in Italia il consumo
quotidiano è di 267 litri (la media europea è di 165), in
Canada 350, negli Stati Uniti 425 (e in Africa 10). Nell’industria ci
vogliono 400.000 litri d’acqua per produrre un’automobile ed anche
l’industria informatica, inizialmente considerata pulita, richiede
grosse quantità di acqua dolce deionizzata che restituisce
altamente inquinata (la maggior parte dei siti tossici finanziati
dall’Agenzia per la Protezione Ambientale statunitense si trova proprio
nella Silicon Valley). E l’agricoltura intensiva, con le sue pratiche
di irrigazione diffusa (che può arrivare a disperdere fino
all’80% dell’acqua utilizzata) ed il ricorso a concimi chimici e
pesticidi, sta provocando il rapido esaurimento ed inquinamento delle
falde sotterranee.

A rendere insostenibile la
situazione, insomma, non è solo l’aumento della popolazione
quanto l’uso indiscriminato delle risorse naturali. “
I popoli antichi e quelli che oggigiorno
vivono più vicini alle forze della Natura
– ricordano Barlow e Clarkesapevano che distruggere l’acqua
equivaleva a distruggere sé stessi. Solo le moderne culture
“avanzate”, spinte dalla logica dell’acquisto e convinte della propria
supremazia sulla Natura, hanno mancato di onorare l’acqua
”. Ciò che manca alla
modernità, notoriamente, è il senso del
limite.
Ed è questa impostazione che ci porta, per dirla in termini
economici, a dissipare il
capitale
acqua anziché vivere
di
rendita; con la prospettiva, sempre più
vicina, del
fallimento.


Le conseguenze sono
drammatiche: laghi che scompaiono, fiumi che non riescono più ad
arrivare al mare, falde sotterranee che si assottigliano (con i
fenomeni collegati, quali mutamento dei micro-clima, salinizzazione,
subsidenza). Ad aggravare gli effetti dell’azione diretta dell’uomo ci
sono le ricadute dell’azione indiretta: il riscaldamento del pianeta,
la deforestazione, l’urbanizzazione, la riduzione delle zone umide (a
livello mondiale dimezzate nel corso del ‘900), che complessivamente
riducono la capacità di accumulo e conservazione di acqua dolce.
E, sul piano qualitativo, incidono pesantemente le diverse forme di
inquinamento legate alle attività umane (agricole, industriali,
zootecniche, insediative), che riducono ancor più la
disponibilità di acqua dolce.


L’acqua diventa così, a
livello mondiale, un bene sempre più prezioso, l’
oro blu, appunto, che richiama gli appetiti delle
grandi
corporations. Al “furto mondiale dell’acqua” Barlow e Clarke
dedicano ampie pagine, ricostruendo strategie, protagonisti e
programmi della privatizzazione del “bene” acqua.

A monte c’è proprio la
trasformazione, politica, giuridica ed economica, dell’acqua in “bene
economico”. Il processo è ampio, e si riconduce alla
mercificazione di ogni aspetto della vita, ivi inclusi settori
rilevanti quali sanità, istruzione, cultura, patrimonio
artistico, codici genetici, sementi e risorse naturali, aria e acqua
comprese. Il progetto di riferimento è quello del cd.
Washington Consensus, dottrina di liberalizzazione economica
suggerita dalla Commissione Trilaterale, volta a garantire la libera
circolazione di capitali, beni e servizi senza alcun impedimento da
parte dei governi. Al
Forum
mondiale dell’acqua
tenutosi a
L’Aia nel marzo 2000, passò appunto la tesi che l’acqua fosse un
bisogno anziché un diritto, come tale assicurabile dal mercato
piuttosto che dagli Stati.

La riduzione dell’acqua a bene
commerciale, rende applicabile ad essa le regole sul libero mercato
affermate dal WTO o da accordi
locali (tipo il NAFTA, l’Accordo di
libero scambio nell’America settentrionale). Ciò significa che
se un governo volesse vietare l’esportazione di grosse quantità
di acque oppure la concessione dei servizi idrici ad una compagnia
straniera verrebbe accusato di violazione degli accordi sul libero
scambio. La libera circolazione delle merci prevale anche di fronte
alle ragioni di tutela ambientale: in tutte le controversie – ricordano
gli autori del libro – sorte davanti al WTO
per l’applicazione del GATT
(l’Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio), solo in un caso le
ragioni ambientali sono riuscite a prevalere su quelle commerciali.

Nella stessa direzione spingono
anche la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, che spesso
impongono, quale condizione per accedere ai finanziamenti nel settore,
la privatizzazione dei servizi idrici.

L’intervento dei privati viene
spesso giustificato con la necessità di gestire in maniera
economicamente efficace la risorsa acqua, assicurando quantità e
qualità del servizio ed evitando perdite di rete e sprechi nei
consumi.

L’ampia casistica riportata in Oro blu, tuttavia, mette in discussione la
fondatezza di tali aspettative. Il subentro dei privati al pubblico
nella gestione dei servizi idrici, infatti, non garantisce né
migliori servizi né, tantomeno, il rispetto delle esigenze di
caratteriale ambientale o sociale, sacrificati a quello che è lo
scopo essenziale degli azionisti delle grandi compagnie, la
massimizzazione dei profitti. Sul piano ambientale, le società
non applicano politiche di sostenibilità a lungo termine, ma
puntano alla maggior crescita dei consumi nell’immediato: per esse,
sono più convenienti i processi di desalinizzazione, la
deviazione di fiumi, la costruzione di dighe anziché
un’educazione al risparmio. La riduzione dei costi, inoltre, avviene
spesso a spese dell’ambiente, con il mancato rispetto della normativa
in materia di scarichi, depuratori, bonifiche: bastino, come esempio,
le 730 violazioni ambientali accertate tra il 1990 ed 1997 a carico
della Bechtel (una delle
maggiori compagnie mondiali) dall’Ente
Americano per la tutela ambientale. Parimenti, si trascurano le
esigenze sociali: si privilegiano i servizi più redditizi a
scapito di quelli, pur necessari, che danno minor profitto (ad es.
quelli fognari), e, nelle forniture, si antepongono le aree
residenziali abitate dai ceti abbienti piuttosto che quelle più
popolari o degradate. Le privatizzazioni comportano, inoltre, sempre un
rincaro delle tariffe dell’acqua, il che acuisce, soprattutto nei paesi
del Sud del mondo, i problemi di accesso di parte della popolazione
alla risorsa. Insomma, appare fondata la percezione, rilevata in un
documento ONU del 2003, che “
la
partecipazione del settore privato arricchisca pochi a spese di molti,
e che l’acqua sia abbondante per quelli che possono pagarla
”.

Altri mali endemici rilevati
nelle privatizzazioni sono i licenziamenti nel settore (uno dei primi
effetti della riduzione dei costi, ma, conseguentemente, una delle
cause principali della successiva peggiore qualità del servizio)
e lo sviluppo della corruzione: uno dei casi più noti è
quello di Grenoble, dove la privatizzazione dei servizi idrici nel 1989
è stata disposta a seguito di consistenti donazioni elettorali
al sindaco da parte della Suez (un colosso mondiale del settore,
presente in 130 paesi, e che insieme all’altra compagnia francese Vivendi,
copre il 70% del mercato mondiale dell’acqua)

In termini economici, il giro
d’affari è enorme. Si valuta in 400 miliardi di dollari annui il
volume d’affari attuale delle forniture idriche, ma stime della Banca
Mondiale prevedono che si arrivi, in tempi assai vicini, ad oltre 1.000
miliardi. L’industria idrica, le cui entrate già oggi sono pari
al 40% di quelle petrolifere, diventa così, secondo gli analisti
economici, il “
miglior settore
del prossimo secolo
”, quello che
consente, per giunta, i più ampi margini di crescita, visto che
oggi solo il 5% della popolazione mondiale riceve acqua dalle
corporations.

La prospettiva di consistenti
profitti è alla base di vari progetti, estremamente costosi e di
grande pericolo per l’ambiente, per procurare acqua alle regioni del
pianeta meno fornite: dai processi di desalinizzazione (dove per ogni
litro di acqua marina trattata, i due terzi diventano scorie altamente
saline ed inquinanti) al trasporto via mare tramite cisterne, ex
petroliere o sacche, a mega condutture fino a sistemi di canali, dighe
e bacini artificiali in grado di convogliare l’acqua ad enormi distanze
(ad esempio il NAWAPA, un mega canale che convoglierebbe le acque
dell’Alaska fino allo Stato di Washington attraverso le Montagne
Rocciose, creando un bacino artificiale della lunghezza di oltre 800
chilometri). Al danno ambientale spesso si accompagna la “beffa”
dell’assurdità dell’intervento, laddove si intendono rifornire
d’acqua zone desertiche (esemplari i casi di Las Vegas e dell’Arizona)
che non potrebbero sostenere un elevato numero di presenze (la cd.
politica del deserto). Per inciso, si tratta di progetti
dall’alto costo, previsti per rifornire d’acqua popolazioni in grado di
pagare; nulla a che fare, quindi, con le esigenze di servizi idrici per
le assetate popolazioni del Sud del mondo.


Che fare? Barlow e Maude
individuano alcune linee d’azione per resistere al furto mondiale
dell’acqua. Partendo dalla constatazione che i governi hanno ormai
abbracciato la globalizzazione economica (grazie anche all’azione di
lobbies delle grandi compagnie), la lotta deve
partire dal basso, dalle comunità locali, che sono le prime
interessate ad una gestione oculata e conservativa della risorsa acqua.
Il panorama mondiale offre numerosi esempi di movimenti di base che
sono riusciti ad ostacolare la costruzione di dighe, la privatizzazione
dei servizi, l’esportazione di acque, la contaminazione delle falde a
causa delle attività industriali, estrattive, agricole. In gioco
è il concetto stesso di democrazia, intesa in senso non
meramente rappresentativo (visto il tradimento dei governi), ma
piuttosto partecipativo, con la riappropriazione da parte delle
comunità locali della loro terra e delle sue risorse.

Fondamentale è
però un cambiamento di
prospettiva. L’acqua non deve essere più una
merce, ma deve tornare tra i
commons, tra quei beni di diritto pubblico
spettanti a ciascuno in base alla propria necessità. In tale
prospettiva può anche esserne fissato un “prezzo equo”, tale
comunque da garantire a tutti una quantità minima indispensabile
e, oltre tale soglia, dissuasivo dagli sprechi.

La sua gestione, rimessa ai
cittadini e alle comunità locali, deve garantirne la
conservazione per sempre, per trasmetterla alle generazioni future e
per farla rimanere alla
terra e a tutte
le specie
, cui in realtà
appartiene. Riscoprire il
limite, quindi, e l’assoggettamento dell’uomo
alle leggi naturali, è il messaggio ultimo, del tutto
condivisibile, proposto dall’interessante
Oro blu.