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IN SIBERIA UN CASO DA MANUALE PER GLI X-FILES di Francesco Ognibene

Per ora bighellona tra le galassie, e pare
indifferente a quel microscopico pianeta sul quale due astronomi
californiani hanno cominciato a calcolarne le complicate movenze. Ma –
assicurano i due – tra otto secoli punterà su qualche oceano di quaggiù
causando ondate mostruose, sufficienti a spazzar via quel che
incontreranno oltre la spiaggia (qualsiasi cosa ci sarà allora). Accadrà
davvero? I calcoli parlano dello 0,3% di possibilità, ma guai a
scherzare con gli asteroidi. Quello che è quasi certamente caduto il 3
ottobre 2002 sulla regione di Bodaibo, Siberia remota, ha fatto capire
di non aver gradito l’indifferenza globale con cui è stato accolto il
suo considerevole tonfo. Spiaccicandosi nella taiga, infatti, il macigno
galattico ha causato un’onda sismica simile a un discreto terremoto,
oltre ad aver terrorizzato gli abitanti (radi, peraltro) della zona. Ma
al di fuori degli ambienti accademici nessuno ha considerato l’evento.
Strano? L’asteroide deve solo prendersela con se stesso: dovendo
scegliere un posto dove atterrare, proprio la Siberia? C’è voluta la
cocciutaggine di una spedizione russa: trovati i soldi, s’è incamminata
giorni fa verso l’area dell’impatto, distante chilometri da un qualsiasi
centro abitato. E qui inizia un giallo planetario degno di X-Files.

Sarà
che a inviare gli esploratori è stata la «Cosmopoik», organizzazione
specializzata in «fenomeni anomali»; sarà che la zona è davvero
sterminata: sta di fatto che i tre scienziati sono spariti nel nulla.
Non chiamano, non rispondono, non si trovano. Svaniti. Caduti nel
cratere? Ingoiati in un buco nero aperto dal sasso extraterrestre?
Catturati da quella che – scambiata per asteroide – era un’astronave
marziana? Su Internet circolano varie ipotesi. Tranne una, la più
verosimile: qualche vodka di troppo in una isba.

Bush: quello che serviva all’America era una “nuova Pearl Harbour” di John Pilger

I suoi scopi dichiarati sono diventati spaventosamente realtà.

John
Pilger, 12 dicembre 2002

La
minaccia posta dal terrorismo degli USA alla sicurezza delle nazioni e
degli individui è stata delineata in dettagli profetici in un documento
scritto più di due anni fa e rivelato solo recentemente.


Esso diceva che ciò che serviva all’America per dominare la maggior
parte dell’umanità e delle risorse mondiali era "un evento
catastrofico e catalizzante – come una nuova Pearl Harbor".


Gli attacchi dell’11 settembre 2001 procurarono la «nuova Pearl Harbor»,
descritta come «opportunità epocale». Gli estremisti che da allora
hanno sfruttato l’11 settembre vengono dall’era di Ronald Reagan, quando
vennero costituiti gruppi e «think- tanks» di estrema destra per
vendicare la «sconfitta» americana in Vietnam.


Uno dei «pensatori» di George W Bush è Richard Perle. Intervistai
Perle quando era consigliere di Reagan: e quando parlò di «guerra
totale» erroneamente lo scartai come pazzo. Recentemente ha ancora
usato il termine nel descrivere la «guerra al terrore» dell’America.
«Nessuna tregua» disse. «Questa è guerra totale. Stiamo combattendo
diversi nemici. Ce ne sono molti là fuori. Tutto questo parlare sul
fatto che prima andremo in Afghanistan e quindi in Iraq… questo è il
modo interamente sbagliato di considerare la faccenda. Se noi solamente
portiamo avanti la nostra visione del mondo e la adottiamo completamente
e non proviamo a mettere assieme pezzi di abile diplomazia, ma facciamo
meramente una guerra totale…i nostri figli in futuro canteranno grandi
canzoni su di noi».


Per quanto riguarda le presunte «armi di distruzione di massa»
dell’Iraq, esse venivano ignorate, in molte parti, come la conveniente
scusa che sono. «Mentre l’irrisolto conflitto con l’Iraq procura una
giustificazione immediata», esso dice, «la necessità di una
sostanziosa presenza delle forze americane nel Golfo trascende il tema
del regime di Saddam Hussein».


La mattina del 12 settembre 2001, senza alcuna prova su chi fossero i
dirottatori, Rumsfeld chiedeva che gli USA attaccassero l’Iraq.

Secondo Woodward, Rumsfeld alla riunione del gabinetto di guerra disse
che l’Iraq doveva essere «il principale bersaglio della prima fase
della guerra al terrorismo». L’Iraq venne temporaneamente risparmiato
solamente perché Colin Powell, il Segretario di Stato, persuase Bush
che «l’opinione pubblica deve essere preparata perché sia possibile
una mossa contro l’Iraq». Come opzione più facile venne scelto
l’Afghanistan. Se la stima di Jonathan Steele nel Guardian è corretta,
circa 20.000 persone in Afghanistan hanno pagato con la loro vita il
prezzo di questa discussione.


Dall’11 settembre l’america ha installato basi nei punti di accesso a
tutte le principali fonti di carburanti fossili, specialmente in Asia
centrale. La società petrolifera Unocal costruirà una pipeline
attraverso l’Afghanistan. Bush ha strappato il Protocollo di Kyoto sulle
emissioni di gas da effetto serra, gli accordi sui crimini di guerra
della Corte Criminale Internazionale ed il trattato sui missili
antibalistici. Ha detto che «se necessario» userà armi nucleari
contro stati non nucleari. Sotto la copertura della propaganda sulle
presunte armi di distruzione di massa dell’Iraq il regime Bush sta
sviluppando nuove armi di distruzione di massa che minano i trattati
internazionali sulla guerra biologica e chimica.


Dovete continuare a ricordare a voi stessi che questa non è fantasia:
quegli uomini veramente pericolosi, come Perle, Rumsfeld e Cheney, hanno
potere. La trama che ricorre nelle loro elucubrazioni è l’importanza
dei media: «il compito prioritario di portare a bordo giornalisti di
fama che accettino la nostra posizione».


«Nostra posizione» è il nome in codice di menzogna. Certamente, come
giornalista, non ho mai visto la menzogna ufficiale essere più
permeante di oggi. Possiamo ridere delle inconsistenze nel «dossier
Iraq» di Tony Blair e della goffa bugia di Jack Straw che l’Iraq ha
sviluppato una bomba atomica (che i suoi seguaci si sono precipitati a
«spiegare»). Ma le menzogne più insidiose, che giustificano un
attacco non provocato all’Iraq e collegano questo a sedicenti terroristi
che si nascondono in tutte le stazioni, sono continuamente spacciate
come notizie. Non sono notizie, sono propaganda nera.


Questa corruzione rende giornalisti e presentatori dei meri stupidi
ventriloqui. Un attacco ad una nazione di 22 milioni di persone
sofferenti viene discusso dai commentatori liberal come se fosse una
materia di un seminario accademico, nel quale i pezzi possono essere
mossi intorno ad una mappa, come facevano i vecchi imperialisti.


L’argomento di questi umanitari non è primariamente la brutalità di
una moderna dominazione imperiale, ma di quanto «cattivo» sia Saddam
Hussein. Non vi è ammissione che la loro decisione di unirsi al partito
della guerra sigilla ulteriormente il destino di forse migliaia di
iracheni innocenti condannati ad attendere nel braccio della morte
internazionale dell’America. Questa doppiezza non funzionerà. Non si può
sostenere la pirateria omicida in nome dell’umanitarismo. Inoltre, gli
eccessi del fondamentalismo americano che ora fronteggiamo ci stanno
contemplando da troppo a lungo perché coloro di buon cuore e buon senso
non possano riconoscerli.

Si
ringraziano Norm Dixon e Chris Floyd


Reprinted for fair use only



Fonte:
http://freebooter.da.ru/

La guerra delle valute e quella dei soldati di Guido Carandini

ma difficili da afferrare per chi cerca la
verità sulla politica imperialista statunitense. E il segreto
consisterebbe in questo: la guerra all’Iraq avrebbe una nascosta ma
fortissima ragione nella minaccia che l’euro possa soppiantare il
dollaro come moneta di riserva mondiale. Dunque al di là dell’esigenza
di assicurarsi le fonti di approvvigionamento del petrolio e della
conseguente necessità di rafforzare gli avamposti armati nella regione
del Golfo, al di là anche delle motivazioni economiche che possono
spingere gli Stati Uniti, come in passato, a cercare nel riarmo un mezzo
per creare una domanda carente sul mercato e per uscire così dal
pericolo di una grave recessione, è la difesa armata del dollaro che
muove la potenza militare americana. L’incubo del Federal Reserve è che
l’Opec possa a un certo punto decidere di sostituire nelle sue
transazioni internazionali il dollar standard con l’euro standard
imitando ciò che aveva già cominciato a fare Saddam Hussein nel 2000 –
quando l’Euro valeva 82 centesimi di dollaro – per vendicarsi delle
sanzioni volute da Washington e per accattivarsi il favore delle nazioni
europee. E segnando così il suo destino. Il 16 febbraio di quest’anno
la rivista inglese The Observer ha denunciato il fatto in un articolo
intitolato "L’Iraq fa un bell’utile scaricando il dollaro per
l’euro", nel quale ha osservato che l’euro, dalla data della
decisione di Saddam Hussein, ha guadagnato circa il 30 per cento sul
dollaro. Inoltre, dal 2001, anche il petrolio venduto in base al
programma delle Nazioni Unite "Oil for Food" è stato pagato
in euro per un ammontare di 26 miliardi. L’ingente guadagno dell’Iraq
rivela qual è la perdita subita dai paesi produttori di petrolio con la
svalutazione del dollaro. Incluso il Venezuela, che però avrebbe
cominciato anch’esso a muoversi verso l’area dell’euro. Proviamo a
immaginare l’effetto che avrebbe l’eventuale decisione dell’Opec di
quotare le vendite di petrolio in euro anziché in dollari.
Improvvisamente le nazioni consumatrici, inclusi gli Stati Uniti,
dovrebbero convertire in euro le riserve in dollari attualmente detenute
dalle loro banche centrali. Si determinerebbe un crollo del dollaro e
una fuga dei capitali dalle
borse americane e da ogni altra attività denominata in dollari. Il
deficit della bilancia dei pagamenti americana, già alto allo stato
attuale, diventerebbe ingovernabile con effetti gravissimi su tutta
l’economia mondiale. Inoltre i detentori di riserve in dollari sul
mercato mondiale, Giappone in testa, andrebbero incontro a crisi
finanziarie devastanti.

Un simile scenario è ovviamente impensabile dato che l’intera economia
americana e di riflesso quella mondiale è legata al ruolo di moneta di
riserva del dollaro. Fin dai lontani anni cinquanta e sessanta gli Stati

Uniti sono l’unico paese al mondo che ha potuto fare a meno di garantire
il valore della propria moneta assicurando l’equilibrio della propria
bilancia dei pagamenti. Questo ha prodotto per lungo tempo forti
disavanzi che il Tesoro americano ha coperto immettendo nella
circolazione internazionale quantità illimitate di dollari facilmente
assorbiti proprio per il ruolo di moneta di riserva che avevano assunto.
Ma come evitare adesso che la progressiva svalutazione eroda la fiducia
del dollaro e che quindi esso perda quel ruolo a fronte di un euro che
si avvantaggia ogni giorno con aumenti che in un solo anno hanno
superato il 17%?

Si può comprendere, a questo punto, che il vero problema degli Stati
Uniti consiste nel fronteggiare con ogni mezzo questa minaccia e, ancora
di più, nel negarla per non creare panico negli ambienti finanziari.
L’aver abbattuto il regime di Saddam Hussein ha sicuramente scongiurato
l’eventualità che l’Iran e l’Arabia Saudita ne imitino a breve gli
atteggiamenti favorevoli alla sostituzione del dollaro con l’euro, ma
l’intervento militare non garantisce ancora affatto che il dollaro si
rafforzi. E neppure che l’Europa modifichi il suo atteggiamento ostile
verso la politica americana di intervento armato proprio in ragione del
rafforzamento dell’euro e del peso che esso potrà avere nel determinare
gli equilibri geo-politici del futuro.

Questa diversa prospettiva di
una guerra dollaro-euro spiega probabilmente la fretta dell’intervento
armato e getta una nuova luce sulle ragioni, altrimenti poco chiare, sia
della politica francese che, all’opposto, di quella inglese. Tutto
sommato il peso dell’euro, della sua crescente forza competitiva
rispetto al dollaro, conferisce all’Europa politicamente debole un ruolo
di primo piano che la potenza militare americana non è in grado di
contrastare. Dunque la Francia, malgrado sia ora in difficoltà,
potrebbe nel tempo trascinare dietro a sé in un ruolo egemone non
soltanto la Germania ma l’intera Unione Europea grazie alla forza della
sua moneta.

Quanto alla Gran Bretagna, anch’essa produttrice di petrolio, si
può comprendere che il suo splendido isolamento nella difesa della
sterlina, unica superstite delle monete nazionali europee, la costringa
alla difesa strenua del dollaro e, di conseguenza, all’appiattimento
sulla politica dell’amministrazione Bush. Gli Stati Uniti, per parte
loro, non sono in grado di far fronte a questa situazione e di
rafforzare la propria divisa accrescendo ulteriormente il proprio
deficit con altri tagli alle tasse dei ricchi. Infatti le iniezioni di
liquidità nel sistema militare-industriale dovute alle spese per il
riarmo richiederebbero, per essere produttive, una politica fiscale
opposta a quella dell’attuale amministrazione che rischia di ridurre
pesantemente il potere d’acquisto delle classi medie e di aggravare così
la recessione.

Come si vede i giochi sono assai diversi da quelli che ci propinano i
media giornalmente. La questione che emerge e che sarà sicuramente al
centro delle prossime mosse dei centri finanziari degli Stati Uniti e
dell’Europa è la seguente: come avviare una fase di transizione che
eviti effetti devastanti sugli equilibri internazionali ma che porti
alla luce il contrasto euro-dollaro ? Come iniziare una trattativa
internazionale che

dia
forma a un duplice standard euro-dollaro basato su accordi del peso che
hanno avuto quelli di Bretton-Woods, che mezzo secolo fa rimediarono al
disordine nella situazione delle monete alla fine del secondo conflitto
mondiale ? E’ almeno curioso il fatto che di questo pochissimo si parli
ancora. Ma fino a quando ?

Ogm: si apre lo scontro fra Usa e Europa

L’Europa
è accusata di mantenere una moratoria che impedisce la coltivazione
(non l’importazione) di OGM sul territorio europeo, contravvenendo
alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO), in
base ad argomenti «non scientifici» e «dannosi per l’agricoltura e
per i paesi in via di sviluppo».


Peccato che, tra i dati «non scientifici», siano sempre più
numerose le prove sulla nocività ambientale degli OGM e sui loro
possibili rischi per la salute umana.



Ormai è indubbio che una pianta OGM può trasmettere i geni
ingegnerizzati anche a piante di specie diversa. L’inquinamento delle
varietà locali di mais in Messico – che può voler dire la perdita del
mais così come esiste in natura da migliaia di anni – e in Canada
quello da colza OGM , divenuta da
sola
resistente a 3 erbicidi diversi e trasformata in erbaccia che
nulla riesce più a eliminare, sono i due casi finora più gravi di
inquinamento genetico, ma non i soli.



Gli agricoltori biologici negli USA sono i più forti oppositori
degli OGM, che inquinano i loro raccolti che così restano invenduti, e
in più li espongono all’accusa di uso illegale di sementi da parte
delle multinazionali produttrici. Questi processi sono già stati
centinaia, con gli agricoltori sempre condannati a risarcimenti molto
onerosi.



Un paio d’anni fa una varietà di mais OGM autorizzata «solo»
per il consumo animale perché sospetta di essere fortemente allergenica
è arrivata fin sui banchi dei supermercati, dentro «tacos» e
patatine. Corsa frenetica al recupero, miliardi di danni, vari casi di
shock anafilattico tra chi li aveva mangiati.
Oggi il quadro è ancora peggiore, perché gli USA hanno iniziato
a coltivare in campo piante OGM che producono farmaci e vaccini. Solo in
quest’ultimo anno, sono stati scoperti due casi di inquinamento della
catena alimentare con questi OGM, dimostrando l’inefficacia delle
cosiddette «fasce» di sicurezza e dei meccanismi di controllo.



Gli OGM sono organismi vivi e in quanto tali imprevedibili e
incontrollabili, se immessi nell’ambiente. Questa è l’unica realtà
scientifica provata. Il resto sono chiacchiere di multinazionali alla
conquista dei mercati agricoli mondiali.



Il WTO è oggi lo strumento di
queste guerre commerciali. L’Europa è già stata condannata per la
sua opposizione a importare dagli USA carne di vitelli gonfiati con gli
ormoni. Il «tribunale» del WTO ha deciso che questa opposizione non ha
basi scientifiche, ma tutti ricordiamo ancora bene i casi di bambini con
gravi alterazioni ormonali per essere stati nutriti con omogeneizzati di
vitello agli ormoni.


L’Europa deve trovare una voce forte per resistere a questi
ricatti commerciali. Un momento importante di questa battaglia sarà la
riunione del WTO a Cancun, dove si discuteranno le regole della
privatizzazione di tutti i servizi (scuola, sanità, trasporti, ecc…),
e dei diritti di proprietà intellettuale (brevetti), che sono il motore
della mercificazione degli esseri viventi.



E’ importante premere perché l’Italia, nel suo semestre di
presidenza della UE, ribadisca la posizione chiara anti-OGM che ha avuto
finora, dando priorità alla salvaguardia della salute dei cittadini,
anziché agli interessi delle industrie.



Su questi temi che investono direttamente la nostra vita, il
nostro diritto alla salute, facciamo sentire la voce di ognuno di noi,
di ogni singolo cittadino, anche quando andiamo a fare la spesa.



Teniamoci alla larga dagli OGM e teniamoli alla larga dai nostri
territori. Una volta entrati non se ne andranno più. E’ questa la
posta in gioco.

Stati Uniti implicati nei furti pianificati delle antichita’ irachene di Ann Talbot


Se il Museo di Baghdad fosse stato messo a sacco da abitanti dei
quartieri poveri ci sarebbe già stato abbastanza crimine, e la
responsabilità sarebbe rimasta sulle spalle dell’Amministrazione USA,
che si è rifiutata, nonostante ripetuti appelli, di provvedere alla
sicurezza degli edifici culturali di Baghdad.

Tuttavia, non appena il personale del Museo è stato in grado di
comunicare con l’esterno, è risultato chiaro che il saccheggio non era
casuale. Era opera di persone che sapevano cosa cercare e che erano
venute con le attrezzature speciali adatte a svolgere il lavoro.

Il Dr. Donny George del Museo di Baghdad ha detto: "Credo che
fossero persone che sapevano quello che volevano. Hanno lasciato dov’era
la copia dell’Obelisco Nero di Salmanassar, passando oltre. Questo
significa che dovevano essere specialisti. Non hanno toccato le
copie."

Parlando a Channel Four, ha detto al Dr.John Curtis del British Museum
che tra i pezzi rubati c’è anche il vaso sacro di Warka, un vaso d’oro
di 5000 anni fa trovato a Ur, una statua accadica ed una assira. Il Dr.
Curtis ha ribattuto dicendo che "è come rubare la Monna
Lisa".

Solo dopo una settimana dal saccheggio il Dr.George è stato in grado di
allertare gli archeologi di tutto il mondo su ciò che era stato rubato.
Le autorità militari americane non hanno fatto alcun tentativo per
impedire che gli oggetti lasciassero Baghdad, né hanno promosso una
indagine internazionale per i reperti rubati.

La riluttanza statunitense ad agire non può essere spiegata dalla
mancanza di avvertimento. Archeologi professionisti e storici dell’arte
avevano già detto in anticipo al Pentagono del pericolo di saccheggio.
Il Dr.Irving Finkel del B.M. ha dichiarato a Channel 4 che il saccheggio
era "assolutamente prevedibile e avrebbe potuto essere facilmente
fermato".

Il museo è stato la vittima di un assalto pianificato con cura. I ladri
che hanno preso i materiali più preziosi sono arrivati equipaggiati di
attrezzature per sollevare gli oggetti più pesanti, che il personale
stesso del museo non avrebbe potuto rimuovere dalle sale, e avevano le
chiavi delle camere blindate dove erano sistemati gli oggetti più
preziosi. Un crimine del genere non veniva commesso dai tempi della
sistematica spoliazione nazista dei musei d’Europa.

La rivista online statunitense Business Week ripete la tesi della
premeditazione e della cospirazione nel sacco dei musei iracheni in un
articolo del 17/4 intitolato "Erano già pronti i ladri d’antichità?",
con sottotitolo "Sapevano ciò che cercavano perché i mercanti
d’arte avevano ordinato i pezzi più importanti in anticipo".

Il B.W. scrive: "E’ stato come se gli esecutori stessero aspettando
la caduta di Baghdad per muoversi. G.J.Stein professore d’archeologia
all’Università di Chicago, che ha condotto scavi in Iraq per 80 anni,
è convinto che i mercanti avevano ordinato i pezzi in anticipo.
"Stavano cercando esemplari molto specifici, sapevano dove
guardare".

Fin dalla precedente Guerra del Golfo nel 1991 gli antichi reperti iracheni
sono giunti sul mercato dai musei che furono saccheggiati allora e dai
siti archeologici spianati con i bulldozer. In questi siti le statue
sono state tagliate in pezzi per poter essere esportate.

Questa razzia dell’eredità culturale irachena ha stimolato l’appetito
dei collezionisti, che sono già responsabili del saccheggio di siti in
Estremo Oriente, America Latina, Italia. Con la recessione dei mercati
globali, le opere d’arte e le antichità sono considerate sempre più un
sicuro investimento, andando ad alimentare un già vasto mercato
sotterraneo.

Il commercio illegale di antichità è altrettanto lucrativo del
traffico di droga, a cui è peraltro sovente legato. Secondo il rapporto
del 2001 dal titolo "Il commercio illecito di antichità: la
distruzione del patrimonio archeologico mondiale", Londra e NewYork
sono i principali mercati di questo commercio. La Svizzera, che consente
l’ottenimento di un titolo legale ad ogni opera d’arte che rimanga sul
territorio del paese per almeno 5 anni, è un punto di transito
cruciale.

Il Prof.Lord Renfrew of Kaimsthorn, direttore dell’istituto archeologico
di Cambridge, ha dichiarato in una conferenza stampa di promozione del
suddetto rapporto che "il commercio continua perché il governo è
alla mercè del mercato dell’arte, che vuol mantenere ininterrotto il
flusso di reperti. E’ uno scandalo."

All’arrivo delle notizie sull’ultimo saccheggio, il governo laburista di
Blair ha organizzato una conferenza stampa nel British Museum, in cui il
Segretario agli Affari Culturali ha promesso sostegno ufficiale alla
protezione dei reperti iracheni.

Intanto, mentre parlava, la Biblioteca Nazionale irachena veniva
saccheggiata. L’edificio, sede di rarissime copie del Corano vecchie di
secoli ed altri esempi di calligrafia islamica, così come
insostituibili documenti storici dell’epoca ottomana, è stato dato alle
fiamme e un numero indicibile di testi è stato distrutto.

Il giornalista Robert Fisk, che vide le fiamme, corse dai marines USA
nel tentativo di salvare parte della collezione, ma loro si rifiutarono
di aiutare. Fisk ha scritto sull’Independent: "ho dato la mappa del
posto, il nome preciso in arabo e in inglese, ho detto che si vedeva il
fumo da cinque km di distanza e ci sarebbero voluti solo 5 minuti per
arrivare là. Mezz’ora dopo non c’era neppure un americano sul posto e
le fiamme erano alte 70 metri."

Dopo il destino del museo di Baghdad, si può concludere che il
saccheggio e rogo della biblioteca è servito a mascherare un crimine più
sistematico, in cui selezionati manoscritti sono stati rubati per ricchi
collezionisti. In questo quadro si spiega la connivenza nel rogo dei
libri – un’altra pratica nazista.

IL RUOLO DELL’ACCP


Dopo questi due devastanti attacchi alla
cultura, l’attenzione si è focalizzata sulle attività dell’ACCP
(American Council for Cultural Policy). Anche la stampa inglese, che
lavora sotto alcune delle più dure leggi antidiffamazione del mondo, ha
riportato che l’ACCP può aver influenzato la linea del governo USA
sugli oggetti d’arte iracheni.

L’ACCP è stato costituito nel 2001 da un gruppo di ricchi collezionisti
d’arte, per far pressione contro la Legge statunitense di
Regolamentazione della Proprietà Culturale, che tenta di mettere regole
al mercato dell’arte, fermando il flusso di beni rubati verso gli Stati
Uniti. L’ACCP ha difeso in giudizio il mercante d’arte F.Schultz,
accusato in forza della Legge sulla Proprietà Nazionale rubata, e la
medesima associazione si oppone all’uso in giudizio della sentenza del
1977 "U.S. contro McClain" come precedente legale nei casi
riguardanti il possesso e il trasferimento di oggetti d’arte rubati.

Nel caso McClain un giudice statunitense diede responso favorevole al
fatto che tutta l’arte e i monili precolombiani portati negli USA senza
l’espresso consenso del Governo messicano fossero proprietà rubata. La
legge messicana considera tutti i reperti archeologici come proprietà
dello Stato e ne vieta l’esportazione. Il Messico è solo uno di molti
paesi che hanno questo tipo di legislazione.

Ashton Hawkins, uno dei maggiori avvocati d’arte e fondatore dell’ACCP,
considera questo tipo di legislazione "protezionista". Ha
condannato i paesi "fonte" archeologicamente ricchi per il
tentativo di proteggere con tali misure i loro musei e siti
archeologici, lamentando che sotto l’amministrazione Clinton tali
politiche protezioniste sono arrivate a dare impronta alla politica del
governo USA.

Hawkins ha gli occhi puntati ai grandi musei mediorientali. Ha auspicato
che le antichità egiziane conservate al Museo del Cairo siano disperse:
"Vorrei proporre" ha detto "che il Museo del Cairo
offrisse l’opportunità ai musei di tutto il mondo di acquisire fino a
50 oggetti ciascuno per le loro collezioni. In cambio i musei esteri
darebbero un cospicuo contributo per la costruzione del nuovo museo
sulla piana di Giza, un milione di dollari ciascuno per esempio."

Il meeting inaugurale dell’ACCP ha avuto luogo nella casa sulla 5°Strada
di Guido Goldman, un collezionista di tessili uzbeki. Tra i presenti
c’era Arthur Houghton, l’ex curatore del Museo Getty di Malibu in
California, che è notoriamente un espositore di opere di dubbia
provenienza. Hawkins stesso è andato in pensione nel 2000 come
vicepresidente del consiglio d’amministrazione del Metropolitan Museum
of Art di New York, museo che -secondo il suo precedente direttore
Thomas Hoving- conserva molti manufatti saccheggiati da tombe etrusche.

Prima che la guerra cominciasse, l’ACCP ebbe un incontro con funzionari
del Pentagono, in cui hanno dichiarato la loro grande preoccupazione per
le antichità irachene. Cosa questa preoccupazione significhi è
evidente dalle osservazioni di William Pearlstein, il tesoriere del
gruppo, che descrive le leggi irachene sul patrimonio archeologico come
"protezioniste". L’ACCP nega di volere un cambiamento nelle
leggi irachene, ma i saccheggi del museo e della biblioteca di Baghdad
avranno come effetto concreto di aggirare questo problema, se la Legge
statunitense sul furto d’oggetti d’arte e materiale archeologico verrà
modificata.

Il Prof.John Merryman della Scuola Giuridica di Stanford e membro dell’ACCP,
ha auspicato una "applicazione internazionale selettiva dei
controlli sull’esportazione" nei tribunali statunitensi. In altre
parole, sarebbe perfettamente legittimo importare oggetti trafugati a
Baghdad se il tribunale USA sceglie di non riconoscere la legislazione
irachena.

Merryman ha stabilito i principi dell’organizzazione in un testo del
1998, in cui sosteneva che il fatto che un oggetto artistico fosse stato
rubato non era in sé stesso un impedimento all’importazione legale
negli Stati Uniti.

E va anche oltre nella sua rivendicazione: "L’esistenza di un
mercato preserva gli oggetti d’arte, che potrebbero altrimenti essere
distrutti o trascurati, fornendo loro un valore di mercato. Nel quadro
di un commercio legittimo e aperto, gli oggetti possono spostarsi verso
le persone e le istituzioni che li valutano di più, e che perciòstesso
sono più adatti a prendersene cura".

Questa è un’argomentazione autogiustificativa che puzza molto di
ipocrisia. I ricchi collezionisti possono ora additare il caos per le
strade di Baghdad, il saccheggio del museo e il rogo della biblioteca
come prova che gli Iracheni sono incapaci o non interessati a prendersi
cura dei loro tesori, troppo poveri o troppo ignoranti, quindi i
suddetti tesori sarebbero meglio protetti nei musei Americani o nelle
collezioni private.

Le idee dell’ACCP rappresentano gli interessi di settori particolarmente
rapaci della classe dirigente USA, che operano sul principio che tutto
-persino oggetti di incalcolabile valore artistico o scientifico- è
definito dal "valore di mercato".

Loro intendono il prezzo, dato che il vero valore degli oggetti
trafugati dal Museo di Baghdad e dalla Biblioteca Nazionale Irachena è
incalcolabile. Questi sono letteralmente gente che capisce IL PREZZO DI
TUTTO E IL VALORE DI NIENTE.

L’auspicio che il mercato determini il possesso e l’accesso alle opere
d’arte e ai reperti archeologici metterebbe questi oggetti nelle mani di
una facoltosa minoranza, e renderebbe la possibilità di pubblico
accesso dipendente dalla buona volontà dei ricchi possessori.
Nonostante il fatto che molti membri dell’ACCP abbiano fatto parte di
istituzioni pubbliche, il loro intento è profondamente contrario alla
pubblica diffusione dell’arte e dell’archeologia. Stanno tentando non
solo di cambiare le leggi degli altri paesi, ma lavorano contro le
tradizioni più progressiste della società americana, che hanno sempre
premiato i musei pubblici.

UNA TRADIZIONE SCIENTIFICA


Lo sviluppo dei musei pubblici è avvenuto
di pari passo con lo sviluppo di una comprensione scientifica dei
manufatti archeologici e delle società che li hanno prodotti. I musei a
finanziamento pubblico hanno rappresentato una rottura con la vecchia
tradizione di tesaurizzazione privata. Le esposizioni avevano lo scopo
di mostrare gli oggetti del passato in modo scientifico e razionale.

L’accumulo di reperti archeologici in mani private tende a disgregare il
lavoro scientifico, dato che il materiale si disperde ed è perciò
difficile da catalogare, senza contare che molto di esso rimane
sconosciuto agli studiosi del campo specifico. I musei pubblici sono
tali non solo per il loro finanziamento e per il fatto che aprano le
sale ai visitatori, ma soprattutto nel senso che rendono disponibile a
tutti la conoscenza, cioè qualcosa che è riconosciuto come requisito
primario del processo scientifico, fin dalla rivoluzione scientifica del
17° secolo.

Uno degli effetti del saccheggio del museo di Baghdad è stata la
distruzione del catalogo cartaceo del museo e dei relativi dati digitali
sul patrimonio conservato nelle sale del museo. Questo ha reso non solo
più difficile il tracciamento degli oggetti, ma ha anche minato alla
base intere generazioni di paziente lavoro archeologico. Distruggere un
simile catalogo significa rendere privata una collezione, sia in senso
simbolico che concreto, dato che il suo contenuto diventa sconosciuto al
mondo esterno.

Mentre gli oggetti più importanti sono ben conosciuti a livello
internazionale, i dati contenuti in un museo vanno molto oltre queste
spettacolari opere d’arte. Includono tutti i ritrovamenti minori degli
scavi archeologici, che in sé stessi non sono appariscenti, ma se
studiati tutti insieme producono l’immagine di una società che non
potrebbe essere ottenuta altrimenti solo dalle opere d’arte.

Gli archeologi passano il loro tempo a passare al setaccio i detriti
delle civiltà passate, anche in senso letterale. Possono setacciare
tonnellate di terra cercando ali di scarabeo o semi. Antiche latrine e
mucchi di rifiuti producono ricchezza conoscitiva. Ciò che viene
gettato o scartato fornisce il contesto dei reperti di grandi templi,
palazzi e tombe reali.

Un recente libro sulla Mesopotamia di Petr Charvat contiene immagini di
pezzi d’argilla con impronte di stuoie di giunco intrecciate. Questa non
è roba che può abbellire la teca di un collezionista, ma rivela
importanti informazioni sulle capacità artigiane e il modo di vita
degli antichi abitanti della Mesopotamia.

UN DURO COLPO ALLA COMUNITA’ SCIENTIFICA
MONDIALE


Il Museo di Baghdad era più di un semplice
luogo d’esposizione di manufatti. Tutti gli scavi portati avanti in Iraq
da squadre internazionali di archeologi vi erano riportati. Il museo
possedeva un database di conoscenza accessibile a tutti i ricercatori
del mondo, ed era il centro di una vasta rete cooperativa. Il saccheggio
e la distruzione di tutti i dati sono un colpo per la comunità
internazionale degli studiosi. Questo minaccia di riportare indietro
l’orologio a più di 150 anni prima dell’inizio dell’archeologia
scientifica in Mesopotamia.

I primi scavi non furono "scientifici" per gli standards
attuali, gli scavatori stavano ancora imparando la propria disciplina
attraverso un processo per prove ed errori. Una delle lezioni più
elementari di questo processo d’apprendimento fu che IL CONTESTO è
tutto in archeologia. Un manufatto può raccontare la sua intera storia
solo se è conosciuto il contesto in cui è stato ritrovato.

Per contesto si intende la posizione fisica dell’oggetto nel terreno, la
sua relazione con altri manufatti, e gli strati di terreno intorno. Da
questa informazione è possibile determinare la datazione relativa di un
oggetto e considerevoli altre informazioni sul suo uso pratico e sul
significato sociale. Strappato dal suo contesto, perde molto del suo
significato. Persino la più bella opera d’arte può essere meglio
apprezzata quando il suo contesto e le condizioni sociali del suo
creatore sono conosciute.

In senso lato, la comprensione del contesto di un oggetto significa
comprendere le sue relazioni con l’intero sito in cui è stato trovato,
con altri siti vicini, e con l’ambiente storico di cui fa parte. Mentre
i sentimenti nazionalistici vengono spesso evocati per giustificare il
mantenimento dei reperti nel loro paese d’origine, la ragione
scientifica più importante per farlo è che il contesto del manufatto
viene preservato proprio mantenendolo vicino a dove è stato ritrovato.

E’ ancora possibile vedere nell’Iraq attuale case costruite con metodi
simili a quelli usati dagli antichi costruttori, e vedere barche
costruite con modelli simili. Il vero significato dei reperti
mesopotamici può essere apprezzato solo guardandoli nel contesto dello
straordinario paesaggio dell’Iraq moderno, un paese dove ogni collina
che si alza sulla pianura è stata originata da strati e strati
successivi di mattoni di fango che testimoniano intere generazioni di
occupazione del sito.

L’amministratore coloniale americano, il generale in pensione Jay Garner,
ha tentato di cooptare l’impatto emotivo del paesaggio per i suoi scopi
politici, tenendo i suoi meeting sotto una grande tenda eretta presso la
ziggurat di Ur vecchia di 4000 anni, che serviva da piattaforma del
tempio del dio lunare Nanna. Ma permettendo il saccheggio del museo di
Baghdad, le autorità statunitensi hanno mostrato chiaramente di non
avere alcun riguardo per la vera importanza dell’Iraq nella storia
umana.

Quando i cartografi medievali europei disegnarono nel 13° secolo la
mappa del mondo, misero l’Asia in testa perché per loro era il
continente più importante. C’erano le terre della Bibbia. Gerusalemme
era al centro della loro visione del mondo, e poco oltre si stendeva
Babilonia, il luogo della prigionia ebraica, la Torre di Babele e la
casa di Abramo nella città di Ur.

Nella mente degli europei l’immagine biblica del mondo era così
scolpita che i primi scavatori di antichi siti in questa regione
cercarono una conferma della Bibbia. Persino nel 20° secolo Leonard
Woolley si riferiva ai suoi scavi a Warka con il nome biblico di Ur dei
Caldei.

Eppure il materiale che venne fuori dagli scavi scosse la visione
biblica del mondo. Una importante scoperta fu che la storia narrata
nella Bibbia di Noè e del Diluvio ebbe origine in Mesopotamia molto
prima che la Bibbia venisse scritta. Quando la scrittura cuneiforme di
migliaia di tavolette d’argilla fu decifrata, ci si rese conto che molte
civiltà complesse ed avanzate erano esistite in Mesopotamia, e di una
antichità mai immaginata prima.

Il vero quadro della storia apparve chiaro solo con la messa a punto
delle tecniche di datazione al carbonio14. Nella seconda metà del 20°
secolo ci si rese conto che l’agricoltura stanziale in Medioriente
risaliva a 11 millenni prima di Cristo.

LA CULLA DELLA CIVILTA’


[..] (N.d.T.:ho omesso le note storiche per
non allungare troppo la lettura)

In quel periodo in Iraq lo sviluppo delle tecniche di irrigazione aumentò
di molto la produttività agricola, il surplus della quale a sua volta
favorì l’emergere della prima civiltà urbana del pianeta, proprio in
quella terra che oggi le forze militari congiunte di USA e Gran Bretagna
stanno riducendo a un deserto. [..] Grazie alla produttività di questo
sistema di irrigazione in Mesopotamia si sono succedute molte civiltà.
Persino i Greci erano in soggezione davanti alle conquiste intellettuali
della Mesopotamia.

Uno dei ministeri che sono stati sistematicamente distrutti nei recenti
giorni di razzia, è stato il Ministero dell’Irrigazione. Potremmo dire
che con questo atto l’amministrazione USA vuole ricondurre l’Iraq ai
secoli bui, tranne il fatto che l’Iraq non ha mai conosciuto secoli bui
(nel senso in cui l’Europa li ha conosciuti). Gli imperi potevano
succedersi, nascere e cadere, ma finché il sistema di irrigazione
continuava a funzionare la terra tra i due fiumi poteva produrre più
cibo di quanto ne abbisognasse. Attaccando il sistema di irrigazione,
l’amministrazione USA ha causato più danno in poche settimane di quanto
abbia fatto ogni altro invasore nella storia.

Il significato culturale dell’Iraq non terminò con la caduta
dell’impero persiano. Attraverso le epoche buie dell’Europa, rimase un
porto sicuro di cultura, preservando -sotto i Califfi Abbasidi- i testi
classici ormai persi in Occidente. L’erudizione e il valore scientifico
islamico si rivelò vitale per il riemergere della filosofia
aristotelica in Europa e per il Rinascimento.

La misura reale delle perdite si rivelerà pienamente quando verrà
fatto il conto degli esemplari alla Biblioteca Nazionale.

Ciò che è già chiaro fin da ora invece è che un enorme crimine è
stato commesso, non solo contro il popolo iracheno, ma contro L’UMANITA’
INTERA, dato che la storia dell’umanità è stata attaccata. Per questa
ragione il sacco di Baghdad segna un punto significativo della
traiettoria dell’amministrazione Bush nel suo tentativo di sprofondare
il pianeta nella nuova barbarie, che cancellerebbe tutto ciò che la
storia ci mostra del passato

L’uranio impoverito restera’ in Iraq per generazioni del prof. Rocke

in Afghanistan nel 1994, 1995, 1999 e 2000. l’uso che gli USA fanno
dell’uranio impoverito non si limita alla distruzione totale degli
obiettivi, ma si estende alla distruzione dell’ambiente e della vita in
generale nelle regioni colpite. In queste regioni l’uomo non
potrà abitare per milioni di anni.
Il nostro ospite è il Prof. Major Doug Rocke, che dirigeva il
progetto sull’uranio impoverito al Pentagono.
Nato in Illinois nel 1949, il Prof. Rocke è entrato
nell’aeronautica statunitense nel 1967, ha partecipato alla guerra del
Vietnam dal 1969 al 1971 come pilota di B52. Ha ottenuto un Dottorato
di Ricerca in fisica nucleare. Ha lavorato fino al 1996 come ufficiale
medico e specialista di fisica nucleare dell’esercito USA. Ha preso
parte alla guerra del Golfo nel 1991 col compito di ripulire Arabia
Saudita e Kuwait dall’uranio impoverito.
Dal marzo al giugno 1991 il Prof. Rocke ha stilato un elenco di
armamenti e attrezzature contaminate sul campo di battaglia, rispedito
parte di esse negli USA e diretto l’interramento di altre ancora nel
deserto dell’Arabia Saudita. È stato il capo del progetto
sull’uranio impoverito al Pentagono tra l’agosto 1994 e il novembre
1995. Ha anche lavorato presso la Jackson University (Alabama) fino al
2000 come professore di fisica nucleare.
Il Prof. Rocke afferma di aver subito gli effetti dell’uranio
impoverito sin dalla prima settimana di guerra nel 1991, ma di non
essersene reso conto sino al marzo 1995. Dagli esami è risultato
che il livello di radioattività del suo corpo era 5000 volte
superiore al normale, abbastanza ­ dice lui sarcasticamente
­per incendiare un piccolo paese. Inoltre ha problemi di
respirazione, al sistema immunitario e ad un occhio. Ha subito 15
operazioni chirurgiche al fegato a causa della sua sindrome da uranio.

Presentatore: In
questo momento critico, molti stanno cercando di capire e sapere di
più sulle armi all’uranio impoverito che gli USA intendono
usare. Nonostante tutti gli studi e le ricerche svolti negli ultimi
tempi confermino i rischi connessi all’uso dell’uranio impoverito,
ufficiali del Pentagono hanno annunciato che useranno ancora ordigni
all’uranio impoverito in Iraq. Come interpreta questo annuncio ?

Prof.
Rocke:

L’annuncio è estremamente semplice. Le munizioni all’uranio
uccidono e distruggono tutto quello con cui vengono a contatto.
Tornando alla guerra del Golfo (1991) e anche prima, il Pentagono ha
deciso di utilizzare degli armamenti che sono assolutamente efficaci in
battaglia. Alla fine della guerra del Golfo, quando mi fu assegnato il
compito specifico di ripulire il casino fatto dall’uranio, ricevetti
una nota scritta da un colonnello dei laboratori nazionali di Los
Alamos in New Mexico. In questa nota egli scriveva: “Nonostante
sappiamo che ci siano degli effetti sulla salute e l’ambiente, deve
fare in modo che noi possiamo sempre usare munizioni all’uranio in
battaglia, perché sono molto efficaci. Quindi deve mentire sugli
effetti che l’uso dell’uranio ha sulla salute e sull’ambiente”.

Presentatore: Lei ha diretto il
progetto sull’uranio impoverito al Pentagono. Quali sono i rischi
connessi all’uso dell’uranio impoverito sulla vita e sugli esseri umani
in generale ?
Prof.
Rocke:
Per
prima cosa bisogna capire che in ogni singola scarica sparata da un
carro armato Abrams ci sono 10 libbre di uranio solido, contaminato con
plutonio, nettunio e americio. Al momento dell’impatto si produce una
sottile polvere di uranio, che rappresenta circa la metà della
massa originaria. Quindi se ce n’erano 4500 grammi, ci saranno
2200-2300 grammi di polvere dispersa nell’ambiente, che può
essere inalata ed entrare nel tuo corpo. Quando ciò ti succede,
affronti dei problemi seri, come avvelenamento da metalli e come
effetti radiologici sul corpo.

Presentatore: Essendo una vittima
dell’uranio impoverito, come descrive i sintomi che ha provato quando
è stato contaminato ?
Prof.
Rocke:
L’effetto
più evidente erano problemi respiratori. Questi problemi
respiratori somigliavano a una forte bronchite. Veniva colpito il
sistema respiratorio, non riuscivi a respirare e cominciavi a notare
ogni tipo di effetto all’apparato respiratorio. L’altro effetto che
notammo immediatamente in noi e negli altri erano degli esantemi sulla
pelle. Questi esantemi che sospettiamo e che abbiamo ancora oggi sono
dovuti a un avvelenamento da metallo pesante, proprio come se avessi
mangiato un litro (sic) di qualsiasi altro metallo tossico.

Presentatore: Dr
Rocke, quali sono i sintomi più importanti causati
dall’inalazione di uranio impoverito?
Prof.
Rocke:
Il
maggior problema che abbiamo avuto, oltre ai problemi respiratori,
è il cancro che ha colpito alcuni membri del nostro gruppo entro
otto-nove mesi. Nell’arco di due anni, il cancro colpì altre
persone e qualcuno cominciò a morire. Alcuni individui, che
abbiamo confermato avessero dei proiettili all’uranio deliberatamente
inseriti nel proprio corpo dal Dipartimento della Difesa, svilupparono
dei tumori dove questo proiettile era inserito e tutto intorno.
Ricerche pubblicate mostrano che l’uranio o i proiettili shrapnel
causano il cancro ai tessuti. Questo lo vediamo in ogni posto dove
l’uranio è stato usato, prodotto o trattato.
In vari posti degli Stati Uniti.

Presentatore: Però Michael
Kilpatrick, che era responsabile al Pentagono della cura dei veterani,
disse in una conferenza stampa che uno studio effettuato su 90 veterani
infettati nella guerra del Golfo ha concluso che essi non soffrissero
di alcuna malattia, che fosse cancro o altro. Cosa ha da dire a
riguardo?
Prof.
Rocke:
Dr.
Kilpatrick ha mentito al mondo. È molto semplice. Per prima cosa
ha detto che 90 persone erano state colpite, io avevo oltre 100 persone
colpite. Altre 250 erano state sicuramente esposte mentre ripulivamo.

Presentatore: Perché
i suoi colleghi al Pentagono hanno mentito e per il beneficio di chi?

Prof.
Rocke:
Il
motivo per cui essi mentono è di evitare ogni
responsabilità per l’uso deliberato di munizioni all’uranio in
Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, nei Balcani e nelle varie basi degli
Stati Uniti. Di nuovo, lo scopo della guerra è uccidere e
distruggere. Le munizioni all’uranio sono assolutamente distruttive.

Presentatore: Il
3 febbraio 2003 un ufficiale della Veteran’s Association in Gran
Bretagna ha detto che 560 soldati inglesi erano morti per la sindrome
del Golfo e 5000 stavano venendo curati. Ha qualche statistica sul
numero dei soldati americani colpiti?
Prof.
Rocke:
Sì.
Il dipartimento USA per i veterani ha diffuso un rapporto nel settembre
2002. In questo rapporto si ammette formalmente che c’erano oltre
160.000 veterani della guerra del Golfo permanentemente disabili e
oltre 8000 morti per gli effetti della sindrome del Golfo. E (l’Iraq)
una zona contaminata come viene mostrato oggi da ulteriori statistiche.

Presentatore: Quali
sono le maggiori malattie causate dall’uranio?
Prof.
Rocke:
I
problemi che abbiamo sono notevoli. Abbiamo problemi respiratori, agli
occhi, problemi neurologici e cancro. Ciò che sappiamo è
che i veterani americani della guerra del Golfo del 1991 stanno morendo
a un ritmo di oltre 140 al mese, solo qui negli Stati Uniti.

Presentatore: Lei ha detto che il 36%
dei veterani che hanno partecipato alla guerra del Golfo del 1991
moriranno di cancro, 160.000 sono disabili e 8.000 sono già
morti, ma ancora gli Stati Uniti insistono nell’utilizzare l’uranio. Si
aspetta ulteriori casi di avvelenamento da uranio ?
Prof.
Rocke:
Certo.
Abbiamo già visto altre vittime tornare dalla zona. Sebbene la
guerra sia finita nell’autunno 1991, gli USA hanno continuato ad
inviare truppe in quella regione. Oggi sappiamo, verificato dallo
United States Department of Veteran Affairs, che oltre 250.000 soldati
americani che hanno partecipato alla guerra del golfo o sono rimasti
nella regione fino al maggio 2002 sono divenuti permanentemente
disabili a causa dell’esposizione all’uranio. E sappiamo anche che
10.000 sono già morti e che i morti aumentano al ritmo di 140 al
mese.

Presentatore: Cosa è accaduto
agli abitanti di Kuwait, Iraq e Arabia Saudita a causa della
dispersione di 400 tonnellate di polvere di uranio ?
Prof.
Rocke:
Non
ho alcun dubbio che gli effetti che abbiamo riscontrato in donne,
bambini ed altri abitanti della regione sono dovuti almeno in parte
alla contaminazione da uranio che vi è stata lasciata.
Rappresentanti del Congresso, scienziati e personalità
indipendenti di tutto il mondo si sono recati in zona, hanno verificato
il livello di contaminazione e constatato che essa non era stata
rimossa come previsto dalle direttive del Dipartimento della Difesa.

Presentatore: Il Professor Harry
Shalimer ha detto che almeno 100.000 abitanti di Bassora sono stati
colpiti dal cancro a partire dal 1991. Ha delle statistiche sul numero
dei casi nella regione?
Prof.
Rocke:
Non
sono più stato in Iraq dalla guerra del 1991, ma ho parlato con
il Dr. Shalimer e con altri scienziati e medici coinvolti in questa
vicenda. Senza dubbio le affermazioni del Dr. Shalimer sono corrette.
È un fatto che egli ha verificato la presenza di uranio nelle
persone della zona e quindi l¹esposizione all’uranio può
essere messa in relazione diretta con gli effetti sulla salute che sono
stati documentati. Il Dr. Shalimer, di nuovo, è uno degli
esperti mondiali sull’argomento, e bisogna ascoltarlo.

Presentatore: Ha
delle informazioni sulle munizioni all’uranio che gli USA utilizzeranno
nella guerra contro l’Iraq?
Prof.
Rocke:
Certamente.
Le munizioni all’uranio che verranno usate sono sempre e ancora una
volta i colpi sparati dai carri armati Abrams.
Ogni colpo contiene oltre 450 grammi di uranio solido, contaminato con
plutonio, nettunio e americio. Gli aerei A-10
Warthog
spareranno i colpi da 30 mm, che contengono individualmente
300 grammi di uranio solido. Sappiamo inoltre che i veicoli
da battaglia Bradley
spareranno colpi da 25 ml, ognuno con 200
grammi di uranio solido. In aggiunta, i missili cruise contengono
componenti all’uranio, come pure le grandi bombe usate per distruggere
i bunker sotterranei.

Presentatore: Un esperto d’armi, Dai
Williams, ha detto in un nostro programma che le munizioni usate dagli
USA nella guerra del Golfo pesavano circa 5 chili, mentre contro
l’Afghanistan hanno usato bombe e munizioni fino a 10.000 libbre, e si
aspetta che useranno le stesse in Iraq. Hanno addirittura annunciato
che la madre di tutte le bombe pesa 10.000 tonnellate. Se la guerra del
Golfo del 1991 vi ha lasciato circa 400 tonnellate di polvere di
uranio, cosa pensa che avverrà questa volta nella regione?
Prof.
Rocke:
Cosa
mi aspetto è che vedremo di nuovo degli effetti pesanti sulla
salute dei soldati americani che ci vanno e le usano. Vedremo degli
effetti sulla salute di tutti gli abitanti della regione. Vedremo
effetti sulla salute dei soldati iracheni che saranno bersaglio diretto
dell’uranio usato dalle forze USA. Io devo ripetere e mettere bene in
chiaro una cosa, come capo del progetto per ripulire dalle munizioni
all’uranio durante la guerra del Golfo del 1991, come direttore del
progetto sull’uranio impoverito per il Dipartimento della Difesa che ha
svolto le ricerche, e come vittima: l’uso delle munizioni all’uranio
durante la guerra è un crimine contro Dio, un crimine contro
l’umanità, e dovrebbe essere considerato crimine di guerra. Non
si può prendere delle scorie radioattive di uranio, gettarle nel
cortile di qualcuno, rifiutarsi di prestare le cure mediche e di
completare la bonifica ambientale necessaria per non mettere a
repentaglio la salute e la sicurezza dei cittadini del mondo.

Presentatore: Pensa che l’uranio
impoverito vada considerato come arma di distruzione di massa o come
arma nucleare ?
Prof.
Rocke:
Le
Nazioni Unite hanno deciso il 10 settembre 2001 che le munizioni
all’uranio vanno considerate armi di distruzione di massa. Il
Parlamento Europeo ha proclamato che le munizioni all’uranio dovrebbero
essere vietate in tutto il mondo.

Presentatore: Secondo lei l’uso di
uranio impoverito contro degli esseri umani in generale andrebbe
considerato un crimine di guerra ?
Prof.
Ricke:
Decisamente,
visto che negli Stati Uniti non si può gettare nemmeno 500
grammi di uranio solido nel cortile di qualcuno senza andare in
prigione. Quale diritto hanno Stati Uniti, Inghilterra o qualunque
altra nazione, a prendere centinaia e centinaia di tonnellate di uranio
e gettarlo nel cortile di qualcun altro, rifiutarsi di prestare le
necessarie cure, come hanno fatto per anni, e rifiutarsi persino di
bonificare l’ambiente?

Presentatore: Il Professor Dracovic
ritiene che la bonifica della regione richieda 200 miliardi di dollari.
È possibile bonificare la regione (se questi fondi vengono
stanziati)?
Prof.
Rocke:
Il
problema fondamentale, quando ho svolto la mia ricerca, era di
determinare come effettuare la bonifica. Per ogni singolo veicolo
colpito da una munizione all’uranio devi prendere l¹intero veicolo
e rimuoverlo fisicamente. Poi una ruspa deve scavare 10 cm di terreno
per almeno 100 metri e rimuovere il tutto per rendere l’area di nuovo
sicura, e questo per ogni singolo veicolo.

Presentatore: Se Baghdad verrà
colpita da questo tipo di munizioni quanto grande sarà l’effetto
sulle aree circostanti ?
Prof.
Rocke:
Alcuni
studi sulla contaminazione da uranio in un impianto di produzione negli
Stati Uniti, svolti negli USA da uno degli scienziati che lavoravano
nel settore, ha mostrato che la contaminazione causa effetti nocivi
alla salute nel raggio di 50 chilometri.

Presentatore: Questo riguarda
l’impianto in sé, cosa ci dice sulla polvere e il vento ?

Prof.
Rocke:
Il
vento ha trasportato la polvere di uranio fino a 50 km dall’impianto e
ce n’erano quantità sufficienti per causare problemi di salute.
Oggi sappiamo che tutt’intorno ai siti di produzione delle munizioni
all’uranio gli abitanti della zona sono stati colpiti da cancro,
problemi renali, problemi respiratori e problemi neurologici.

Presentatore: Degli
studi hanno concluso che, dalle aree contaminate dei Balcani, la
polvere di uranio ha viaggiato più di 1000 km e ha raggiunto
svariate capitali europee. Pensa che gli abitanti di Kuwait, Arabia
Saudita, Iraq e Giordania saranno al sicuro dalla polvere di uranio che
verrà rovesciata in Iraq ?
Prof. Rocke: Vi è una combinazione di tutti i
sottoprodotti della guerra. Quando distruggiamo le infrastrutture
dell’Iraq, quando utilizziamo deliberatamente munizioni all’uranio e
contaminiamo aria, acqua e terra, l’intera regione diventa una zona
contaminata. E ripeto che la ragione per cui sappiamo che si tratta di
una zona contaminata è che sin dal 1991 gli Stati Uniti hanno
continuato ad inviare soldati nella regione. Dal 1991, 60.000 ulteriori
veterani sono stati dichiarati permanentemente invalidi a causa
dell’esposizione e altri 3000 sono morti.

Presentatore: Quanto a lungo resteranno
contaminate queste zone ?
Prof.
Rocke:
La
contaminazione rimarrà nella zona, a meno che non venga
fisicamente e completamente rimossa, per 4,5 miliardi di anni e oltre.

Presentatore: Queste aree rimarranno
contaminate per 4,5 miliardi di anni ?
Prof.
Rocke:
A
meno che (l’uranio) non venga rimosso fisicamente secondo le procedure
che ho sviluppato per il Dipartimento della Difesa USA.

Presentatore: Queste aree contaminate
sono adatte alla vita dell’uomo ?
Prof. Rocke: No. Il Dipartimento della
Difesa USA, nelle comuni esercitazioni all’uso di munizioni all’uranio,
specifica che i soldati americani devono indossare la protezione
completa di corpo e apparato respiratorio entro 50 metri da ogni
veicolo colpito da munizioni all’uranio.

Presentatore: Lei ha soprasseduto alla
sepoltura di alcuni residui nel 1991; quanto è vero che le aree
a nord di Arabia Saudita e Kuwait non sono più adatte alla vita
umana, e che bisognerebbe evitare l’accesso delle persone a queste aree
?
Prof.
Rocke:
Certamente.
L’intera area vicino Bassora, lì la contaminazione è
assolutamente verificata. Un membro del Congresso USA, James McDermott,
e il suo staff si sono recati in Iraq nell’autunno dell’anno scorso.
Hanno misurato la contaminazione e verificato che è così
alta che bisognerebbe vietare permanentemente l’accesso alle persone
finché l’area non sarà completamente bonificata.

Presentatore: Dunque
le zone che potrebbero essere colpite da munizioni all’uranio, che si
tratti di Baghdad o altre città irachene, sarebbero contaminate,
e la contaminazione resterebbe ancora per 4,5 miliardi di anni?

Prof.
Rocke:
Certamente.

Presentatore: È possibile che
Baghdad, Bassora e altre città diventino inadatte alla vita
umana dopo questa guerra ?
Prof.
Rocke:
Se
distruggi tutte le infrastrutture e se l’Iraq possiede armi chimiche o
biologiche o materiali radioattivi, e tu li distruggi, sarebbe come
colpire un cubetto di ghiaccio con un martello. Quello che fai è
disperderlo. Se utilizzi munizioni all’uranio e non ripulisci la zona,
l¹intera area diventerà contaminata e inabitabile, a meno
che non venga attuata una bonifica ambientale.

Presentatore: Ciò significa che
ci sono più di 20 milioni di iracheni che potrebbero essere
colpiti dall’uranio, e che se munizioni all’uranio verranno usate in
Iraq esso diventerà inabitabile. Vuol dire che gli Stati Uniti
elimineranno un intero stato dalla faccia della terra ?
Prof.
Rocke:
Certamente
è una possibilità. Quando distruggi le infrastrutture,
usi ogni tipo di munizioni, contamini aria, acqua e suolo, questa
è certamente una possibilità.

Presentatore: Le normali persone che
vivono in Iraq, che non hanno cosa fare e sono senza aiuto, possono
fare qualcosa contro gli Stati Uniti, che non esiteranno ad usare
l’uranio contro di essi?
Prof.
Rocke:
Per
anni, come responsabile della bonifica dalle munizioni all’uranio usate
nella guerra del Golfo del 1991, e come direttore del progetto uranio
impoverito, ho richiesto e insistito affinché gli USA e gli
altri paesi evitassero di usare munizioni all’uranio in battaglia.
L¹uso delle munizioni all’uranio dovrebbe essere proibito sulla
terra e nell’universo per l’eternità. Allo stesso tempo, ho
richiesto numerose volte che le cure mediche non venissero praticate
solo alle vittime del mio staff, ma anche alle migliaia e migliaia di
individui che sono stati esposti. Ho anche richiesto varie volte che
tutta la contaminazione da uranio venisse rimossa. Tuttavia ciò
mi è stato sempre negato, negato, e negato.

Presentatore: Visto che è stato
nella regione fino al 1996, ha diretto molte attività e conosce
le zone contaminate, potrebbe darci una lista delle aree contaminate in
Arabia Saudita, Iraq e Kuwait?
Prof.
Rocke:
Uno
dei problemi che abbiamo è che il Dipartimento della Difesa USA
non ha identificato tutte le zone dove sono state usate munizioni
all’uranio. Quindi le persone che vivono nell’area devono fare
attenzione alla firma delle munizioni all’uranio. Intorno all’area del
veicolo distrutto vedi un fosso pulito e rotondo. Vedi anche della
polvere nera nella zona circostante. Se vedi una struttura o un veicolo
che portano questa firma non devi avvicinarti a meno di 100 metri a
meno che non indossi una protezione completa per corpo e sistema
respiratorio.

Presentatore: Quali sono i sintomi che,
se comparissero negli abitanti della regione, potrebbero dimostrare la
loro esposizione all’uranio ?
Prof.
Rocke:
Il
primo sintomo che si presenterà sono i problemi respiratori.
È come una bronchite cronica.
La seconda cosa che noterai sono probabilmente gli esantemi.

Presentatore: Pensa che le malattie
sviluppatesi nel sud dell’Iraq e le deformità dei neonati
dureranno per 4,5 miliardi di anni? Esiste la possibilità di
ulteriori complicazioni sulle future generazioni?
Prof.
Rocke:
Certamente,
quando degli individui vengono esposti all’uranio, noi sappiamo che i
cambiamenti nell’RNA e nel DNA, i cambiamenti genetici che avvengono,
sono la causa di questi effetti sui neonati. Abbiamo visto gli stessi
effetti sui soldati americani che sono stati esposti. Quegli stessi
effetti li osserviamo dovunque nel mondo ci sia stata un’esposizione
all’uranio.

Presentatore: L’insistenza degli Stati
Uniti nell’utilizzare di nuovo queste munizioni contro degli esseri
umani e contro l’Iraq non potrebbe essere considerata come un nuovo
crimine di guerra?
Prof.
Rocke:
Chiunque
usi munizioni all’uranio in guerra deve capire che questo è un
crimine contro Dio e contro l’umanità. Sì, lo è.
Quando disperdi deliberatamente e volontariamente residui radioattivi,
ignori gli effetti sulla salute e ti rifiuti di ripulire, commetti un
crimine contro Dio e contro l’umanità.

Presentatore: Che dimensioni pensa che
assumerà il disastro risultante dall’uso di centinaia di
tonnellate di uranio nella guerra contro l’Iraq ? Se tutto questo
è avvenuto negli ultimi dieci anni, cosa succederà se
l’uranio verrà usato ancora nella regione ?
Prof.
Rocke:
Se
ci saranno le stesse esposizioni e un uso massiccio, possiamo stimare
che il numero delle vittime come percentuale di abitanti della zona,
sarà di nuovo del 30%. Questi sono numeri, non si possono
cambiare le statistiche. Non possiamo cambiare gli effetti
epidemiologici delle contaminazioni che risultano dalla guerra.

Fonte:
http://english.aljazeera.net/topics/article.asp?cu_no=1&item_no=2565&version=1&template_id=273&parent_id=258
Traduzione non ufficiale di Marco Fiocco (m.fiocco@planet.nl).

Alla ricerca delle reali ragioni di un conflitto annuciato di Pietro brevi

economiche e
militari della menzogna stessa.
Diventa così di
vitale importanza per lo Stato usare tutto il suo potere per reprimere
il dissenso, perché la verità è il nemico mortale della menzogna e,
di conseguenza, la verità è il più grande nemico dello Stato
».

Joseph
Goebbels

Ministro della Propaganda della Germania nazista (1933-1945).

In questi
giorni l’opinione pubblica internazionale e molti governi del pianeta
attendono con angoscia lo scatenarsi, da un momento all’altro, della
guerra statunitense contro l’Irak, conflitto annunciato, giustificato e
pilotato dai media che fanno capo agli apparati dell’alta finanza. Dei
molti analisti che tengono d’occhio la situazione ben pochi sono riusciti
a rilevare le ragioni reali che determinano questa crisi e i veri
obiettivi dell’azione in fieri.
Controllo
diretto delle risorse ed espansione geostrategica a parte, la famiglia dei
petrolieri Bush e il management politico-finanziario del nuovo ordine
mondiale seguono da mesi con crescente panico l’evoluzione dell’euro, la
nuova moneta che fino a poco tempo fa consideravano con un sorriso di
compatimento. Quali le ragioni di questo stato d’allarme?

Per
rispondere alla domanda è necessario, a nostro parere, considerare la
successione degli avvenimenti che seguono facendo attenzione alle date.

Già nel novembre 2000 il governo dell’Irak decise che, nelle sue future
transazioni commerciali riguardanti le vendite di idrocarburi, il dollaro
sarebbe stato sostituito dall’euro. Immediatamente dopo l’entrata in
vigore della nuova moneta europea le intere riserve irakene, ammontanti a
10 bilioni di dollari depositati alle Nazioni Unite nel quadro del
programma "Oil for food", furono convertite in moneta europea.

Ricordiamo che l’Irak è il paese considerato come la seconda riserva di
petrolio al mondo dopo l’Arabia Saudita.
Nonostante la conseguente perdita di valore dei depositi irakeni (fino a
poco tempo fa l’euro era deprezzato rispetto al dollaro), le notizie su
quanto era accaduto furono, naturalmente, tenute accuratamente nascoste
dall’amministrazione statunitense, da Wall Street e dagli organi
d’informazione, nel timore che potessero influenzare pesantemente gli
orientamenti degli investitori e i livelli di spesa dei consumatori (1).

Adesso, naturalmente, con il rapporto dollaro/euro capovolto, il valore
delle riserve irakene è notevolmente aumentato.
La diffusione di simili notizie avrebbe rischiato di veder aumentare la
richiesta per nuove politiche energetiche meno dispendiose, attivare lo
sfruttamento di fonti alternative a quelle petrolifere, richiedere un
maggior rispetto dell’ambiente, ecc.

La mossa irakena puntava, ovviamente, ad ammorbidire la linea degli USA
sull’embargo ed a stimolare l’azione politica dei paesi europei favorevoli
al ridimensionamento o all’abolizione delle sanzioni.
Va precisato a questo punto che l’economia statunitense è strettamente
legata al ruolo del dollaro come moneta d’interscambio internazionale e
nel caso questo ruolo venisse meno all’improvviso l’intero suo
funzionamento andrebbe in crisi (2).

La presenza di sempre più massicce forze armate degli USA nell’area del
Golfo Persico ha dunque lo scopo non solo di far pagare a Saddam Hussein
questo pericoloso sgambetto economico ma anche di servire come monito
permanente agli altri paesi dell’OPEC, come Iran (3) e Arabia Saudita, che
stanno valutando con interesse una analogo escamotage.

In Iran la proposta di cambio valuta è stata analizzata dalla Banca
Centrale e se presentata al parlamento la sua approvazione è data per
scontata. I parlamentari iraniani ritengono infatti che una simile
soluzione sia logica essendo l’euro più conveniente del dollaro. Come
dimostra l’operazione decisa nel corso del 2002, quando molte delle
riserve in valuta della Banca Centrale Iraniana sono state cambiate da
dollari a euro (4).

Secondo il deputato Mohammed Abasspour, membro della Commissione
Parlamentare per lo Sviluppo, le riserve cambiate superano ormai il 50% e
il rafforzamento dell’euro porterà ai
paesi asiatici, in particolare a quelli esportatori di greggio,
un’opportunità nuova per creare legami più forti con i paesi membri
dell’Unione Europea. Inoltre Abasspour ritiene che il commercio mondiale
attualmente monopolizzato dal dollaro possa essere ridimensionato dalla
diffusione dell’euro a beneficio della concorrenza e dell’intero mercato.
Sono così facilmente comprensibili i motivi per cui l’Iran viene
collocato subito dopo l’Irak nell’elenco dei paesi canaglia sui quali
attivare la "guerra al terrore"(5).

Agli inizi di dicembre 2002, senza che niente lo facesse presagire, anche
un altro dei paesi del cosiddetto asse del male, la Corea del Nord,
annunciava ufficialmente il passaggio alla nuova valuta europea per i suoi
commerci (6). La scelta di questo paese, di struttura economica
estremamente precaria, non potrà provocare, comunque, un danno economico
significativo agli USA, ma è un ulteriore segnale.

Il comportamento politico-militare statunitense dopo l’11 settembre 2001,
diplomaticamente rozzo ed irrispettoso dei trattati, ha trasformato le
simpatie internazionali, già per altro esistenti ma fortemente accentuate
dalla tragedia, in un malcelato antiamericanismo che affiora anche tra gli
alleati più tradizionali (7).

Uno studio della defunta Enron aveva identificato l’area del mar Caspio
come una riserva potenziale di 200 bilioni di barili di petrolio: su
questo studio era basato il piano energetico di sviluppo petrolifero
voluto dal vice Presidente petroliere Dick Cheney, tendente a favorire i
paesi di quella zona che non appartengono al cartello dell’OPEC (8). Per
attuare il disegno era necessario il controllo del territorio afgano,
insostituibile via per il trasporto del greggio. Dopo la rottura delle
trattative con il governo dei talebani, portate avanti ignorando le
sanzioni dell’ONU (9) e la tragedia dell’11 settembre Bin Laden veniva
designato come il nemico più pericoloso e iniziava l’attacco all’Afganistan.

Soltanto ad invasione avvenuta studi più accurati dimostravano
l’inattendibilità del rapporto Enron quantificando le riserve dei paesi
dell’area del Caspio in non più di 20 bilioni di barili di un petrolio di
scarsa qualità e ad elevato contenuto sulfureo.

L’imponente intervento militare perdeva così il suo scopo e veniva
silenziosamente smobilitato, alla faccia della caccia allo sceicco del
terrore.

Così, la giunta Bush provvedeva velocemente a sostituire, come nemico
principale, Bin Laden con Saddam Hussein, ovvero l’Irak, le sue risorse e
le sue decisioni economiche.

La situazione economica interna statunitense scossa dai continui scandali,
di cui quelli dell’Enron e della Worldcom sono soltanto la punta
dell’iceberg, ha spinto altri paesi tra i quali la Cina, il Venezuela e la
Russia a diversificare le loro riserve di valuta straniera e a convertirle
parzialmente in euro (10).

Voci insistenti danno all’ordine del giorno della prossima assemblea di
Vienna dei paesi aderenti all’OPEC, la discussione sulla sostituzione
della valuta di riferimento. Numerosi Paesi che scarseggiano di riserve in
dollari guardano con crescente attenzione le diversificazioni attuate dal
Venezuela e i suoi accordi con altri 12 paesi per stabilire nei loro
commerci la formula del baratto.

Nell’aprile 2002, poco dopo queste decisioni, è fallito un tentativo di
colpo di stato appoggiato dall’amministrazione Bush contro il presidente
venezuelano Hugo Chavez Frias (11).

Il diplomatico venezuelano Francisco Mieres-Lopez ha confermato come un
anno prima di questi minacciosi tentativi il governo del Venezuela aveva
iniziato a valutare la possibilità di passaggio all’euro.
Ricordiamo che il Venezuela è il quarto grande paese produttore di
petrolio e gli attentati alla sua destabilizzazione, portati avanti in
questi mesi dalle elites economiche interne e dalla oligarchia petrolifera
Bush/Cheney, poggiano sul tentativo di privatizzare le sue risorse,
tentativo che, gli accordi commerciali basati sul baratto promossi dal
presidente Chavez e dalle prospettive di passaggio all’euro, rischia di
togliere al dollaro il predominio nelle transazioni.

Con la decisione di allargare l’Unione Europea a dieci altre nazioni è
previsto per il 2004 un prodotto interno lordo della UE di 9,6 trilioni di
dollari e una popolazione di 450 milioni di cittadini, una concorrenza
formidabile per gli USA che allora avranno 10,5 trilioni di dollari di
prodotto interno lordo con 280 milioni di cittadini.
Durante una sua visita in Spagna nell’aprile 2002 Javad Yarjani, capo del
Dipartimento Analisi del Mercato Petrolifero dell’OPEC ha illustrato lo
scenario economico internazionale dal punto di vista della sua
organizzazione (12). Yarjani ritiene un’anomalia il fatto che il dollaro
domini il commercio mondiale superando la percentuale di esso condivisa
dagli USA mentre i paesi dell’euro detengono una percentuale superiore con
economie più sane e posizioni contabili e di bilancio più equilibrate.
Questo è dimostrato dai legami commerciali sempre più stretti tra Paesi
membri dell’OPEC e l’area dell’euro dalla quale vengono importati oltre il
45% dei beni.

L’alto funzionario non ha escluso che in futuro l’OPEC possa decidere
l’adozione dell’euro.
E’ indicativo sottolineare come le sue dichiarazioni siano state in
qualche modo segnalate da alcuni organi d’informazione europei ma
accuratamente ignorate dalla stampa statunitense.

C’è da aggiungere come un completo successo internazionale
dell’euro-moneta potrebbe ricevere la spinta definitiva alla sua adozione
anche da parte della Gran Bretagna, che per il momento rimane in una
posizione estremamente ambigua.

Per potersi cautelare da simili svolte l’amministrazione statunitense ha
scelto come misura urgente e rapida la soluzione di sostituire Saddam
Hussein con una nuova amministrazione fantoccio in grado di cancellare la
scelta irakena sulla nuova moneta europea e riadattare la valuta
precedente.

A quel punto gli altri paesi dell’OPEC verrebbero tenuti tranquilli
iniziando una massiccia produzione del petrolio irakeno in modo da
superare le quote fissate dal cartello: questa politica ridurrebbe di
conseguenza il costo per barile e smantellerebbe così il sistema di
controllo dei prezzi praticato dall’OPEC fino ad arrivare a provocare il
collasso di questa organizzazione (13). Alla prossima riunione di Vienna i
paesi membri dell’OPEC ci andranno avendo chiare le conseguenze di una
simile prospettiva. Non è escluso quindi che la manovra di autodifesa
possa essere il cambiamento della valuta di riferimento sulle transazioni
petrolifere.

Nel caso in cui tutti i paesi aderenti all’OPEC decidessero di preferire
la valuta europea rispetto al dollaro le banche centrali dei paesi
consumatori dovrebbero disfarsi della valuta statunitense presente nelle
loro riserve per sostituirla con gli euro. Una simile decisione
comporterebbe una perdita immediata del valore del dollaro, stimata tra il
20 e il 40%: il che aprirebbe, di conseguenza, la strada ad una massiccia
inflazione interna agli USA e provocherebbe situazioni economiche da Terzo
mondo, simili a quelle attuali in Argentina.

Questa decisione segnerebbe anche la fine dell’egemonia del dollaro e
della predominanza mondiale degli USA.

L’unica via estrema che rimane al governo Bush per evitare questa
catastrofe è l’estensione della sua egemonia militare in appoggio alla
sua egemonia economica (14).

Qualunque
tentativo di Paesi del Medio Oriente e dell’America Latina membri
dell’OPEC di transizione verso l’euro scatenerebbe l’azione militare
statunitense. Un’azione mascherata da guerra al terrore con la quale
l’amministrazione Bush sta coprendo la verità dei fatti (15).

Mentre l’opinione pubblica statunitense sembra restare impotente di
fronte al collasso economico del Paese dovuto alla massiccia manipolazione
del debito, agli inopportuni tagli delle tasse, ai deficit dei bilanci,
agli abusi delle multinazionali, all’insostenibile espansione del credito,
al crollo dei risparmi, al record dell’indebitamento personale, eccetera
(16).
Per quanto riguarda il fronte
esterno una parte dell’opinione pubblica internazionale ha già mostrato
di non tollerare che gli USA impongano la loro forza militare su quelle
nazioni sovrane che vogliono decidere liberamente il loro futuro e le loro
scelte economiche.

Rimangono tuttavia molti i cittadini, fra i quali c’è la gran massa degli
americani, tenuti lontani dalla realtà con l’uso della tecnica
goebbelsiana.

Ma la pratica dell’informazione sempre più funzionale al grande potere,
sempre più sfacciatamente bugiarda, angosciante e distorta, non potrà
che produrre, nella comunità planetaria, sbandamento e confusione.

E aumenterà progressivamente la sfiducia nelle istituzioni
democratiche, che appariranno sempre più strutture al servizio delle
colossali consorterie economiche del globo.
Lasciamo
queste frettolose note – scritte in una atmosfera che ha l’orrendo odore
della guerra – alla riflessione dei lettori. Accompagnandole con una
citazione scritta quando la giovane democrazia americana stava
consolidandosi ed esportava nel mondo la speranza di un mondo più giusto
e migliore:

«Se
una nazione si aspetta di essere ignorante e libera, essa immagina quello
che mai è stato e mai sarà. Il popolo non può essere sicuro senza
informazione.

Quando
la stampa è libera, e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro
».

Thomas
Jefferson, Presidente degli Stati Uniti dal 1801-1809

RIFERIMENTI
1- Recknagel, Charles, ‘Iraq: Baghdad Moves to Euro’ (November 1, 2000) www.rferl.org/nca/features/2000/11/01112000160846.asp
2- W. Clark "The Real but Unspoken Reasons for the Upcoming Iraq
War" (Sunday 26 Jan 2003) www.indymedia.org/print.php3%20%20article_id=231238
3- Gutman, Roy & Barry, John, Beyond Baghdad: Expanding Target List:
Washington looks at overhauling the Islamic and Arab world (August 11,
2002) www.unansweredquestions.net/timeline/2002/newsweek081102.html
4- ‘Economics Drive Iran Euro Oil Plan, Politics Also Key’ (August
2002) www.iranexpert.com/2002/economicsdriveiraneurooil23august.htm

5- "Forex Fund Shifting to Euro, " Iran Financial News, (August
25, 2002) www.payvand.com/news/02/aug/1080.html

6- Gluck, Caroline, "North Korea embraces the euro" (December 1,
2002) http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/asia-pacific/2531833.stm
7- "What the World Thinks in 2002 : How Global Publics View: Their
Lives, Their Countries, The World, America" (2002)
http://people-press.org/reports/display.php3%20%20ReportID=165
8- Pfeiffer, Dale, "Much Ado about Nothing — Whither the Caspian
Riches" (December 5, 2002) www.fromthewilderness.com/free/ww3/120502_caspian.html

9- Jean Charles-Briscard & Guillaume Dasquie, "The Forbidden
Truth: U.S.-Taliban Secret Oil Diplomacy, Saudi Arabia and the
Failed Search for bin Laden", Nation Books, 2002.
10- "Euro continues to extend its global influence" (January 7,
2002) www.europartnership.com/news/02jan07.htm
11- Birms, Larry & Volberding, Alex, "U.S. is the Primary Loser
in Failed Venezuelan Coup", Newsday (April 21, 2002). www.coha.org/COHA%20_in%20_the_news/Articles%202002/newsday_04_21_02_us__venezuela.htm
12- "The Choice of Currency for the Denomination of the Oil Bill,"
Speech given by Javad Yarjani, Head of OPEC’s Marketing
Analysis Department (April, 2002) www.opec.org/NewsInfo/Speeches/sp2002/spAraqueSpainApr14.htm
13- Dr. Ali, Nayyer, "Iraq and Oil, " (December 13, 2002)
www.pakistanlink.com/nayyer/12132002.html

14- Golf, Stan, "The Infinite War and its Roots, "
www.fromthewilderness.com/free/ww3/082702_infinite_war.html
15- Gore Vidal, "Le Menzogne dell’Impero", Fazi Ed., Roma, 2002

16 – Gore Vidal, "La
Fine delle Libertà", Fazi Ed., Roma, 2002

L’IRAQ E’ UN GIRO DI PROVA di Noam Chomsky

Noam Chomsky, professore universitario al
Massachussetts Institute of Technology, fondatore della moderna scienza
linguistica e attivista politico, rappresenta una figura importante
dell’attivismo anti-imperialistico statunitense.
Il 21 marzo, giornata cruciale per le proteste politiche provenienti anche dal
mondo accademico verso l’attacco all’Iraq.

Domanda – Secondo lei la presente
aggressione all’Iraq è la continuazione della politica estera americana degli
ultimi anni, oppure ne rappresenta una variante qualitativa?
R: Chomsky – Rappresenta una
nuova e significativa fase. Non è senza precedenti, ma nondimeno ha un valore
assai significativo. Dovrebbe essere raffigurato come una sorta di giro di
prova. L’Iraq, infatti, è visto come obiettivo estremamente facile e
totalmente senza difese. Si ritiene, non a torto, che le sue strutture sociali
si sgretoleranno, che i soldati vi penetreranno facilmente, consegnandone il
controllo agli USA, i quali potranno scegliere il futuro regime, piazzando nel
contempo basi militari. Dopo l’Iraq, saranno affrontati casi più difficili;
potrebbe essere la regione andina in Sud America, o l’Iran, oppure altri.

Il giro di prova serve a stabilire ciò che gli USA definiscono "la nuova
norma" delle relazioni internazionali. La nuova norma si chiama "guerra
preventiva" (da notare che le nuove norme sono stabilite solo dagli USA). Così,
per esempio, quando l’India ha invaso il Pakistan orientale compiendo orrendi
massacri, non si è stabilita una nuova norma per gli interventi umanitari,
perché l’India è il paese sbagliato, e, oltretutto, gli USA si sono opposti
strenuamente a questo tipo di azione.

C’è differenza fra guerra preventiva e guerra prioritaria. Quella attuale non
è prioritaria: c’è una grande differenza. Guerra prioritaria significa che
se ad esempio una flotta aerea sta attraversando l’Atlantico per bombardare
gli Stati Uniti, gli USA possono colpirli prima che sgancino le bombe, e possono
attaccare le basi aeree da cui la flotta proviene. La guerra prioritaria è una
risposta ad un attacco imminente.

La dottrina della guerra preventiva è totalmente differente; presume che gli
USA – da soli, senza dividere questo diritto con nessun altro, hanno il
diritto di attaccare qualunque paese che essi ritengano essere un potenziale
pericolo. Così se gli USA ritengono che qualunque nazione in qualunque zona del
mondo possa costituire per loro una minaccia, possono attaccarla.

Questa dottrina è stata annunciata esplicitamente nel National
Strategy Report
dello scorso Settembre, facendo rabbrividire tutto il mondo,
incluso l’establishment americano,
nel quale l’opposizione alla guerra direi che è attecchita in percentuale
insolitamente alta. In effetti, il National Strategy Report afferma che gli USA
governeranno il mondo con la forza, che è la dimensione – l’unica
dimensione – di tale supremazia. Ancora, sarà così per un indefinito futuro,
perché qualunque potenziale sfida al dominio statunitense sarà eliminata prima
ancora di diventare una sfida.

Questo è il primo punto di questa dottrina. Procedendo su questi binari, come
presumibilmente avverrà, considerata la debolezza dell’avversario iracheno,
in seguito intellettuali, esperti di diritto internazionale e pensatori
occidentali inizieranno a parlare di nuovi termini nei rapporti internazionali.
E’ importante stabilire una tale norma se ci si propone di governare il mondo
con la forza per il prossimo futuro. Tutto ciò non è senza precedenti, ma è
estremamente insolito. Menziono un precedente, solo per mostrare la ristrettezza
dello spettro. Nel 1963 Dean Acheson, statista e consigliere
dell’amministrazione Kennedy, ebbe un’importante conversazione alla Società
Americana per il Diritto Internazionale, nella quale giustificò l’attacco
americano nei confronti di Cuba. Si trattava di un attacco su vasta scala di
tipo terroristico ed economico. Ciò avvenne subito dopo la crisi dei missili,
quando il mondo arrivò molto vicino ad un olocausto nucleare. Nella sua
conversazione, Acheson affermò più o meno che "non ci sono affatto problemi
legali quando gli Stati Uniti rispondono a sfide alle proprie posizioni,
prestigio o autorità".
E questo è un punto di forza anche della dottrina-Bush. Anche se Acheson è
stato un politico importante, ciò che ha affermato nella circostanza ora
menzionata non è stato mai detto ufficialmente da nessun politico americano del
dopoguerra. Adesso invece si situa come posizione politica ufficiale, e appare
per la prima volta in questa veste, come base per il futuro. Tali "norme"
sono stabilite solo quando un potere occidentale fa qualcosa, non gli altri. Ciò
fa parte del profondo razzismo della cultura occidentale, derivante da secoli di
imperialismo, talmente profondo da risultare inconscio. Così ritengo che questa
guerra costituisca un importante passo avanti in questa direzione, ed è questa
è la funzione che deve assumere.

D: Si tratta anche di una nuova fase nella
quale gli USA non sono stati in grado di portare gli altri dalla loro parte?

R: Chomsky – Non è nuovo. Nel
caso della guerra del Vietnam, per esempio, gli Stati Uniti non hanno ricercato
affatto l’appoggio internazionale. Nondimeno, si tratta proprio di qualcosa di
insolito. Questo è un caso in cui gli USA sono stati costretti per ragioni
politiche a tentare una forzatura nei confronti del resto del mondo per far
accettare la propria posizione, la qual cosa non è riuscita, ed è questo lo
strano. Di solito, il resto del mondo soccombe.

D: Allora potremmo dire che si tratta di un
fallimento della diplomazia? O che siamo di fronte alla necessità di una
ridefinizione del concetto stesso di diplomazia?

R: Chomsky – Non la chiamerei
diplomazia; si tratta si fallimento della coercizione. Paragoniamo la situazione
a quella della prima guerra del Golfo. Nel 1991, gli USA hanno praticamente
costretto il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ad accettare le proprie
posizioni, nonostante il parere opposto della maggior parte del mondo. La NATO
procedette, e l’unico paese del Consiglio di Sicurezza che non era
d’accordo, lo Yemen, venne immediatamente e severamente punito. In qualunque
sistema legale serio, i giudici corrotti sono considerati invalidi, ma negli
affari internazionali condotti attraverso il potere, i giudici corrotti sono
abili. E questo è ciò che essi chiamano diplomazia.
Ciò che trovo interessante in questo caso è che la coercizione non ha
funzionato. Vi sono paesi i quali hanno caparbiamente confermato l’opinione
della stragrande maggioranza della loro popolazione. Il caso più drammatico lo
troviamo in Turchia, paese molto vulnerabile, vulnerabile soprattutto in
relazione a punizioni americane. Nonostante ciò, il suo nuovo governo, io credo
fra la sorpresa generale, ha mantenuto la posizione del 90% della sua
popolazione. Ciò ha causato un’aspra condanna della Turchia, così come sono
stati condannati Francia e Germania per gli stessi motivi. I paesi che sono
stati elogiati sono stati Spagna e Italia, i cui leaders hanno preso ordini da
Washington contro l’opinione di una percentuale forse del 90% della
popolazione.

Questo è un altro passo in avanti. Non riesco a individuare altri casi di un
tale dispregio per i valori della democrazia, così apertamente proclamato, non
solo dal governo, ma anche da commentatori liberali e altri ancora. Vi è adesso
una vasta letteratura che sta cercando di far passare Francia, Germania (la
"Vecchia Europa") più la stessa Turchia per sabotatori degli USA. E’
inconcepibile per i sapientoni che tali paesi si stiano comportando così solo
perché prendono la democrazia seriamente e perché tengono conto delle opinioni
della maggioranza del popolo.

Se l’atteggiamento americano manifesta un reale disprezzo della democrazia, ciò
che è avvenuto all’ONU manifesta totale disprezzo per il sistema
internazionale. Infatti vi sono ora appelli – dal Wall Street Journal, da
politici e altri – per sciogliere le Nazioni Unite. La paura degli USA in
tutto il mondo è straordinaria. E’ così estrema che viene discussa
quotidianamente su tutti i media. La storia di copertina dell’ultimo numero di
Newsweek riguardo proprio la domanda sul perché il mondo tema così tanto gli
USA. Lo stesso il Post di qualche settimana fa. Naturalmente l’errore è degli
altri, del mondo: c’è qualcosa che non va in loro, non in noi.

D:
L’idea che l’Iraq rappresenti una minaccia per il presente è, in sostanza,
senza alcun fondamento.
R: Chomsky – Nessuno fa caso a
quest’accusa, eccetto il popolo americano, e questo è interessante. Negli
ultimi mesi vi è stato il compimento di una propaganda governo-mediatica, molto
visibile nei sondaggi. I sondaggi internazionali mostrano che il supporto alla
guerra è più alto negli USA che negli altri paesi. C’è però un piccolo
inganno, perché se si guarda più attentamente, si noterà che gli Stai Uniti
sono diversi dal resto del mondo per un altro fattore. Dal Settembre 2002 gli
USA sono il solo paese al mondo in cui il 60% della popolazione ritiene che
l’Iraq costituisce una minaccia imminente, contrariamente a quanto pensano ad
esempio in Kuwait o in Iran, paesi limitrofi. In più, circa il 50% della
popolazione ora ritiene l’Iraq responsabile per l’attacco alle Torri
Gemelle. Questo a partire da Settembre 2002. Ma subito dopo l’attacco, a
Settembre 2002, la percentuale era solo del 3%. La propaganda
mediatico-governativa ha portato la percentuale dal 3 al 50% in un anno, e
adesso la gente pensa di essere in buona fede a ritenere l’Iraq responsabile
dell’attentato. Settembre 2002 rappresenta l’inizio di questa offensiva
propagandistica, e coincide con l’inizio della campagna elettorale per le
elezioni di medio termine, L’amministrazione Bush avrebbe fallito se non
avesse avuto dalla sua le parti sociali ed economiche. Il progetto è stato
quello di ammutolire queste parti facendole convergere sul piano della sicurezza
nazionale, in maniera che tutti si potessero sentire protetti dall’ombrello
del potere.
Questo è esattamente uguale a quanto avvenuto negli anno ’80, con le
presidenze Reagan e Bush senior. Queste amministrazioni hanno trasferito
all’estero la politica interna, cara alla gente. E come è stata effettuata la
mistificazione? Convincendo tutti che esisteva un Esercito del Nicaragua pronto
ad invadere il Texas e a conquistare gli Stati Uniti, e che dalla base aerea di
Granada i Russi avrebbero bombardato l’America. Una ridicolaggine dietro
l’altra, anno dopo anno. Se qualcuno avesse visto la scena da Marte, non
avrebbe saputo se piangere o ridere.

Ora stanno facendo la stessa cosa, e probabilmente ne faranno di simili alla
prossima campagna per le presidenziali. Avranno un nuovo dragone da sconfiggere,
e se le amministrazioni future lasceranno prevalere la politica interna, si
troveranno nei guai.

D: Lei ha scritto che questa guerra di
aggressione ha pericolose conseguenze rispetto al terrorismo internazionale e
alla minaccia di guerra nucleare.
R: Chomsky
Non posso certo invocare l’originalità per questa opinione. Cito solo
fonti della CIA e altre Intelligence, oltre a specialisti in politica
internazionale e terrorismo. Le riviste Foreign Affairs, Foreign Policy, gli
studi dell’Accademia Americana delle Arti e delle Scienze e l’Alta
Commissione Hart-Rudman per le minacce terroristiche agli Stati Uniti
d’America vanno tutti in questa direzione. CI sarà un incremento del
terrorismo, questo è fuori dubbio. E la ragione è semplice: in parte per
vendetta, ma in parte per autodifesa. Non vi è altro modo per proteggersi da un
attacco americano. D’altronde, gli Stati Uniti hanno fatto il punto della
situazione in maniera molto chiara, e stanno dando al resto del mondo una
lezione assai pericolosa.
Confrontiamo Iraq e Corea del Nors: l’Iraq è debole e senza difese, è il più
debole paese della regione. Nonostante sia governato da un terribile mostro, non
ha minacciato nessun paese limitrofo. La Corea del Nord, d’altra parte, ha
fatto più d’una minaccia, ma non è stata attaccata per un motivo molto
semplice; ha un deterrente. Possiede artiglieria armata contro Seul, e se gli
USA attaccano, potrebbe distruggere in un batter d’occhio gran parte della
Corea del Sud.

Così, è come se gli Stati Uniti stessero dicendo al mondo: "se siete deboli
e senza difese, vi possiamo attaccare quando vogliamo; ma se avete un
deterrente, non faremo nulla, perché noi attacchiamo solo i deboli". In altre
parole, non si attaccano paesi sviluppati dotati di armi di distruzione di massa
o altri credibili deterrenti; solo i deboli, che diventano così oggetto di
guerra preventiva. Solo per questa ragione, questa guerra porterà alla
proliferazione sia del terrorismo che delle armi di distruzione di massa.

D: Come ritiene che gli Stati Uniti
condurranno le conseguenze umane ed umanitarie della guerra?

R: Chomsky – Nessuno lo sa. Le
agenzie umanitarie e i gruppi medici che lavorano in Iraq hanno rilevato che le
conseguenze potranno essere molto dure. Ognuno spera di no, ma potrebbe
riguardare milioni di persone. Vi è già da prima della guerra una catastrofe
umanitaria. Da stime per difetto, dieci anni di sanzioni hanno ucciso centinaia
di migliaia di persone. Se vi fosse una giustizia, gli USA dovrebbero pagare i
danni causati solo dalle sanzioni. La situazione è analoga all’Afghanistan.
Era ovvio che gli USA non si sarebbero preoccupati delle conseguenze.
In Iraq gli Stai Uniti faranno uno show sulla ricostruzione, e piazzeranno un
regime che chiameranno democratico, il che significa prendere ordini da
Washington. Poi ci si dimenticherà quanto è successo lì, e si andrà al
prossimo obiettivo.

D: Come si sono comportati i media in questa
circostanza, in base alla loro reputazione "propagandistica"?

R: Chomsky – Tifando per la
squadra di casa. Guardi la CNN: disgustosa, ed è la stessa cosa ovunque: i
media sono adoratori del potere.

Più interessante è esaminare cosa è accaduto nella fase preparatoria alla
guerra. Il fatto che la propaganda mediatico-governativa sia stata in grado di
convincere la gente che l’Iraq rappresenti un’immediata minaccia, e che sia
da ritenere responsabile dell’attentato dell’11 settembre è uno
spettacolare inganno, realizzato in circa quattro mesi. Se chiediamo questo ai
media, ci sentiremo rispondere: "ma noi non abbiamo mai detto nulla di
simile", ed è vero, non l’hanno mai fatto. Non c’è mai stata una
dichiarazione, un’asserzione sul genere "L’Iraq è pronta ad invadere gli
Stati Uniti", o "L’Iraq ha coordinato l’attacco alle Torri Gemelle".
Nessuno l’ha detto: l’hanno solo insinuato, suggerimento dopo suggerimento,
finché hanno portato la gente a crederci davvero. E’ un sistema infallibile.

D: Nonostante ciò, nonostante la
propaganda, c’è stata resistenza. Nonostante la denigrazione dell’ONU, non
hanno vinto.

R: Chomsky – Non si sa mai. Le
Nazioni Unite si trovano in una posizione assai rischiosa. Gli Stati Uniti
stanno agendo per smantellare l’ONU. Non mi aspetto che ciò avvenga, ma
quantomeno tutto questo ne diminuirà molto la forza, perché quando l’ONU non
esegue gli ordini, a che serve?

D: Noam, lei ha visto movimenti di
resistenza all’imperialismo per un lungo periodo, dal Vietnam, all’America
Centrale, alla prima guerra del Golfo. Quali sono le sue impressioni
sul carattere, profondità e raggio d’azione della presente resistenza
all’aggressione americana? Ci rincuora molto, infatti, la straordinaria
mobilitazione avvenuta in tutto il mondo.

R: Chomsky – E’ giusto; non
c’è nulla di simile a questa opposizione, enorme e senza precedenti. Accade
anche all’interno degli Stati Uniti, ieri per esempio a Boston c’è stata
una dimostrazione importante. Vi ho partecipato anch’io, ed era dal 1965 che
non partecipavo ad una dimostrazione, dai tempi dell’inizio del bombardamento
in Vietnam. Ma ci sono differenze con quanto sta avvenendo oggi.

La situazione odierna è la seguente: vi è un solo modo di combattere una
guerra. Prima di tutto, scegliere un nemico debole, quindi costruirci su un
sistema propagandistico che convinca la gente dell’imminenza di una minaccia.
Infine, conseguire una luminosa vittoria. Un importante documento
dell’amministrazione di Bush senior datato 1989 insegna come combattere una
guerra: gli USA devono scegliere nemici deboli, la vittoria deve essere rapida e
decisiva, così da eliminare ogni forma di protesta. Non avviene più come negli
anni ’60, in cui una guerra poteva durare anni senza alcuna opposizione.

Tuttavia, l’attivismo degli anni ’60 e seguenti ha semplicemente reso gran
parte del mondo, inclusi gli USA, molto più civilizzati.

(per la traduzione di ringrazia Andrea
Calabrese)

La nuova guerra dell’imperatore di Paolo Cortesi

vogliono credere i bravi patrioti
americani e le anime candide filoamericane di casa nostra, le quali
applaudirebbero all’amato signor George Bush anche se questi
dichiarasse guerra alla Repubblica di San Marino.


Vi sono, poi, le ragioni sporche e inconfessabili, ma così consistenti
che persino i mass media più paciosi cominciano timidamente a suggerire
in piccoli box di taglio basso.


Il controllo del petrolio irakeno, come si affannano a negare i governi
britannico e statunitense, è un gran valido motivo che non si può
dire; e pure il vertiginoso affare da miliardi di dollari della
ricostruzione del paese devastato; la lotta (non più solo metaforica)
tra dollaro e euro come moneta per acquistare petrolio e quindi per
gestire l’economia mondiale; il folle militarismo che pompa milioni di
dollari alle fabbriche di armi e all’indotto bellico; infine una prova
di forza di mostruosa violenza e agghiacciante sconsideratezza per
dimostrare chi comanda su questo infelice pianeta…ecco, questi sono
alcuni dei motivi forti ma che non si possono dire.

Questa
guerra è stata preparata, pianificata, voluta, direi cresciuta con una
determinazione così priva di ogni scrupolo e di ogni dubbio che lascia
sgomenti.
Immagino non sia difficile decidere dell’esistenza di centinaia di
migliaia di vite umane stando comodamente seduto in poltrona, dentro
l’edificio più protetto della terra; ma ho sempre pensato (guarda gli
studi umanistici come rendono sentimentali!) che la voce della coscienza
non dovrebbe mai ammutolire, tanto meno quando si è padroni del
mondo…
Ora, ad una settimana dall’inizio dell’invasione, si parla già del
dopo-Saddam.
Non ho competenze strategiche, e il mio anno di servizio militare di
leva è uno dei più cupi ricordi della mia vita, ma credo che la fine
della guerra non sia così scontata.

Voglio
dire: se il conflitto fosse combattuto nello spazio cosmico o su
playstation, gli americani avrebbero già vinto; ma qui si combatte una
guerra che pare non conceda molto alla superiorità tecnologica Usa. Gli
irakeni sono del tutto privi di aviazione, eppure dopo una settimana
riescono ancora a contenere e rintuzzare l’avanzata nemica.
La guerra del Vietnam fu combattuta da una nazione che aveva la più
perfezionata e potente tecnologia militare contro un esercito che
raccoglieva rottami e scatolette per fonderli in proiettili; eppure
tutti sanno come è finita quella guerra terribile.
Le baldanzose dichiarazioni anglo-americane dei primi giorni sembrano
adesso delle battute di cattivo gusto: a Baghdad in trentasei ore,
giuravano i generalissimi: abbiamo visto, invece, come sta andando.
Intere divisioni irakene si arrendono, dichiarano i megafoni del
quartier generale anglo-americano che un tempo si chiamavano giornalisti:
e perché mai non si ha nemmeno una foto di questa folla di prigionieri?
Eppure sarebbe una bella iniezione di ottimismo per gli amici degli
States.

Gli
americani hanno le bombe intelligenti che non sbagliano mai, quindi se
si macellano decine di civili in un mercato di Baghdad la colpa può
solo essere degli irakeni che hanno i missili di vecchio tipo, quei
modelli obsoleti e inaffidabili che ammazzano all’ingrosso e non
chirurgicamente. Già, non può che essere così…
Forse è un errore analizzare questo conflitto, e il relativo
dopoguerra, con strumenti sofisticati e troppo articolati. Questa è una
campagna di invasione militare vecchio stampo; è una guerra che fino a
qualche decennio fa si sarebbe chiamata colonialista; è un conflitto
che non ha nulla di ideologico perché è determinato solo da esigenze
di dominio.
Mi ricorda moltissimo l’atmosfera della Prima Guerra Mondiale: sul
tavolo più grande nel salotto del Kaiser, i marescialli dispiegano la
mappa topografica della zona di operazioni e tracciano con gesto
vigoroso righe di vario colore: "Occuperemo qui, qui e qui";
"Conquisteremo questo territorio e quest’altro"…

Possiamo
certo disquisire di geopolitica e di nuovo ordine globale; possiamo
studiare la situazione economica precomatosa degli States e i nuovi
disegni di politica estera ideati dai poderosi cervelli
dell’amministrazione Bush; ma tutto questo armamentario di dati,
cifre, teorie, ipotesi e ricostruzioni cozzerà davanti alla brutale
evidenza del fatto che il governo
Usa ha deciso di azzerare sessant’anni di diplomazia, di regole fra
gli stati, di convivenza planetaria, di logica e di morale per
ripristinare un concetto preilluministico della politica mondiale: la
forza militare, e solo la forza militare, è il canale di comunicazione
(sic!) fra nazioni.
Siamo tornati ad epoche in cui la guerra è il mezzo ed il fine di
una nazione che si è autonominata giudice e poliziotto del mondo.

Se
il Sacro Romano Impero fondava tale (assurda) pretesa sulla natura
sacrale del potere , gli Stati Uniti d’America si sono conferiti
questo incarico perché possiedono non solo un arsenale pauroso, ma
anche la turpe voglia di usarlo.
Ora che gli Usa sono usciti dalle norme internazionali che regolavano i
rapporti fra le nazioni, ora che Bush ha creato questo agghiacciante
precedente, come sarà possibile impedire che altre potenze seguano
l’orrendo esempio?
Una volta che l’America ha inventato il gioco "inventati un nemico
per fare quello che vuoi", come potremo essere certi che India,
Pakistan, Cina, Israele (e chissà chi ancora) non si confezioneranno il
loro attentato terroristico che sarà un eccellente casus belli?

Ora
che il governo Bush ha dimostrato di non tenere in nessun conto
l’opinione della maggioranza democraticamente espressa, come potremo
sapere fino a che punto imporrà la sua svolta autoritaria agli Usa e al
mondo?
Ora che abbiamo constatato che la menzogna, la finzione, il raggiro e la
manipolazione dei fatti sono la maggiore componente dell’arte di
governo, come potremo continuare a tessere le lodi di quello che
dovrebbe essere il modello di democrazia esportabile in tutto il mondo?
Il mondo, dal 1945 in poi, si reggeva bene o male su una rete di
rapporti e regole che videro spesso frizioni e scontri drammatici, ma
che non varcarono mai un limite, e questo limite era l’uso sistematico
della guerra.

I
conflitti erano limitati alla periferia del sistema
mondo
, ed erano mantenuti ad un livello tutto sommato di basso
profilo. Bush ha inaugurato la stagione della guerra imperiale, un
conflitto imponente e portato nel cuore del sistema geopolitico.
Perché questa scelta, che è paragonabile ad accendere fuochi
d’artificio in una polveriera?
Anche qui la risposta più rudimentale sembra quella più esatta: Bush e
i suoi consiglieri sono sicuri di essere metafisicamente, escatologicamente nel giusto. Nel contempo essi
sono sicuri di essere tecnologicamente,
scientificamente
invincibili. Queste deliranti premesse li hanno
spinti a scatenare la prima guerra
tecno-teocratica della storia
.

Alle
masse umane, alle folle, alla carne da cannone non restano che due
opzioni: o aspettare in silenzio che un solerte burocrate li convochi
alla strage; o urlare senza tregua il proprio rifiuto di massacrare e
farsi massacrare.
Non dimentichiamo che i troni di faraoni, re e imperatori sono costruiti
con le ossa dei sudditi.

Io dico grazie a Bush perche’ milioni di persone si sono unite per la pace di Paulo Coelho

Grazie,
grande leader George W. Bush. Grazie di aver mostrato a tutti il
pericolo che Saddam Hussein rappresenta. Molti di noi avrebbero potuto
altrimenti dimenticare che ha utilizzato armi chimiche contro il suo
popolo, contro i curdi e contro gli iraniani. Hussein è un dittatore
sanguinario e una delle più chiare espressioni del male al giorno
d'oggi. Ma questa non è la sola ragione per cui la ringrazio. Nei primi
due mesi del 2003 ha mostrato al mondo molte altre cose importanti e
perciò merita la mia gratitudine. Così, ricordando una poesia che ho
imparato da bambino, voglio dirle grazie.

Grazie di aver mostrato a tutti che il popolo turco e il suo parlamento
non sono in vendita, neanche per 26 miliardi di dollari.

Grazie di aver rivelato al mondo l'abisso che esiste tra le decisioni di
coloro che sono al potere e i desideri del popolo. Grazie di aver messo
in evidenza che né José Maria Aznar né Tony Blair danno la minima
importanza né mostrano il minimo rispetto per i voti che hanno
ricevuto. Aznar è capace di ignorare che il 90 per cento degli spagnoli
sono contro la guerra e Blair è rimasto indifferente alla più grande
manifestazione pubblica svoltasi in Inghilterra negli ultimi trent'anni.

Grazie di aver costretto Tony Blair a recarsi al parlamento inglese con
un dossier falso scritto da uno studente dieci anni fa e di averlo
presentato come «prova determinante trovata dal servizio segreto
britannico». 

Grazie di aver permesso che Colin Powell si esponesse al ridicolo
mostrando al Consiglio di Sicurezza dell'Onu delle foto che, una
settimana dopo, sono state pubblicamente contestate da Hans Blix,
l'ispettore responsabile del disarmo dell'Iraq.

Grazie di aver adottato la posizione attuale e di aver pertanto fatto sì
che il discorso contro la guerra del ministro degli Esteri francese,
Dominique de Villepin, alla sessione plenaria dell'Onu fosse accolto
dagli applausi – cosa che, a quanto ne so, è successa solo una volta in
precedenza nella storia delle Nazioni Unite, dopo un discorso di Nelson
Mandela. 

Grazie perché, in seguito ai suoi sforzi in favore della guerra, le
nazioni arabe, normalmente divise, nell'incontro al Cairo avvenuto
l'ultima settimana di febbraio sono state per la prima volta unanimi nel
condannare qualsiasi invasione.

Grazie di aver affermato che «l'Onu ora ha una possibilità di mostrare
la sua importanza», affermazione che ha indotto a prendere una
posizione contro l'attacco all'Iraq anche i Paesi più riluttanti.

Grazie per la sua politica estera che ha spinto il ministro degli Esteri
inglese, Jack Straw, a dichiarare nel ventunesimo secolo che «una
guerra può avere una giustificazione morale», perdendo in questo modo
tutta la credibilità.

Grazie di aver cercato di dividere un'Europa che sta lottando per l'
unificazione: è un avvertimento che non sarà ignorato.

Grazie di aver ottenuto ciò che assai pochi sono riusciti a ottenere in
questo secolo: unire milioni di persone di tutti i continenti nella
lotta per la stessa idea, anche se essa è opposta alla sua.

Grazie di averci dato di nuovo la consapevolezza che le nostre parole,
anche se non saranno udite, almeno sono state pronunciate; questo ci
renderà più forti nel futuro.

Grazie di averci ignorato, di aver emarginato tutti coloro che si
oppongono alla sua decisione, perché il futuro della Terra appartiene
agli esclusi.

Grazie perché, senza di lei, non saremmo stati coscienti della nostra
capacità di mobilitazione. Potrebbe non servirci questa volta, ma
sicuramente ci sarà utile in futuro.

Ora che sembra non ci sia modo di zittire i tamburi di guerra, vorrei
ripetere le parole che un antico re europeo disse a un invasore: «Che
la mattina sia bella, che il sole splenda sulle armature dei soldati,
perché del pomeriggio ti sconfiggerò». Grazie di aver permesso a noi,
un esercito di anonimi che riempie le strade nel tentativo di fermare un
processo già in atto, di capire quel che significa essere impotenti e
di imparare a fare i conti con quella sensazione e a trasformarla.
Pertanto si goda la mattina e la gloria che potrebbe ancora riservarle.

Grazie di non averci ascoltato e di non averci preso sul serio, ma
sappia che noi la ascoltiamo e che non dimenticheremo le sue parole.

Grazie grande leader George W. Bush.

Molte grazie, 

Paulo Coelho

Traduzione diffusa da Radiopopolare
network
– marzo 2003