Introduzione
Questo articolo esplora una strana ed infausta possibilità, quella che i nostri antenati fossero consapevoli delle catastrofi cicliche che colpiscono il nostro pianeta periodicamente, ogni 12.900 anni. Gli antichi non solo sapevano di queste catastrofi, ma ci hanno lasciato avvertimenti su di esse in forma di storie simboliche ed iscrizioni. Uno di questi avvertimenti, quando decodificato, dice chiaramente che una catastrofe globale è imminente.
La pietra dell’avvoltoio
Nella regione sudorientale dell’Anatolia in Turchia vi è un sito templare strano ed enigmatico, conosciuto come Göbekli Tepe. Esso consiste di un gruppo di cerchi sommersi, ognuno dei quali contenenti enormi pilastri di pietra. Gli archeologi ne hanno scoperti venti di questi cerchi, per un totale di circa 200 pilastri. Ogni pilastro ha un’altezza fino a 6 metri e pesa fino a 10 tonnellate. Essi sono inseriti in cavità scavate direttamente nella roccia. I pilastri contenuti all’interno di questi cerchi sono per la maggior parte posizionati sull’orlo del pozzo, ma alcuni di essi si trovano al centro dello stesso. I dettagli riguardo la funzione di tale struttura rimangono, ad oggi, un vero mistero per gli archeologi. I relativi scavi sono andati avanti sin dal 1996 ad opera del German Archaeological Institute, ma una larga parte rimane ancora sepolta. Nel 2018 il sito è stato comunque designato Patrimonio mondiale dell’Umanità dall’UNESCO.
Secondo coloro che lavorano sul posto, Göbekli Tepe si crede essere stato costruito nell’8000 AEV o prima, cioè molto prima dei Sumeri, prima civiltà sviluppatasi in Mesopotamia. Tale datazione è risultata essere un vero shock per l’archeologia ufficiale, visto che i Sumeri sono considerati la prima civiltà nata sulla Terra, ovvero nata nel 4000 AEV. È però difficile ‘liquidare’ Göbekli Tepe come lavoro di un popolo primitivo, dato che dev’essere stata un’impresa enorme quella di tagliare e trasportare i massicci blocchi di pietra ivi usati. Perciò, come molti siti neolitici esistenti nel mondo, si tratta di un enigma.
Klaus Schmidt, che ha scoperto i pilastri a T negli scavi del 1994, crede che Göbekli Tepe sia un santuario di montagna dell’Età della Pietra, e che gli animali scavati sulla roccia siano stati scolpiti per proteggere i defunti. Citando dalla relativa pagina di Wikipedia: “La 'cattedrale sulla collina' era luogo di pellegrinaggio che portava fedeli fin da 150 Km di distanza. Ossa macellate di selvaggina locale come cervi, gazzelle, maiali e oche sono state trovate in gran numero e identificate come resti di cibo cacciato e cucinato o preparato altrimenti per la congregazione. Analisi zooarcheologiche mostrano che la gazzella era presente solo stagionalmente nella regione, suggerendo l’ipotesi che eventi come rituali e feste erano programmati durante periodi di abbondanza di selvaggina”.
Tale prospettiva sembra convincente. Ed è anche in linea con quegli accademici che desiderano vedere Göbekli Tepe come ‘sito di un culto primitivo’, il che s’incastra convenientemente con la ‘versione ufficiale’ attuale secondo cui non vi era alcuna civiltà prima dei Sumeri. Il problema, con tale visione, è che essa ignora i segni lampanti che descrivono Göbekli Tepe come un osservatorio astronomico di un qualche tipo, simile a Stonehenge.
Il dottor Martin Sweatman e il dottor Dimitrios Tsikritsis credono che il sito fosse utilizzato per scopi astronomici. Essi hanno recentemente pubblicato un articolo scientifico(1) che avanza l’idea circa come una delle pietre di Göbekli Tepe, denominata popolarmente la ‘Pietra dell’Avvoltoio’ (mostrata in foto), fissi una data nel tempo usando le stelle. La pietra contiene diversi animali, apparentemente posizionati con attenzione attorno al globo. Partendo dalle teorie sviluppate da Andrew Collins, Sweatman e Tsikritsis confermano che se il globo centrale nella scultura della ‘Pietra dell’Avvoltoio’ s’ipotizza essere il sole e gli animali rappresentativi di certe costellazioni, allora il rilievo della Pietra fissa una data particolare nella Storia.
La Pietra dell’Avvoltoio
Sweatman e Tsikritsis sono in grado di produrre tale data grazie alla precessione assiale del nostro pianeta. La Terra, infatti, si comporta come una trottola. Ogni 25.800 anni il suo asse compie un ciclo completo e, come risultato, il luogo nel nostro cielo notturno verso cui l’asse del nostro pianeta punta, lentamente si sposta nel corso dei millenni. E la posizione relativa della nostra stella polare, rispetto a tale asse, si muove anch’essa nel corso dei millenni. Alla fine, dopo un migliaio di anni circa, la nostra Stella Polare si è spostata così tanto rispetto a tale asse di rotazione che un’altra stella si è avvicinata al nostro polo. Essa diviene allora la nostra ‘nuova’ Stella Polare. Attualmente infatti la nostra stella polare è Polaris, ma migliaia di anni fa era appunto un’altra stella, Kochab, ad essere più vicina al nostro polo e quindi a ricoprire tale ruolo.
Questa lenta modifica nella posizione delle stelle a causa della precessione assiale del nostro pianeta può anche essere osservata nel nostro zodiaco. All’incirca ogni 2000 anni mentre le costellazioni cambiano posizione, noi entriamo in una nuova era zodiacale, segnata dalla relazione della costellazione con il sorgere e il tramontare del nostro Sole in particolari periodi dell’anno. Attualmente stiamo entrando, notoriamente, nell’Era dell’Acquario e resteremo in Acquario per i prossimi duemila anni.
Sweatman e Tsikritsis (e Andrew Collins) hanno quindi usato queste nozioni per decodificare la ‘Pietra dell’Avvoltoio’ a Göbekli Tepe. Utilizzando le costellazioni sulla pietra, combinate con la posizione del Sole, essi hanno calcolato la data del 10.950 AEV. Questa data è una prova molto interessante perché la ‘Pietra dell’Avvoltoio’ non è l’unico antico monumento che sembra segnare proprio questa data specifica nel nostro lontano passato. Per indagare un altro monumento dobbiamo però spostarci in Egitto.
Il leone che osserva
La Grande Sfinge, situata sull’altopiano di Giza in Egitto, è una scultura meravigliosa ed enigmatica. Secondo la versione ufficiale fu costruita per il Faraone Khafre intorno al 2500 AEV, nello stesso periodo della costruzione delle piramidi di Giza. In verità vi sono davvero poche prove a sostegno di tale teoria, a causa del fatto che la sfinge è stata scolpita direttamente nella pietra dell’altopiano di Giza. E purtroppo, i monumenti di pietra non possono essere datati con il carbonio. A volte gli archeologi riescono ad ovviare a tale inconveniente datando al carbonio i frammenti di legno bruciato presenti nella malta del monumento, ma se esso è ricavato direttamente dalla roccia, non c’è nulla che possa essere utilizzato.
Fortunatamente però c’è un indizio riguardo all’età della Grande Sfinge. Il dottor Robert Schoch (2) ha studiato la Sfinge, notando che essa è stata alterata in un modo particolare, non dalla sabbia e dal vento, ma dall’acqua. Egli ha chiamato esperti del settore che sono stati concordi nel ritenere che l’alterazione della Sfinge è stata chiaramente causata da un elevato volume d’acqua che è precipitato sulla pietra, o che ci è scivolata sopra, o probabilmente entrambe le cose. Una tale forma d’usura produce un effetto d’alterazione molto differente da quello asciutto della sabbia portata dal vento. Se ciò è vero, allora la Sfinge dev’essere esistita come scultura quando l’Egitto era un’area molto umida e temperata, prima che il cambiamento climatico della Terra la rese desertica.
Quindi, se la teoria di Schoch è corretta, la sfinge non è stata scolpita nel 2500 AEV, ma molto prima, all’incirca nel 10000 AEV, o prima ancora.
Vi è un altro aspetto della Sfinge che è strano. Sebbene si tratti di un animale con una testa umana, la sua testa è molto più piccola di come una testa dovrebbe essere, se si fosse tentato di rappresentare un ibrido uomo-animale. Sembra probabile, quindi, che la testa che vediamo oggi non è la testa originale, ma fu ricavata da un originale più grande, molto tempo fa e, forse, molte volte. È quindi assolutamente possibile che la Sfinge, con il suo corpo da leone, avesse originariamente anche la testa di un leone. Tale idea acquista credibilità se accettiamo la ricerca di diversi autori, incluso Robert Bauval (3), che affermano come la Sfinge fosse posizionata anche per segnare una data nel Grande Anno – l’anno precessionale 25.800 – menzionato prima. Secondo la loro ricerca, la posizione della Sfinge segna una data attorno al 10.500 AEV, l’alba dell’Età del Leone, ed ecco perché (anche) si pensa che la testa originaria fosse quella di un leone.
Abbiamo quindi una strana coincidenza. La Grande Sfinge sembra segnare il 10.500 AEV. La ‘Pietra dell’Avvoltoio’ di Göbekli Tepe, secondo il dottor Sweatman e il dottor Tsikritsis, segna una data molto simile, il 10.950 AEV. Entrambe le date sono approssimazioni, il che vuol dire che potrebbero segnare la stessa data. Perché però tale antica finestra temporale era così importante?
Per rispondere alla domanda dobbiamo spostarci nel mondo della fisica.
La meraviglia dell’etere
Alla fine del XIX secolo molti scienziati credevano all’esistenza dell’etere, un mezzo che permeava tutta la materia, spesso chiamato etere luminifero. Essi credevano alla sua esistenza perché sapevano che la luce si comportava come un’onda, che poteva rifrangere e riflettere, e così ipotizzavano che dovesse esserci un mezzo attraverso il quale si spostava, un “liquido” attraverso il quale le onde di luce fluivano. Se tale ipotesi fosse corretta, allora essi sapevano che noi tutti ci muoviamo in quest’etere continuamente. Anche se non ci muoviamo molto mentre siamo sulla Terra, il nostro pianeta orbita attorno al nostro Sole e pertanto tutti ci muoviamo nello spazio ad alta velocità. In aggiunta, il nostro intero sistema solare orbita attorno alla nostra galassia, la Via Lattea, e in questo modo ci muoviamo quindi anche nello spazio. E poi, la nostra intera galassia si muove e questi fisici erano affascinati dalla domanda: Qual è il nostro movimento netto attraverso l’etere?
Due fisici, Albert Michelson e Edward Morley, decisero di rispondere a tale domanda nel 1887 (4). Essi costruirono un apparecchio per misurare in quale direzione l’etere si muoveva, in relazione a qualcuno in posizione di riposo sulla Terra. Il loro congegno utilizzava una tecnica intelligente che sfruttava la luce. Facendo rimbalzare e frazionare la luce con degli specchi, veniva comparata la fase dei raggi di luce di ritorno, e così essi potevano rilevare se la velocità dei raggi era cambiata durante il viaggio in uscita e ritorno. Se esisteva un etere, essi calcolarono, allora doveva esserci una modificazione nel tempo necessario alla luce per viaggiare in certe direzioni perché avrebbe dovuto viaggiare “a monte” attraverso il flusso eterico, nello stesso modo in cui si rema controcorrente. A confronto, un raggio di luce che evitava la “corrente” dell’etere non avrebbe dovuto subire alcun rallentamento.
Con loro grande sorpresa, Michelson e Morley scoprirono che la velocità dei raggi luminosi non cambiava, indipendentemente dalla direzione verso cui l’apparecchio veniva puntato. Questo sembrò, per loro, significare solo una cosa, e cioè che non vi era alcun etere.
L’istallazione inferometrica di Michelson e Morley, montata su una lastra di pietra che galleggia in un canale anulare di mercurio
I due fisici pubblicarono i loro risultati, e fu un vero shock per tutta la comunità scientifica. Molti fisici erano confusi al riguardo. Più di dieci anni dopo però Einstein venne in loro soccorso, formulando un modo per descrivere i movimenti dell’universo senza il bisogno di un etere, e quindi corroborando il risultato dell’esperimento. Egli chiamò la sua intelligente teoria “relatività speciale” e poi la rifinì nella “relatività generale”. Oggi tutti i fisici credono che la relatività generale sia brillante e assolutamente corretta, e quindi è logico pensare che Michelson e Morley avessero ragione, e che non esiste assolutamente alcun etere.
Il problema con tale risultato, tuttavia, è che potrebbe essere sbagliato. Per decenni è parso chiaro che vi sono grossi problemi in fisica per il fatto che relatività e fisica dei quanti non legano. Una di queste due famose teorie sembra essere fondamentalmente difettosa. Una ragione che spiegherebbe il perché la relatività generale potrebbe essere seriamente sbagliata è che l’esistenza d’ un etere sia invece giusta, e Michelson e Morley magari fecero un errore durante il loro esperimento. Questa non è un’ipotesi così improbabile come potrebbe a primo impatto sembrare. Idealmente nel corso del tempo molti esperimenti vengono ripetuti, con nuove migliorie, per verificarne la validità. Sfortunatamente con la ‘Scienza accettata’ questo però accade raramente. Prima di tutto nessuno lo fa in quanto la maggior parte degli esperimenti seri è molto costosa da eseguire e poche persone hanno voglia di pagare per condurre esperimenti i cui risultati sono già stati pubblicati. In secondo luogo, se una teoria che è basata sui risultati di quell’esperimento diviene fermamente consolidata ed è approvata dai soggetti più anziani, nessuno vuole vedere una nuova serie di risultati che indicano come si è andati tutti… nella direzione sbagliata.
Uno scienziato, Martin Grusenick, ha però contrastato tale tendenza. Egli ha ripetuto l’esperimento di Michelson-Morley. Usando un’apparecchiatura moderna, più leggera, è stato in grado di fare qualcosa che i suoi colleghi Michelson e Morley non avevano fatto: egli ha testato la velocità della luce non solo in direzione orizzontale, ma anche in verticale. Può sembrare sciocco che Michelson e Morley non lo fecero, dato che il nostro universo fisico è un ambiente 3D, ma per dare ai due scienziati il riconoscimento loro spettante, la loro attrezzatura era molto più pesante, come mostrato in foto. Non sarebbe stato divertente provare a ruotare quel blocco di fondazione verticalmente e condurre misurazioni precise nello stesso momento. In verità potrebbe essere stato mortalmente rischioso.
Martin Grusenick però, essendo una persona molto moderna, registrò il suo esperimento e lo caricò su YouTube (5). Grusenick scoprì che quando egli ruotava il suo rivelatore in direzione verticale, vi era una chiara evidenza che la velocità della luce cambiava. Ciò quindi indicava che doveva esistere un etere. Il flusso dell’etere andava verso il basso, seguendo la direzione della gravità. Ed ha un senso, perché spiegherebbe quello che è la gravità, il flusso dell’etere universale. “L’etere scorre come gravità” spiegherebbe il cosiddetto “effetto lente gravitazionale”, quando la luce di una stella lontana è piegata dal campo gravitazionale di una stella intermedia. Secondo la relatività, la gravità della stella interveniente aveva piegato lo spazio piegando il percorso della luce. Questa è una spiegazione elegante, ma l’idea del flusso di etere funziona alla stessa maniera. In tale versione, la luce di quella stella è stata piegata dal flusso di etere, come il percorso di una barca viene spinto fuori traiettoria da una corrente.
La lente gravitazionale non è il solo fenomeno che può essere spiegato da un etere piuttosto che dalla relatività. Ce ne sono molti altri. In realtà vi sono molte aree problematiche della fisica che sono meglio spiegate dalla presenza di un etere che dalla sua assenza. Il dottor Paul LaViolette ha individuato tale osservazione. Egli ha anche osservato che è molto più logico pensare alla realtà fisica come ad un equilibrio dinamico. In altre parole, la realtà era più simile a un onda, una forma infinitamente dinamica fatta di un mezzo attivo, universale. Il dottor LaViolette spiega la sua teoria, che egli chiama cinetica subquantica, in diversi libri pubblicati. La sua teoria è elegante e completa. Sfortunatamente, ha anche alcune conseguenze molto nefaste.
Sovraccarico
Paul LaViolette ha compreso che se vi era un etere attivo – e se le sue equazioni per spiegarne il relativo comportamento erano corrette – allora nuova materia e nuova energia dovevano penetrare nel nostro universo continuamente. Conseguentemente, secondo la sua teoria non vi è stato alcun Big Bang. Invece, il nostro universo è iniziato con un seme di materia che lentamente è cresciuto in grandezza man mano che più materia andava accumulandosi al centro della materia esistente, un po’ come un cristallo che si forma da una soluzione. Ebbene, secondo il dottor LaViolette questo processo si verifica in ogni momento. Più largo è l’agglomerato di materia esistente, maggiore sarà la materia che appare al suo interno. Questo significa che al centro della nostra galassia, dove vi è una vasta concentrazione di materia (ma non vi sono buchi neri dato che essi non funzionano nella Teoria dell’etere), più materia ed energia viene continuamente creata.
Alla fine, a causa dell’incredibile pressione risultante dalla creazione di tale materia, vi è un’eruzione. Un’onda di materia ed energia viene lanciata fuori dal centro della nostra galassia alla velocità della luce. Queste eruzioni avvengono con regolarità quasi perfetta, data la stabilità nella creazione della materia. L’ammontare di materiale ed energia coinvolto è enorme. Quando queste onde raggiungono il nostro sistema solare sono ancora abbastanza potenti da spingere polvere interstellare e asteroidi nell’area del nostro sistema interno, laddove è situato il nostro pianeta. Il risultato netto è che il nostro pianeta viene avvolto da polvere cosmica e bombardato da meteoriti. I raggi X di eruzioni solari ci bombardano e così avviene una catastrofe massiccia, come indica letteralmente la locuzione usata per definire tale evento, “Stella del Male”.
Il dottor LaViolette crede perciò che tali catastrofi ci colpiscono ogni mezzo Grande Anno, cioè ogni 12.900 anni. La ragione per cui queste catastrofi sono curiosamente sincronizzate con il movimento precessionale del nostro pianeta è perché l’onda che ci colpisce include un’onda gravitazionale. Queste onde gravitazionali regolari hanno trascinato il movimento assiale del nostro pianeta come qualcuno che fa ruotare una trottola per controllarne il movimento. A prima vista sembra difficile da credere che un evento che avviene ogni 12.900 anni possa trascinare l’oscillazione di rotazione di un pianeta, ma se la durata della vita del nostro pianeta di 4 miliardi di anni fosse simile ad un singolo anno, allora queste onde gravitazionali arriverebbero 126 volte al secondo. In altre parole, in termini planetari, 12.900 anni è.. una frazione di un battito di ciglia.
La nostra Terra quindi è stata spinta in questa frequenza precessionale più stabile, dove i suoi poli sono allineati al centro galattico, sia dalla cima sia dal fondo, ogni volta che viene colpita dall’onda gravitazionale. Se il nostro pianeta si discostasse da questa frequenza, allora le onde gravitazionali la costringerebbero a rientrare nella frequenza. Il nostro pianeta è stato quindi portato a seguire un anno precessionale sincronizzato con le eruzioni di materia della nostra galassia. Questo spiegherebbe il perché i nostri antenati erano così preoccupati con riferimento alle stelle e all’anno precessionale. Essi compresero che si trattava di un orologio da Giorno del Giudizio.
Il dottor LaViolette, nel suo libro Earth Under Fire – Il Codice dell'Apocalisse, spiega che i nostri antichi antenati ci hanno lasciato un avvertimento su quando tali catastrofi avvengono. Essi costruirono il pungiglione dello Scorpione e la freccia del Sagittario così che entrambi puntassero verso il centro galattico. In altre parole, essi avevano creato un grande segnale nel cielo come a dire: “ecco dov’è il pericolo”. Nel suo libro, LaViolette chiarisce anche che l’ondata più recente di materia, energia e gravità proveniente dal centro della nostra galassia, è stata la causa dell’impatto cosmico del Dryas Recente, quando una nuvola di meteoriti colpì la Terra causando incendi massicci e un improvviso raffreddamento del pianeta. È stato stimato che tale impatto sia avvenuto 12.900 anni fa, all’inizio dell’Era del Leone.
Tale prova ci riporta alla ‘Pietra dell’Avvoltoio’ di Göbekli Tepe e alla Grande Sfinge a Giza. Anch’essi segnano la data del 10.900 AEV circa. La data dell’ultima catastrofe corrisponde quindi ai dati archeologici e ai segni lasciati dalle antiche civiltà.
Ma quando sarà la prossima catastrofe?
Capsula temporale
Fino a questo punto appare chiaro che il 10.900 AEV fu l’anno del disastro, e i nostri antichi antenati hanno fissato tale data. Se si erano preparati in anticipo, allora la Grande Sfinge non era solo un avvertimento, ma potrebbe essere stata anche un qualche tipo di arca. L’intera necropoli di Giza può essere stata costruita come un’arca, un luogo progettato per sopravvivere al disastro imminente. Tale ipotesi potrebbe sembrare un’idea strana ma vi sono prove, di vari quartieri molto strani, che le sostengono. Non vi è spazio per affrontare l’argomento in questo articolo, quindi ne riparlerò. La Grande Sfinge, quindi, può essere non solo un ‘indicatore di pericolo’ ma anche una ‘capsula temporale', all’interno della quale potevano essere stati custoditi documenti chiave in modo che chiunque fosse venuto più tardi – anche molto più tardi rispetto alla catastrofe – sarebbe stato in grado di conoscere la civiltà perduta.
Inoltre una tale conoscenza potrebbe aiutare una nuova civiltà a svilupparsi, così da prevenire un completo ritorno al barbarismo. Il posto logico per immagazzinare tali informazioni sarebbe al di sotto delle zampe frontali del leone, così come ogni felino tiene i propri trofei sotto le loro zampe anteriori. È quindi molto interessante notare che Schoch, durante la sua indagine a Giza, rilevò una camera sotto le zampe anteriori della Sfinge. Sfortunatamente, subito dopo che le autorità egiziane scoprirono che Schoch aveva individuato una camera, presumibilmente decisero che era un problema e quindi lo cacciarono dall’area. Non sappiamo perciò, ancora ad oggi in maniera definitiva, se esista una camera sotto la Sfinge o quello che essa possa contenere.
Segni di un’imminente eruzione
I lettori perspicaci potrebbero già aver capito da questo articolo la nefasta implicazione contenuta nella prove che sono state raccolte. L’evento d’impatto del Dryas Recente, la Grande Sfinge e la ‘Pietra dell’Avvoltoio’, tutti segnano una data intorno al 10.900 AEV – approssimativamente 12.900 anni fa – quando abbiamo avuto un disastro planetario causato da un’onda di materia/energia/gravità proveniente dal nostro centro galattico. Queste onde galattiche cicliche sono fondamentalmente connesse al nostro Grande Anno di precessione, che si ripete approssimativamente ogni 25.800 anni, ed esse avvengono due volte per ogni Grande Anno, quando cioè i poli del nostro pianeta sono allineati con il centro galattico. Questo significa che la prossima onda di materia/energia/gravità è imminente.
L’idea che un disastro di proporzioni cosmiche, globale e planetario, stia per arrivare è un’idea spaventosa e ridicola allo stesso tempo. Spaventosa perché sappiamo da disastri passati quanto sarà grave. È anche un’idea ridicola perché è dura credere che un tale evento potrebbe davvero accadere. Viviamo su un pianeta pacifico, relativamente stabile, e l’ultimo disastro risale a così tanto tempo fa che molti dei nostri scienziati ancora dibattono se sia davvero avvenuto.
Sfortunatamente non possiamo affidarci a segni visivi chiari per convincerci che questa prossima ondata stia arrivando. Nel suo libro Earth Under Fire il dottor LaViolette spiega come l’onda si comporterebbe. Il primo elemento a colpirci sarebbe l’onda di gravità che viaggia alla velocità della luce. Subito dopo la radiazione elettromagnetica che parte dell’onda ci raggiungerebbe ad una velocità leggermente minore, il suo percorso rallentato dalla polvere interstellare. Non vedremmo nessuna di queste due onde in arrivo, dato che sarebbero veloci come la luce. La nostra mancanza di avvertimenti sarebbe come i vecchi missili V2 caduti su Londra: dato che viaggiavano ad una velocità superiore a quella del suono, nessuno li sentì arrivare.
Una scena dell’ultima fase del Ragnarök, dopo che Surtr ha inghiottito il mondo con il fuoco. Di Emil Doepler, 1905
La prima cosa che sapremmo dell’onda di materia gravitazionale sarebbe la massiccia espansione e stritolamento del pianeta, causati dall’onda di gravità. Questo causerebbe terremoti ed eruzioni a livello globale. Poco dopo questo evento, una “stella” blu brillante apparirebbe tra la costellazione dello Scorpione e quella del Sagittario. Non sarebbe in realtà una stella ma una concentrazione di raggi-X provenienti dal nostro centro galattico. Il passaggio successivo di questo evento, a giorni di distanza dall’onda iniziale, sarebbe l’arrivo della polvere interstellare, spinta all’interno del nostro sistema solare dall’onda di gravità. Questa fase del disastro sarebbe l’inferno. Il cielo si oscurerebbe, la Luna e il Sole diventerebbero rossi, e gli asteroidi colpirebbero il nostro pianeta. Sarebbe una scena analoga a quella della storia norvegese del Ragnarök, che probabilmente è la rappresentazione dell’ultima volta che tale evento è accaduto.
L’idea di una stella blu brillante che annuncia la distruzione globale è stata già predetta. Gli indiani Hopi hanno una profezia secondo la quale la nostra attuale civiltà terminerà quando “una zucca di cenere” verrà versata sulla Terra. Questo, essi credono, è probabile che avvenga in tandem con l’apparizione di qualcosa di simile ad una stella cometa blu e luminosa, conosciuta come la Stella Blu Kachina. Questo evento, dicono, si manifesterà nel tempo in cui l’umanità avrà perduto il suo contatto con la natura, durante un periodo di separazione spirituale. Questo può certamente descrivere la nostra attuale generazione.
Tuttavia, anche se non possiamo vedere l’arrivo dell’onda principale, potremmo comunque essere in grado di ricevere qualche avvertimento sulla sua venuta. L’eruzione del centro galattico è un processo naturale secondo LaViolette. Quindi, come per ogni altra eruzione naturale, ad esempio un’eruzione vulcanica, vi dovrebbero essere eventi che precedono l’eruzione principale, grandi boati indicanti che qualcosa di grosso sta per accadere. Sfruttando tale fenomeno, potremmo puntare i telescopi verso il centro della nostra galassia ed osservare con attenzione quello che avviene. Fortunatamente molti astronomi stanno già facendo esattamente questo. Lo stanno facendo in forma ufficiale perché pensano che ci sia un buco nero di enormi dimensioni al centro della nostra galassia, spesso chiamato Sagittario A*, e vogliono saperne di più.
È quindi illuminante e disturbante, allo stesso tempo, il fatto che essi abbiano notato qualche strano comportamento in quel punto esatto. Nel settembre 2019 un documento astrofisico intitolato “Unprecedented Near-Infrared Brightness and Variability of Sgr A*” (6), ha segnalato un aumento rilevante nelle emissioni elettromagnetiche provenienti dal centro della nostra galassia.
Il quotidiano The Guardian ha pubblicato un articolo (7) su questa scoperta. Un estratto dell’articolo dice: “Non abbiamo mai visto niente del genere nei 24 anni di studio del buco nero super massiccio”, ha detto Andrea Ghez, professore di fisica e astronomia alla University of California, Los Angeles, e autore senior della ricerca. “È un buco nero solitamente debole e silenzioso, a dieta. Non sappiamo cosa stia guidando questa grande festa”
Il professor Ghez pensa che sia un buco nero a creare queste emissioni, ma la prova dell’esistenza dei buchi neri è molto più tenue di quello che gli scienziati fanno sembrare. Per esempio c’è un altro oggetto stellare vicino a Sagittario A*, conosciuto come G2. Gli astronomi non sanno bene cosa sia G2. Alcuni affermano trattarsi di una nuvola di gas, altri ipotizzano che sia una stella. Il problema è che, recentemente, G2 si è spostato molto vicino a Sagittario A*. Avrebbe dovuto quindi essere schiacciato, o stirato, nell’entrare nel pozzo gravitazionale di quel super massiccio buco nero. Invece non è stato così. È passato oltre, apparentemente illeso. A causa della grande quantità di polvere che oscura la nostra vista del centro della nostra galassia, è molto difficile per gli astronomi avere una veduta chiara di quello che c’è lì dentro. Queste nuove emissioni indicano che qualunque cosa ci sia, sta diventando sempre più attiva.
Un’altra potenziale fonte d’informazione sul centro della nostra galassia è l’Event Horizon Telescope. l’EHT è in realtà un progetto che raggruppa diversi radiotelescopi che lavorano insieme, simili ai telescopi nel film di Jodie Foster Contact. Questi telescopi dovevano raccogliere immagini del centro della nostra galassia ad aprile 2019. Sfortunatamente, i risultati non sono mai stati pubblicati. Secondo LaViolette, che ha scritto subito dopo la data stabilita, “stanno ancora studiando i dati”. Poco dopo quel lavoro, il team dell’Event Horizon Telescope ha prodotto una fotografia di un buco nero in un’altra galassia. Questo causò ovunque titoli da prima pagina… ma secondo molti commentatori, vi sono diversi problemi di credibilità sull’immagine di quel buco nero.
Innanzitutto i dati hanno ricevuto troppa elaborazione prima di rendere l’immagine finale, e così tanto “filtraggio” del segnale che virtualmente si sarebbe potuta ottenere qualunque immagine, a seconda delle decisioni prese dal team. In secondo luogo l’immagine può non essere un buco nero ma un toroide al plasma. Mettendo da parte i buchi neri, abbiamo due esempi di osservazioni del centro della nostra galassia realizzate da moderni telescopi. Uno segnala un’incredibile attività e l’altro… non sembra fare alcuna segnalazione. Vi farò sapere sul mio sito web se riesco a trovare il loro rapporto. Questa informazione riguardo al comportamento di Sagittario A* o è un serio avvertimento oppure troppo ambigua, dipende dal vostro punto di vista. È suggestivo, senza un chiaro avvertimento dallo spazio, pensare che il prossimo evento non sia così imminente. Anche se vi sono catastrofi cicliche, qualcuno potrebbe argomentare, la prossima potrebbe non arrivare così presto, ma magari tra un secolo, due o tre, e comunque rientrare nel calendario precessionale. Sfortunatamente però c’è un’altra prova dal nostro passato che fornisce una data ancora più specifica.
La volpe rosicchiante
Nella zona di Göbekli Tepe vi sono diverse incisioni di volpi, compresa quella rappresentata in figura. Le volpi sono membri della famiglia dei cani, insieme ai lupi. Esse sono tradizionalmente viste da gruppi etnici di varie parti del mondo come imbroglione, ladre, predatrici e, in generale, creatori di caos. Se la ‘Pietra dell’Avvoltoio’ ci avvertiva del disastro con le sue costellazioni di animali, sarebbe logico provare a decifrare l’incisione della volpe, specialmente se si considera la personalità dell’animale in questione. Si tratta dell’avvertimento di un disastro futuro, allo stesso modo in cui la ‘Pietra dell’Avvoltoio’ avverte di un disastro passato?
Secondo il lavoro di Sweatman e Tsikritsis, Collins e altri, le nostre costellazioni furono create in un tempo molto remoto, ed erano conosciute in una regione estesa del mondo. Possiamo quindi assumere che le costellazioni usate a Göbekli Tepe sono le stesse che più tardi vennero usate a Sumer e poi Babilonia, in Mesopotamia. Per aiutarci possiamo usare l’eccellente libro di Gavin White Babylonian Star-Lore. Si tratta d’una guida completa delle costellazioni babilonesi. Nel libro di White, a pag. 110, viene spiegato che la volpe era una costellazione al tempo di Babilonia. A sostegno di questa teoria White fornisce un’immagine dell’animale della costellazione che era stata scolpita su un’iscrizione mesopotamica. L’immagine è simile alla volpe incisa a Göbekli Tepe. White chiarisce che i babilonesi credevano che la volpe fosse un messaggero di sventura. L’autore dà anche un indizio sulla posizione della volpe nel cielo: “Secondo la [storia mesopotamica] Mul-Alpin, la volpe è ‘la stella che giace sull’albero del carro’ ” (Pag. 110).
White spiega che la stella della Volpe era associata a due divinità, Erra “colui che brucia” e Nergal, il dio della guerra, delle piaghe e della morte. Essi venivano indicati come i ‘reggenti’ della stella. White cita dall’epica di Erra: “La Stella di Erra scintilla e porta ratti… Il suo manto splendente verrà attivato e tutta la gente perirà” (Pag. 111).
Sembrerebbe, secondo la traduzione di White, che la volpe fosse certamente un messaggero di disastri. La Stella di Erra sembra essere stata la stella compagna della Volpe, specialmente al tempo del disastro. Se la Stella di Erra è, in effetti, la “stella” blu creata delle emissioni di raggi-X dell’onda galattica, allora questo coinciderebbe con la profezia Hopi, ma si tratta di congetture. Dobbiamo infatti ancora identificare la stella della Volpe.
Fortunatamente la stella della Volpe, e il suo legame con i disastri, è sopravvissuta ininterrottamente fino al periodo della Grecia Classica. Proclo di Atene, l’antico neoplatonico e filosofo greco, ne parla. Egli afferma: “La stella della Volpe mordicchia continuamente la cinghia del giogo che tiene insieme il Cielo e la Terra”
Il commento di Proclo non identifica la stella, ma rinforza l’idea che la stella della Volpe annuncia il disastro, specialmente se pensiamo che quando la Volpe ha finito di rosicchiare, ogni cosa collassa. Anche Gavin White è arrivato a questa conclusione quando afferma, a pag. 111 del suo libro: “Quando la Volpe ha finito di rosicchiare la corda, l’Era del Mondo attuale giungerà ad una fine catastrofica, i cieli cadranno e l’ospite dei morti verrà liberato dal mondo sotterraneo”.
La corda che la stella della Volpe mastica è conosciuta come la “corda del paradiso” o il polo nord celeste, il punto nei cieli attorno al quale ruotano le stelle. Il polo nord celeste è spesso descritto come corda del paradiso perché si pensava che le stelle pendessero sopra di noi attaccate a una corda, filo o raggio. Il punto nel cielo cui la corda o le corde erano attaccate era il punto dell’asse, spesso chiamato il posto di ormeggio. È quindi logico che quando questa corda o corde sono tagliate, ogni cosa collassi.
Sappiamo che le stelle attorno al polo nord celeste cambiano la loro posizione nel corso dei millenni a causa della precessione assiale del nostro pianeta. Sappiamo anche che vi sono volte in cui una stella polare può avvicinarsi al polo nord celeste fin quasi a toccarlo. Se la stella della Volpe è destinata a rosicchiare le corde del cielo, allora deve trattarsi di una di queste stelle polari. La stella della Volpe, o la sua costellazione, deve quindi essere molto vicina al centro dello zodiaco antico. Con l’aiuto di tale zodiaco potremmo essere in grado d’identificare la Volpe e, per fortuna, un tale zodiaco esiste.
Lo Zodiaco di Dendera è probabilmente il più antico zodiaco esistente. Si trovava originariamente all’interno del tempio di Hathor a Dendera, Egitto, ma adesso è conservato al Louvre di Parigi. Gli archeologi ipotizzano che esso risalga al periodo del Nuovo Regno (secondo millennio AEV) ma è molto probabile che sia basato su zodiaci molto più antichi. Gavin White, nella sua ricostruzione dello zodiaco babilonese, ha mostrato che i due zodiaci hanno un contenuto molto simile, dato che vi sono molte costellazioni in comune. È quindi logico esaminare lo Zodiaco di Dendera alla ricerca di indizi sulla costellazione della Volpe.
Se studiamo lo Zodiaco di Dendera troviamo che vi è la costellazione di una volpe/lupo/cane al suo centro, come mostrato nella copia da me disegnata. Gli studiosi identificano la creatura come uno sciacallo, un membro più piccolo della famiglia dei canidi. La ricostruzione dello zodiaco babilonese da parte di Gavin White pone una costellazione praticamente identica al suo centro. La sola differenza tra i due zodiaci è che nella versione babilonese era chiamata il Lupo. Direttamente sotto la costellazione babilonese, nella mappa ricostruita da White, vi è una piccola costellazione chiamata “Il Carro del Cielo”, che spiega in parte il suo primo riferimento al fatto che la Volpe è la “stella che giace sul ponte del carro”.
White crede che il Lupo babilonese avesse lo stesso ruolo della Volpe. Era destinato a distruggere l’imbracatura da lavoro dell’aratro. Citando dal suo libro (pag. 230): “Come Fenrir, il mostruoso lupo della mitologia norvegese, il Lupo babilonese può essere intento a portare la distruzione definitiva all’ordine del mondo”.
Sembra che entrambi i babilonesi e gli antichi egizi volevano preservare tale canide centrale e il suo ruolo fondamentale nefasto. Nello Zodiaco di Dendera la volpe, lo sciacallo, il cane o il lupo, siedono su un dispositivo con un punto apicale, come una freccia o la lancetta di un orologio. Sarebbe logico assumere che se vi è una stella marcatore, usata per annunciare la fine dei giorni, allora essa dovrebbe essere in quel punto. Questo ci dà un altro indizio cruciale. Se una stella era associata a quel punto, avrebbe potuto essere chiamata “la coda del cane” dagli antichi. Qui è dove siamo fortunati e tutti i pezzi combaciano, poiché esiste una stella nelle nostre costellazioni settentrionali, chiamata in greco Cynosura o “la coda del cane”. Si tratta della stella principale della costellazione dell’Orsa Minore, una costellazione che è stata anche conosciuta sin dall’antichità come la coda del cane. La stella è Polaris, la nostra attuale stella polare.
Sembra quindi che Polaris sia proprio la stella della Volpe, come indicata dalle civiltà della Mesopotamia e, più tardi, da Proclo di Atene. Se questo è corretto, allora secondo le storie mesopotamiche e i più tardi commenti greci, l’era del mondo attuale giungerà ad una fine catastrofica quando “la Volpe rosicchia la corda del cielo”. In altre parole, quando la stella Polaris raggiunge la sua posizione più vicina al polo nord celeste. Abbiamo già le prove di una catastrofe imminente; la Volpe rafforzerà questo avvertimento?
Un rapido controllo con il programma astronomico Stellarium può darci una data di massima sul massimo avvicinamento di Polaris al polo nord celeste. L’immagine mostra il percorso della stella nella nostra era moderna. È difficile capire esattamente dove o quando la curvatura del percorso di Polaris ha il suo massimo avvicinamento al polo nord celeste. Questa mancanza di una data esatta può non essere rilevante. L’antico avvertimento ci dice semplicemente che la prossima Onda Galattica avverrà quando Polaris è nel suo punto di massimo avvicinamento al polo nord celeste. Questo può accadere in ogni momento da ora al 2120. In altre parole, abbiamo da un giorno a un secolo prima che – letteralmente – si scateni l’inferno.
L’autore
Adrian Ellis è un autore pluripremiato ed uno scrittore nel campi della ricerca originale, della scienza popolare e della fantascienza. Lavora a Londra, Inghilterra. Può essere contattato su www.adrianellis.uk dove produce articoli su antichi misteri, salute e scienza. Ellis sta attualmente lavorando ad un nuovo libro di scienza divulgativa con due titoli: Solving Reality o According to Science, Everything is Impossible. Il suo account Twitter è @scipsiguy.
Note
1. Sweatman M. & Tsikritsis D. 2017, “Deconding Göbekli Tepe with archeoastronomy: What does the fox say?”, Mediterranean Archaeology and Archaeometry, vol 17, no.1, pp. 233-250.
https://doi.org/10.5281/zenodo.400780
2. Schoch R.M., Research Highlights, “The Great Sphinx of Egypt (at Giza)”, www.robertschoch.com/sphinx.html
3. Bauval R., “The Great Sphinx in the Age of Leo?”
https://tinyurl,com/y4pvktv4
4. Michelson-Morley experiment, Wikipedia, https://tinyurl.com/yyqx78rb
5. Grusenick M., Extended Michelson-Morley Experiment, www.youtube.com/embed/7T0d7o8X2-E
6. Do, T. et al. “Unprecedented Near-Infrared Brightness and Variability of Sgr A*”. The Astrophysical Journal 882.2 (2019):L27.
https://arxiv.org/abs/1908.01777
7. Devlin, H., The Guardian, “Black Hole at Centre of Galaxy is Getting Hungrier, Say Scientists”, 14 settembre, 2019, https://tinyurl/y6frbcs2